Le politiche europee per l’innovazione L’obiettivo della strategia Europa 2020 è di trasformare l’UE in un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva. A tal fine, l’UE si è impegnata a raggiungere entro il 2020 alcuni obiettivi, tra cui il 3% degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S) rispetto al PIL. Oggi, questa intensità degli sforzi in attività innovative è molto eterogenea tra i paesi, basti pensare che nel 2015 l’Italia ha investito l’1,3% del PIL in R&S, a fronte del 2,9% della Germania e del 3,5% della Finlandia. Le risorse che si stanno mobilitando per conseguire questo risultato sono elevate. Per esempio, il programma quadro Horizon 2020 ha una dotazione di 80 miliardi di euro gestiti a livello centralizzato dalla commissione europea, mentre all’interno dei fondi strutturali e di investimento europei, le risorse programmate per le specifiche attività di R&S (Obiettivo Tematico 1) sono pari a 65 miliardi di euro, di cui 45 provenienti dal bilancio pluriennale dell’UE. Tali risorse sono gestite da Stati e Regioni e concorrono al perseguimento della Strategia di Specializzazione Intelligente.
La valutazione ex-ante: il modello Rhomolo Il risultato atteso è che le politiche europee per la ricerca e innovazione stimolino la crescita dell’intera UE e, in particolare, delle aree più deboli. Pertanto, un tema cruciale, anche in vista della riforma della politica di coesione europea, è rappresentato dalla valutazione dell’impatto macroeconomico delle politiche per l’innovazione. È evidente che i responsabili politici e, in un’ottica di political accounting, i cittadini europei devono conoscere se e in che misura i finanziamenti pubblici sono efficaci a sostenere la crescita dei paesi e a ridurre le disparità di sviluppo tra le regioni europee. Il potenziale impatto delle politiche 2014-2020 per la ricerca e l’innovazione può essere ottenuto effettuando un esercizio di valutazione ex-ante, in cui gli effetti degli interventi sono misurati al netto di quello che si osserverà nello scenario di assenza delle politiche. In questo contributo si fa riferimento ai risultati ottenuti utilizzando l’approccio del controfattuale e la versione semplificata del modello macroeconomico “Regional Holistic Model” – RHOMOLO – sviluppato dalla Commissione Europea (Joint Research Center) che, nell’attuale versione, considera 267 regioni europee e disaggrega le economie regionali in cinque settori (agricoltura, produzione, costruzioni, servizi di business, finanza, servizi pubblici). In RHOMOLO, il settore della ricerca e sviluppo è modellato su base nazionale e genera esternalità positive (gli spillover tecnologici) che hanno un effetto diretto sulla produttività totale dei fattori delle regioni di ciascun paese.
I dati e le variabili di impatto L’analisi che si propone fa riferimento (i) alle risorse totali programmate per il periodo 2014-2020 a sostegno degli investimenti in R&S di ciascuna regione europea e (ii) all’impatto che esse hanno sulla produttività totale dei fattori. Questo impatto è stato stimato da Brandsma et al (2015), i quali dimostrano che l’aumento medio della TFP osservabile nel 2023 ascrivibile alle politiche europee per l’innovazione sarebbe pari allo 0,49%. L’aspetto di originalità della nostra analisi è di considerare i dati delle variazioni della TFP regionale (Brandsma et al 2015) come uno shock esogeno degli equilibri macroeconomici e di utilizzare il modello RHOMOLO per simulare l’impatto delle politiche in R&S sulle seguenti variabili regionali: PIL, occupazione totale, consumi, investimenti, esportazioni, importazioni, disoccupazione e salari in settori a basso, medio e alto contenuto tecnologico (1). Per ciascuna variabile, i risultati ottenuti dal modello RHOMOLO sono espressi in termini di variazione percentuale tra il valore determinato dalla simulazione al 2023 e quello che avremmo ottenuto nello stesso anno in assenza delle politiche per la ricerca e l’innovazione. L’ipotesi di questa valutazione è che tutte le risorse programmate siano spese e che la qualità degli investimenti sia omogena tra le regioni che attuano i programmi di innovazione.
L’impatto sul prodotto interno lordo. Rispetto allo scenario controfattuale di assenza della politica, nel 2023 ci si aspetta un incremento del PIL europeo dello 0,7%, che aumenta all’1,6% quando si considerano le regioni in ritardo di sviluppo. Quest’ultimo risultato è atteso sia perché le regioni più povere ricevono maggiori aiuti pubblici sia perché si suppone che tanto più lontana è la regione dalla frontiera tecnologica, tanto maggiore è il potenziale di assorbimento e imitazione del progresso tecnologico prodotto altrove (Brandsma et al 2015). Per quanto riguarda l’Italia, il PIL crescerebbe in media dello 0,49%, con un impatto rilevante nel Mezzogiorno (+1,02%) e modesto nel Nord (+0,16%) e nel Centro (+0,17%) del paese. Su base territoriale, le politiche per l’innovazione determinerebbero un elevato incremento del PIL solo in Puglia (+2.3%), Calabria (+1.63%) e Sicilia (+1,60%), mentre l’effetto sarebbe molto più basso nel resto d’Italia (Lazio e Emilia R. +0,04%; Trentino A.A. +0,045%; Lombardia 0,09%; Marche e Veneto +0,15%; Liguria +0,16%; Toscana +0,19%; Friuli +0,21%; Molise 0,24%; Umbria +0,28%; Valle d’Aosta +0,3%; Piemonte +0,4%; Abruzzo +0,41%; Basilicata +0,46%). In base a questi dati, le politiche europee per l’innovazione contribuirebbero – a parità di altre condizioni – a ridurre il divario del PIL aggregato che si osserva tra il Nord e il Sud del paese e, in tale direzione, la crescita sarebbe trainata da alcune tra le regioni che oggi sono in forte ritardo di sviluppo (Sicilia e Calabria).
L’impatto sull’occupazione e sulle componenti della domanda aggregata Se da un lato le politiche in R&S determinerebbero, in media, un incremento (+0,15%) dell’occupazione europea, dall’altro lato questo effetto sarebbe negativo (-0,7%) per le regioni europee a ritardo di sviluppo e, tra queste, anche per il Mezzogiorno d’Italia (-0,03%). L’occupazione aumenterebbe nel resto del paese (+0,09% nel Nord e 0,04% nel Centro). A livello regionale, il dato che emerge è che la riduzione del tasso di occupazione sarebbe elevata in alcune regioni meridionali (-0,26% in Sicilia; -0,22% in Puglia; -0,07% in Calabria) e nel Lazio (-0,05%) e positiva nelle altre regioni. È anche interessante sintetizzare l’impatto sulle componenti della domanda aggregata: limitatamente alle regioni italiane, si ha che le politiche per l’innovazione stimolerebbero il consumo interno – ad eccezione della Sicilia (-0,29%), del Lazio (-0,07%) e dell’Emilia Romagna (0,01%) – mentre gli investimenti pubblici e privati aumenterebbero nel Centro-Nord (0,065%) e diminuirebbero (-0,18%) nel Mezzogiorno d’Italia. È importante dire che le regioni che registrerebbero la maggiore riduzione degli investimenti sarebbero la Sicilia (-0,52%), la Puglia (-0,44%) e la Calabria (-0,44%). Un risultato comune a tutte le regioni è, invece, l’effetto della politica sui flussi commerciali. Dai risultati ottenuti dalla simulazione emerge un miglioramento del saldo commerciale delle regioni europee che è pari allo 0,68%, dovuto ad un incremento delle esportazioni (+0,86%) che è maggiore di quello osservato per le importazioni (+0,18%). L’impatto sull’apertura commerciale è elevato quando si considerano le regioni europee a ritardo di sviluppo (+2,06%) e, tra queste, il Mezzogiorno d’Italia (+2,01%). Ai fini valutativi, è rilevante osservare che il miglioramento della bilancia commerciale è molto elevato in quattro regioni meridionali (+5,28% in Puglia; +3,57% in Calabria; +3,23% in Campania; +2,79% in Sicilia). In questi casi, la migliore posizione commerciale è il risultato di un incremento delle esportazioni e di una riduzione delle importazioni (per la Calabria i dati indicano un incremento delle esportazioni pari al 2,92% e una riduzione delle importazioni dello 0,65%).
Sintesi In base alla simulazione effettuata in questa analisi, è possibile affermare che le politiche europee per l’innovazione potrebbero generare un incremento del PIL aggregato in tutte le regioni europee. Tuttavia, nel Mezzogiorno d’Italia – a fronte di un incremento del PIL – il tasso di occupazione diminuirebbe. L’equilibrio macroeconomico che si determinerebbe nel 2023 è fortemente caratterizzato dall’impatto che le politiche avrebbero sull’apertura commerciale di molte regioni meridionali, in cui l’incremento (elevato) delle esportazioni sarebbe affiancato da una riduzione delle importazioni. In estrema sintesi, potremmo dire che nel Mezzogiorno d’Italia – in seguito della piena attuazione delle politiche europee per l’innovazione e la ricerca – avremmo crescita con meno occupazione e che gli stimoli maggiori della domanda aggregata di molte regioni meridionali saranno legati agli scambi con l’estero. Infine, nel 2023 in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia il peso sulla domanda aggregata degli investimenti pubblici e privati potrebbe essere minore di quello che si avrebbe nello scenario di assenza delle politiche europee per l’innovazione.
(1) Si precisa che è stato utilizzata una versione semplificata del modello tramite un apposito strumento web dedicato. The RHOMOLO web tool allows simulating illustrative policy interventions with a simplified version of the RHOMOLO model. It gives users the opportunity to assess whether RHOMOLO can provide answers to the particular type of policy questions of interest.