Introduzione. La visita del Presidente Mattarella a San Demetrio Corone, per partecipare con il Presidente della Repubblica albanese Meta alla cerimonia del 550mo anniversario della morte dell’eroe albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, è l’occasione per una breve riflessione su questa minoranza alloglotta, segnata da un forte malessere demografico che ha nello spopolamento e nell’invecchiamento i tratti più evidenti. Ricordiamo che la geografia etnica del nostro paese è diventata negli ultimi decenni sempre più articolata dopo che l’Italia, dagli anni ’70 del secolo scorso, è stata interessata da flussi immigratori sempre più intensi provenienti dal Terzo Mondo e dai paesi dell’est Europa. Tenuto conto di questa nuova realtà, le minoranze etniche italiane possono essere suddivise in minoranze di recente e di antico o antichissimo insediamento. Queste ultime chiamate anche minoranze storiche o tradizionali, hanno subito durante i secoli processi di assimilazione più o meno intensi, riducendosi viepiù di numero, pur tuttavia alcune di esse hanno conservato, più di ogni altro tratto, quello della lingua.
Le minoranze etnico- linguistiche tradizionali. Sul territorio del nostro paese possono essere individuati undici gruppi etnico- linguistici tradizionali, suddivisi in minoranze di confine, cioè che parlano una lingua di uno stato confinante (i tedeschi dell’Alto Adige, gli sloveni del Friuli, i francesi della Valle d’Aosta); quelli che occupano alcune aree interne a seguito a emigrazioni e diaspore, come gli albanesi del Mezzogiorno, i serbo-croati, gli occitani, i catalani di Sardegna. Abbiamo, infine, i cosiddetti gruppi residuali (grecanici, ladini, friulani e sardi). Di queste minoranze tre sono presenti in Calabria: quella albanese, la occitana e la grecanica della provincia di Reggio Calabria.
Dopo l’Unità, le minoranze etnico- linguistiche hanno avanzato tutta una serie di rivendicazioni di carattere sociale ed economico, tendenti alla riscoperta e alla rivalorizzazione della loro diversità. Rivendicazioni che dopo la seconda guerra mondiale si sono concretate in un vero e proprio movimento culturale con l’obiettivo di dare corpo politico e giuridico alla loro realtà e ai loro ideali, nel tentativo di frenare il processo d’integrazione e di assimilazione che, come per i grecanici, è ormai in una fase molto avanzata. Ricordiamo che in Italia la tutela delle minoranze è sancita dall’art. 6 della Costituzione, ma ha trovato applicazione soltanto in alcune regioni a statuto speciale che per la loro posizione di frontiera hanno una notevole importanza politica. Con la legge 482 del 1999 lo Stato italiano ha finalmente preso coscienza dell’esistenza anche di altre minoranze linguistiche storiche cosicché ne ha riconosciuto complessivamente dodici (albanese, tedesca, greca, slovena, croata, francofona, franco provenzale, friulana, ladina dolomitica, occitana, sarda) la cui popolazione nel 1995 era stimata dal Ministero dell’Interno in 3.261.600 persone.
In Italia, la tutela delle minoranze è purtroppo un processo che conosce gravi ritardi. Non esistono, infatti, dati ufficiali aggiornati che li riguardino, dati che non sono disponibili nemmeno per le minoranze linguistiche le quali sono senza dubbio le più interessanti dal punto di vista culturale. In passato, in verità, numerosi sono stati gli sforzi volti a censire la lingua parlata. Per esempio, in occasione del censimento del 1981 fallì il tentativo di far includere nel questionario del censimento alcune domande riguardanti la lingua parlata, com’era avvenuto nel corso dei censimenti che vanno dal 1861 al 1921, prassi che il regime fascista aveva poi interrotto, abolendo la domanda sulla lingua o il dialetto parlato, domanda che da allora non è stata più inclusa.
La minoranza arbëreshë. La comunità albanese (arbëreshë) fra quelle alloglotte è una delle più numerose. Essa è presente in varie aree del Sud, ma le colonie più importanti si trovano in Calabria, le quali hanno conservato una certa unità territoriale e limitato nel tempo la commistione con le popolazioni italofone. Ciò è stato favorito dal rito greco, usato nelle cerimonie religiose, rito che utilizza esclusivamente la lingua albanese. Durante il corso del tempo hanno tuttavia subito un forte processo di assimilazione con la conseguenza che in molti comuni la diffusione della lingua albanese si è ridotta sempre di più o è scomparsa del tutto, con il risultato che questo tratto è presente solo in diciannove comuni della provincia di Cosenza e in tre in quelle di Catanzaro e Crotone con una popolazione che al 1/1/2018 ammonta a 38.832 persone residenti (Tabella 1).
Dopo la seconda guerra mondiale, l’unica informazione sulla percentuale di albanofoni nei comuni di origine albanese risale al lontano 1966, grazie a una ricerca dello studioso tedesco K. Rother dai cui è stato possibile stimare che la media dei parlanti albanese nei comuni arbëreshë della provincia di Cosenza era dell’82,6% e in quelli del catanzarese e del crotonese del 90,5%.
Il malessere demografico. Dal 1951 in poi le comunità albanofone della Calabria mostrano i primi segni di malessere demografico. La popolazione residente via via si riduce e in molti comuni, soprattutto quelli più interni, si osserva un forte spopolamento causato dall’emigrazione. Infatti, nel periodo 1951-1981 la popolazione regionale, nonostante l’esodo, è rimasta pressoché costante, mentre quell’arbëreshë della Calabria si è ridotta del 25%. La stessa percentuale di riduzione si osserva anche tra il 1981 e il 2018 (rispettivamente da 51.637 abitanti a 38.832 abitanti) per effetto questa volta della sola componente naturale. Questi trend hanno segnato fortemente la struttura demografica di questa minoranza che oggi evidenzia un forte e in alcuni casi eccezionale invecchiamento. Nel 2018 in tutti i comuni arbëreshë si osservano tassi di incremento naturale (differenza fra i quozienti di natalità e mortalità per mille abitanti) negativi superiori al valore medio della Calabria che è di -2,6 x 1000. Inoltre, la piramide della popolazione è molto squilibrata con indici di vecchiaia preoccupanti, caratteristici di quelle popolazioni che si sono incamminati in un sentiero che porta a una probabile implosione. Ricordiamo che oggi l’indice di vecchiaia in Italia è di 168,9 vecchi per 100 giovanissimi, in Calabria è del 158,4%. La comunità arbëreshë nel suo complesso registra invece un indice di vecchiaia del 254%, con al suo interno realtà con indici di vecchiaia che addirittura raggiungono il 700% (Figura 1).
Uno sguardo al futuro. Lo scenario futuro da noi costruito, pur con ipotesi di fecondità e di mortalità abbastanza ottimistiche e in assenza di movimento migratorio, ci consegna una comunità che alla fine del prossimo cinquantennio verosimilmente sarà ridotta a poco più di ventimila unità, con un’accentuazione rispetto ad oggi dei tratti del suo “malessere”, come si può cogliere dalla forma capovolta della piramide della popolazione (Figura 2).
Riferimenti bibliografici
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