In questo saggio breve si analizza la povertà relativa in Calabria facendo riferimento alle elaborazioni proposte dall’ISTAT. Dopo aver fornito la definizione di povertà relativa, si focalizza l’attenzione sulla diffusione del fenomeno tra le famiglie italiane e calabresi.
La definizione di povertà relativa Diversamente dalla povertà assoluta, la povertà relativa sottintende un confronto tra le condizioni di vita di un individuo e quelle di un gruppo di riferimento. Cosi come per la povertà assoluta, anche in questo caso l’interpretazione dei dati è abbastanza immediata: individuata una linea di povertà, il soggetto che sta al dì sotto della soglia è considerato povero e la distanza dalla soglia indica il suo livello di rischiosità (sicuramente povero, appena povero, a rischio di povertà). La questione è come viene calcolata la soglia. L’ISTAT considera come riferimento la famiglia composta da due individui, la cui soglia di povertà relativa è rappresentata dal rapporto tra la spesa totale per consumi delle famiglie italiane e il numero totale dei componenti (spesa media pro-capite per consumi).[1] Le implicazioni che discendono da questa definizione sono almeno due. In primo luogo, data la capacità di spesa individuale, un soggetto è povero a seconda della definizione utilizzata. Immaginiamo, per esempio, che la soglia di povertà assoluta (PA) sia inferiore della soglia di povertà relativa (PR) e che la spesa individuale (SI) sia compresa tra questi due valori. In tal caso, il soggetto è a rischio di povertà solo quando si fa riferimento al concetto di povertà relativa, mentre non lo è nel caso di povertà assoluta. In secondo luogo, la diffusione della povertà relativa dipende dalla distribuzione della ricchezza e non necessariamente dalle condizioni di vita reale dei meno abbienti. In altre parole, una distribuzione del reddito più concentrata a favore dei ricchi, può determinare un incremento del numero dei poveri anche se la capacità di spesa di questi ultimi è invariata. In tali circostanze, rimane inalterato il numero di poveri in senso assoluto, ma aumenta il numero dei poveri in senso relativo.
La linea di povertà relativa La figura 1 riporta i dati del 1997, 2008 e del 2015 della soglia di povertà relativa di alcuni nuclei familiari. Considerando il nucleo familiare di riferimento delle elaborazioni dell’ISTAT, ossia la famiglia con due componenti, la soglia nel 2015 è pari a 1050 Euro al mese, mentre per un singolo individuo è pari a 625 Euro mensili. Dalla figura si possono osservare con immediatezza due elementi di valutazione. Il primo, atteso, riguarda il fatto che la soglia aumenta all’aumentare dei componenti del nucleo familiare. Nel nostro caso, il punto di massimo, che è uguale a 1979 Euro al mese, si riferisce alla famiglia di 5 componenti. Inoltre, si osservi che le soglie sono aumentate significativamente dal 1997 al 2008, mentre sono diminuite, seppure marginalmente, nel periodo 2008-2015 (nel caso della famiglia di due adulti, si è passati da 1072 Euro del 2007 a 1050 Euro del 2015).
La dinamica della povertà relativa in Italia La Figura 2 riporta la dinamica del numero delle famiglie in condizione di povertà relativa in Italia e nelle tre macro-aree geografiche dal 1997 al 2015. Nel 2015 le famiglie italiane povere in senso relativo sono pari a 2,68 milioni. L’area a maggiore diffusione del fenomeno è il Mezzogiorno d’Italia, in cui vivono in media circa il 70% delle famiglie povere “relative” italiane. Inoltre, gli anni della crisi avviata nel 2007-2008 coincidono con l’acuirsi del fenomeno della povertà su scala nazionale, che solo in parte si stabilizza negli ultimi anni nelle regioni del Centro, mentre aumenta nel Nord. Condizionatamente al dato iniziale, è utile dire che nel Mezzogiorno il numero di famiglie povere è diminuito nel biennio 2014-2015 (Fig. 2). Simili argomentazioni possono essere fatte quando si considerano gli individui. In Italia, il numero di persone povere è in continuo aumento, attestandosi, nel 2015, a 8.3 milioni di residenti, di cui quasi il 60% vive nel Mezzogiorno. Tab.1.
L’incidenza della povertà relativa in Calabria. L’Istat calcola la povertà relativa per ciascuna regione italiana. Le figure 3 e 4 riportano, rispettivamente l’incidenza del fenomeno tre le famiglie e tra gli individui nel 2014 e nel 2015. Nel 2015 in Italia l’incidenza media della povertà relativa dei nuclei familiari è pari al 10,4%, che è in leggero aumento rispetto al 2014 quando si attestava al 10,3%. Considerando gli individui, l’incidenza è pari al 12,9% nel 2014 e al 13,7% nel 2015.
La Calabria registra i valori più elevati di povertà relativa sia nel caso delle famiglie sia degli individui. In dettaglio, si ha che in Calabria nel 2015 ben 28,2 famiglie su 100 sono relativamente povere. Il dato è in aumento dei 1,3 punti percentuali rispetto al 2014 (26,9%). Le famiglie calabresi che nel 2015 vivono in stato di povertà relativa sono 226234, ossia 10984 in più rispetto al 2014. La Calabria è immediatamente seguita dalla Sicilia (25.3%), dalla Basilicata (25%) e dal Molise (21,5%). All’estremo opposto si colloca la Lombardia, in cui si registra la più bassa (4,6%) incidenza di famiglie povere in senso relativo. La sintesi è che i dati riflettono la geografia di un paese in cui un’area forte coesiste con un’area estremamente debole: limitatamente alla Calabria, si pensi che l’incidenza della povertà relativa che interessa le famiglie calabresi è più del doppio della media italiana e circa 6 volte più elevata di quanto si osserva in Lombardia, dove le famiglie relativamente povere sono 203152, ossia 23mila in meno rispetto a quelle della Calabria (nonostante le differenze dimensionali delle due regioni). Dalla figura 4 si osserva che nel 2015 la povertà relativa interessa il 33,1% dei calabresi: ben 652242 persone sono relativamente povere. La media italiana è pari al 13,7%, equivalente a 8329000 di italiani. Le regioni del Mezzogiorno registrano valori elevati dell’incidenza della povertà degli individui, in particolare la Sicilia (30,1%) e la Basilicata (24,7%). Il dato più basso si registra, invece, nel Trentino Alto Adige dove solo 5 persone su 100 sono relativamente povere (Fig. 4).
Emerge, inoltre, che nel 2014 l’incidenza della povertà relativa era in Calabria pari al 35,6%, il che consente di rilevare che nel 2015 si è avuta una riduzione di 2,5 punti percentuali. Da notare che questa riduzione è in controtendenza rispetto a quanto si è osservato per l’intero paese, in cui l’incidenza della povertà relativa è aumentata dal 12,9% del 2014 al 13,7% del 2015.
La sintesi Abbiamo appreso che la Calabria è la regione a maggiore diffusione della povertà in senso relativo. Poiché la misura in esame è legata all’andamento medio dei consumi necessari per il normale soddisfacimento dei bisogni primari, si può ragionevolmente affermare che in Calabria il grado di soddisfacimento è più basso di quello che si osserva nelle altre regioni italiane. In altre parole, se il consumo può essere considerato un indicatore di benessere individuale, questi dati indicano che in Calabria si sta relativamente peggio che altrove. I dati indicano, inoltre, che in Calabria dal 2014 al 2015 l’incidenza della povertà relativa è aumentata per le famiglie (Fig. 3) e diminuita per gli individui (Fig. 4). Ciò implica, a parità di altre condizioni, che dal 2014 al 2015 in Calabria le famiglie povere in senso relativo aumentano (l’incremento è pari a circa 11mila unità), mentre il numero dei calabresi relativamente poveri diminuisce (i calabresi poveri diminuiscono di 52800 unità). La circostanza di registrare nel tempo una diversa incidenza della povertà relativa, un numero maggiore di famiglie povere e un numero minore di persone povere è ammissibile, poiché dipende sia dall’andamento dei consumi medi nazionali (su cui si basa il calcolo della linea di povertà relativa) sia dalle variazioni nella composizione dei nuclei familiari in Italia e in Calabria. Infine, la diffusione del fenomeno varia al variare dell’indicatore di povertà che si utilizza: limitatamente agli individui, nel 2015 in Calabria i poveri in senso assoluto sono circa 197mila, mentre quelli in senso relativo sono circa 652mila. E’ utile ribadire, pertanto, che la predisposizione di politiche nazionali e regionali contro la povertà deve necessariamente essere preceduta da una chiara definizione degli obiettivi che si pone e, quindi, da una corretta identificazione dei potenziali beneficiari.
[1] La stima della povertà relativa diffusa dall’Istat è anche nota come International Standard of Poverty Line (ISPL). Per definire le soglie di povertà relativa per famiglie di diversa ampiezza si utilizzano coefficienti correttivi (scala di equivalenza Carbonaro) che tengono conto dei differenti bisogni e delle economie/diseconomie di scala che è possibile realizzare al variare del numero dei componenti (Fonte: ISTAT).