L’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, analizzando i dati Istat, ha certificato che in Italia nel 2018 si è avuto il sorpasso degli over 60, 28,7% della popolazione italiana, sugli under 30, 28,4%. Ciò dopo una lunga marcia iniziata nel lontano 1861, epoca in cui le percentuali di questi due contingenti di popolazione erano molto distanti, rispettivamente 60,6% e 6,5%. In questo flash ci sono una notizia buona e una cattiva. Esaminiamo quella buona. Gli anziani sono aumentati costantemente nel corso del tempo grazie a una migliore alimentazione della popolazione, a una migliore sanità: ricordiamo le riforme politico-sanitarie, come quella ospedaliera del 1968, e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel cui ambito è stato creato il servizio di pediatria di famiglia. Grazie anche a un’informazione sanitaria più pervasiva, veicolata prima dalla radio e ora dalla TV dove sono sempre più numerose e corrette le rubriche di medicina e alla scuola che in passato è stata il luogo quasi esclusivo in cui era impartita l’educazione sanitaria. Tutto ciò ha avuto come conseguenza che contingenti sempre più numerosi di popolazione siano potuti arrivare alla vecchiaia e in migliore stato di salute. Ricordiamo che già dagli anni ’80 del 1800 in Italia si avvertono i primi progressi nell’aumento della sopravvivenza in generale e di quella infantile in particolare. Questi miglioramenti consentono al nostro Paese di transitare – anche se con ritardo rispetto ad altre nazioni dell’Europa settentrionale- da un vecchio regime demografico a uno nuovo che l’Italia completerà dopo un secolo. Oggi siamo uno dei paesi più longevi al mondo: un neonato ha un’aspettativa di vita che sfiora gli 81 anni se è maschio e di 85 se è femmina! Esaminiamo ora la notizia meno buona. Alla costante riduzione della mortalità ha fatto da contraltare un’altrettanta diminuzione della natalità. Senza andare molto indietro nel tempo, ricordiamo che le nascite in Italia sono in calo da nove anni: nel 2008 erano state 577 mila, nel 2017 sono state 464 mila, un nuovo minimo storico dopo quello precedente del 2016. Per i tre quarti, come sottolinea l’Istat nel Rapporto annuale 2018, la diminuzione va attribuita alla circostanza che escono dall’età feconda generazioni particolarmente numerose di donne. Il restante quarto è riconducibile alla diminuzione della propensione a procreare. Inoltre, si diventa genitori sempre più tardi. Per le donne, l’età media alla nascita del primo figlio, che era di 26 anni nel 1980, nel 2016 è di 31. Nel 2017 i nati con almeno un genitore straniero sono stati circa 100 mila, più di un quinto del totale, ma dal 2012 diminuisce anche il contributo alle nascite della popolazione straniera. Il numero medio di figli delle donne straniere resta più elevato di quello delle donne italiane (1,95 figli per donna rispetto a 1,27), ma diminuisce per effetto di una struttura per età più “vecchia” rispetto al passato e per i cambiamenti nella dimensione e composizione dei flussi migratori. Quindi più anziani e meno giovani fanno sì che l’Italia sia il paese più longevo ma anche il secondo paese più vecchio al mondo con quasi 170 anziani (persone di almeno 65 anni) ogni 100 giovanisimi (tra 0 e 14 anni). In altri paesi europei con problemi demografici simili ai nostri- come sottolinea Alessandro Rosina della università cattolica di Milano – la diminuzione quantitativa è compensata da un robusto rafforzamento qualitativo: più formazione, più ricerca e sviluppo. E’ questa la strada per preparare le giovani generazioni a cogliere le grandi opportunità di lavoro che la rivoluzione tecnologica, di cui siamo testimoni, sta creando soprattutto nel settore dell’economia della conoscenza. Quindi puntare sull’università e sulla scuola diventa una priorità per uscire dal declino. Ma di questa necessità non si ha traccia nel cosiddetto “contratto di Governo”
Pubblicato il 25/10/2018 su Il Quotidiano del Sud