“Se il Sud riparte, l’Italia può diventare la locomotiva d’Europa”. Al di là dell’enfasi, forse eccessiva, non si può non condividere il senso di questa frase, pronunciata dal presidente del Consiglio a Napoli, in occasione della firma del “patto per la Campania”. Il Sud è certamente importante per la crescita italiana. Le ragioni sono diverse. La prima è che rappresenta una parte ampia del Paese. Nel Mezzogiorno si produce il 22 per cento del Pil nazionale e risiedono quasi 21 milioni di persone. Di conseguenza, gli andamenti economici del Sud si riflettono, in positivo o in negativo, su quelli nazionali. La seconda ragione è che al Sud ci sono ampie risorse inutilizzate e, dunque, notevoli potenzialità di crescita.
Nel campo della logistica, i porti di Gioia Tauro, Taranto e Napoli, per fare degli esempi, sono infrastrutture strategiche di rilevanza nazionale per il commercio e per l’attrazione d’investimenti anche industriali. I porti turistici meridionali sono, invece, importanti per cogliere le crescenti opportunità collegate alla nautica da diporto. Nel campo energetico, delle fonti rinnovabili come la geotermia, l’eolico o il solare, il Mezzogiorno gode di un evidente vantaggio competitivo. Nel comparto dell’agroindustria, le regioni meridionali hanno territori a forte vocazione e con produzioni di qualità, come dimostrano i successi dei vini, dell’olio e di altri prodotti con un’enorme domanda di mercato.
Logistica e trasporti, turismo, energie rinnovabili, agroindustria sono settori cruciali non solo per il Mezzogiorno, ma per l’intero Paese. Non è, forse, strategico che l’Italia attragga quote crescenti del traffico di merci che attraversa il Mediterraneo? Allo stesso modo, non è importante che l’Italia punti sul turismo, sulle energie rinnovabili e su filiere produttive, come quella agroindustriale, la cui qualità è riconosciuta a livello mondiale?
Eppure, in questi anni, al di là degli slogan o delle dichiarazioni di principio, sono mancate politiche realmente efficaci. Il caso dei porti e della logistica è emblematico. In Grecia, la privatizzazione del porto del Pireo a favore della società cinese Cosco Pacific, una delle più importanti al mondo, porterà, nei prossimi anni, ingenti investimenti. Nel frattempo – come rileva uno studio del Dipartimento per la programmazione economica – tra il 2005 e il 2011, la quota di mercato dei porti italiani sul transhipment mediterraneo è calata dal 28 al 16 per cento, a causa della concorrenza dei porti del Marocco, dell’Egitto, di Malta e di quelli spagnoli (Algeciras, Valencia e Barcellona). Insomma, mentre noi abbiamo perso terreno altri paesi sono diventati più competitivi.
In tutto il mondo, le energie rinnovabili attraggono investimenti e generano posti di lavoro. Secondo un recente rapporto, in Germania le rinnovabili danno lavoro a 347.400 addetti, in Francia a 170.000, in Gran Bretagna a quasi 93.000. L’Italia è al quarto posto, con 82.500 occupati. Le prospettive di crescita sono, dunque, notevoli e il Mezzogiorno ne può trarre grandi benefici.
Qualche giorno fa, a Roccella Ionica, in un convegno significativamente intitolato “Sud: una risorsa per lo sviluppo”, il prof. Adriano Giannola, presidente della Svimez, ha evidenziato come energia, trasporti, agroindustria, ma anche riqualificazione ambientale e urbana, potrebbero rappresentare i capisaldi di un piano di sviluppo per il Sud. Al convegno era presente anche il presidente Mario Oliverio che, tra l’altro, ha illustrato le opportunità che il “patto per la Calabria” offrirà, nei prossimi anni, in alcuni di quei settori. È evidente che servono incisive politiche regionali per recuperare, per quanto possibile, il tempo perduto. Queste non sono, però, sufficienti. Il punto vero riguarda la politica nazionale. È vero: la sfida dello sviluppo si gioca anche al Sud. Se si perde, non saranno solo le regioni meridionali a pagarne le conseguenze. Queste, direttamente o indirettamente, graveranno sul Paese nel suo complesso.