Introduzione. La tavola di mortalità è lo strumento che consente un’analisi statistica molto accurata della sopravvivenza umana. La sua invenzione ha giocato un ruolo fondamentale nella storia della demografia. Segni dell’interesse per la misura della sopravvivenza si trovano di già in epoca romana con la tavola di mortalità di Ulpiano, giureconsulto vissuto nel terzo secolo dopo Cristo. Questo strumento, che serviva a determinare il valore delle rendite vitalizie da includere nel passivo delle successioni ereditarie, era stato ottenuto com’è noto non su osservazioni scientifiche ma soltanto su percezioni soggettive. Per avere una tavola di mortalità basata su dati statistici bisogna attendere la seconda metà del ‘600, quando l’inglese John Graunt lancia l’idea dell’esistenza di una legge di sopravvivenza e costruisce sulle osservazioni reali dei decessi, riportati nei Bollettini di mortalità della città di Londra del 1662, i cosiddetti “Bills of Mortality”, la prima vera tavola di sopravvivenza. Da allora con la creazione degli istituti nazionali di statistica e grazie alla possibilità di disporre di informazioni statistico-demografiche sempre più numerose, tempestive e affidabili, è possibile avere a disposizione uno strumento molto sofisticato che oltre a farci conoscere l’evoluzione della sopravvivenza, è molto utile e addirittura indispensabile per regolare una molteplicità di rapporti sociali e economici legati alla durata della vita umana (sistema pensionistico, assicurazioni vita, contratti di mutuo ecc.).
Le tavole di mortalità per livello di istruzione. Fino ad oggi le tavole di mortalità sono state costruite esclusivamente per età, sesso e territorio, mentre molti studi condotti sulla diseguaglianza nella morbilità e nella mortalità indicano che esiste una forte eterogeneità della sopravvivenza associata a fattori socio-economici come l’istruzione, il reddito, la condizione occupazionale, la classe sociale. In particolare, è stato osservato che lo svantaggio sociale si associa spesso a rischi più elevati di cattiva salute e di mortalità, collegate verosimilmente alla diversa efficienza dei sistemi sanitari e più in generale al contesto che indirettamente potrebbe avere un impatto sulla stato fisico. Da queste evidenze, osservate in molti paesi europei, è nata per opera dell’Istat l’esigenza di studiare anche in Italia, con un apposito progetto, le diseguaglianze sulla mortalità legata a fattori socio-economici, scegliendo il titolo di studio come variabile sintomatica di questa condizione; variabile che è anche correlata alla condizione sociale della famiglia di origine, agli stili di vita e alle opportunità di accesso alle cure. Ricordiamo che già in un esame preliminare l’Istat aveva evidenziato lo svantaggio nella speranza di vita per quelle persone con titolo di studio basso. Oggi l’analisi della sopravvivenza per la prima volta in Italia è stata estesa anche a livello regionale per cui è possibile disporre di tavole di mortalità regionali per livello di istruzione (alto, medio, basso) della popolazione residente al Censimento del 2011 per genere ed anche per coorte di nascita.[1]
Le diseguaglianze regionali nella speranza di vita. Queste nuove tavole, rispetto a quelle che l’Istat pubblica regolarmente, per il differente approccio con cui sono state costruite, presentano alcune differenze. Nondimeno, se si trascura il livello di istruzione i risultati confermano la persistenza di notevoli diseguaglianze territoriali nella sopravvivenza alla nascita stimate in 3,1 anni per il sesso maschile (tra Bolzano e Campania) e di 2,6 anni per quello femminile (ancora tra Bolzano e Campania) con la Calabria, Sicilia e Campania che occupano sempre gli ultimi posti in questa graduatoria. La forbice si amplia ancora di più quando si prendono in considerazione i dati territoriali e il livello di istruzione. In questo caso si arriva addirittura ad avere +6,1 anni di differenza per gli uomini e +4 anni nelle donne, differenze registrate ancora una volta tra la provincia di Bolzano e la Campania, quest’ultima regione risultando quella più svantaggiata per speranza di vita per donne e uomini meno istruiti (rispettivamente 82,9 e 77,5 anni di vita alla nascita). La variazione delle diseguaglianze per grado di istruzione nella speranza di vita è un elemento costante a livello territoriale ma con alcune differenze importanti. Marche e Umbria hanno differenziali più contenuti rispetto alle altre regioni italiane per entrambi i sessi; l’Emilia-Romagna e la Calabria hanno differenziali bassi fra gli uomini. In particolare in Calabria ciò è dovuto al fatto che la speranza di vita è più bassa della media nazionale sia tra coloro che hanno un livello di istruzione alto che tra i meno istruiti. I valori bassi della Campania per livello di istruzione per il sesso femminile evidenziano una condizione particolarmente critica delle donne di questa regione che in questo modo perdono lo storico vantaggio di genere che oggi non si osserva solo in alcuni particolari paesi come per esempio l’Afghanistan. Infatti, la speranza di vita di 82,9 anni per il livello di istruzione basso è eguagliato e addirittura superato dagli uomini con alto livello di istruzione di alcune regioni come Lombardia, Molise e le provincie autonome di Bolzano e Trento (Tabella1).
Bibliografia
- et M. Dupâquier, Histoire de la Démographie, Perrin, Paris, 1985.
Istat, Diseguaglianze regionali nella speranza di vita per livello d’istruzione, aprile 2018.
Istat, Diseguaglianze nella speranza di vita per livello d’istruzione, giugno 2017.
Istat, Diseguaglianze nella speranza di vita per livello d’istruzione, aprile 2016.
[1] Lo studio ha quindi un approccio di tipo longitudinale, cioè si considera tutta la popolazione censita al 2011 come coorte iniziale, coorte viene seguita nel tempo registrando l’uscita per morte o per trasferimento all’estero del periodo 2012-2014.