Il 28/02/2019 la 1a commissione affari istituzionali della Regione Calabria ha approvato all’unanimità una proposta di legge – la # 244/10 a firma dei consiglieri Orlandino Greco e Franco Sergio – finalizzata a modificare la normativa sulle fusioni dei comuni calabresi. La nostra valutazione complessiva di questa proposta è che è stata pensata per evitare che si facciano fusioni. Non è un articolato per regolamentare, indirizzare e promuovere un processo di riforma degli assetti di governo del territorio in Calabria. È, al contrario, un testo avverso alle fusioni, anche quando queste sono necessarie e vantaggiose per tutti i comuni che le avviano.
Una pletora di criticità. Sebbene i punti di criticità siano veramente molti (formalità a carico dei consigli comunali; attestazioni sulle condizioni di bilancio degli enti in fusione; l’obbligatorietà di uno studio di fattibilità; la blanda e confusa menzione di un osservatorio sulle fusioni; l’ipotesi inverosimile che tutto sia a costo nullo) in questa breve nota si analizzerà solo un aspetto della proposta che, tuttavia, e’ sufficiente per spiegarne l’irragionevolezza. Sugli altri elementi che motivano il nostro giudizio nettamente negativo si rimanda a prossime valutazioni.
Il doppio quorum. La debolezza più significativa è legata alla fissazione di un doppio quorum sul referendum per la fusione. Il primo quorum è partecipativo: “il referendum è valido se vi ha partecipato il 30% degli aventi diritto dell’intero bacino elettorale”, escludendo dal calcolo gli italiani residenti all’estero. Il secondo quorum è per normare l’esito del referendum: il progetto di fusione è accolto dai cittadini se si esprime per il SI “la maggioranza assoluta degli aventi diritto, per ciascun Comune interessato”. Si intende irrigidire l’iter di istituzione di un nuovo comune prendendo come riferimento la somma dell’elettorato attivo dei comuni aderenti al progetto per il quorum partecipativo e il totale degli aventi diritto al voto nel caso del quorum deliberativo. Com’è immediato verificare utilizzando l’algebra di base, si tratta di due condizioni ridondanti: il 30% sul bacino totale è inutile se nella seconda fase richiedi il 50%+1 degli aventi diritto in ciascun comune. L’esempio su Cosenza, Castrolibero e Rende chiarisce il punto.[1]
La prima inutile specificazione. Ma l’atteggiamento avverso alle fusioni è rinvenibile in molte altre parti della proposta, sempre legate al referendum consultivo.
Secondo i proponenti e secondo la 1a Commissione che ha approvato la proposta di legge, l’iter di fusione si interrompe “quando i voti complessivi sul referendum per la fusione sono contrari alla fusione stessa e contestualmente l’esito è sfavorevole almeno nella metà dei Comuni interessati”. In questo scenario, la preoccupazione dei proponenti è di normare anche il caso in cui in qualche comune vinca il Si alla fusione. E’ una curiosa preoccupazione perche’ per sospendere l’iter con le regole di questa proposta è sufficiente che il NO prevalga in un solo comune indipendentemente sia dalla somma dei voti del bacino sia dall’esito negli altri comuni.
Gli ostacoli continuano. Si intende interrompe il progetto di fusione anche quando: “(i) i voti complessivi sul referendum sono favorevoli alla fusione, ma nella maggioranza dei comuni prevale il voto contrario; (ii) i voti complessivi sul referendum sono favorevoli alla fusione, ma il numero dei comuni favorevoli è uguale a quello dei contrari; (iii) i voti complessivi sul referendum sono sfavorevoli alla fusione, ma nella maggioranza dei comuni prevale il voto favorevole.” Nei casi i-ii-iii viene richiesto un ulteriore intervento dei consigli comunali che sono chiamati a deliberare a maggioranza qualificata. Analizziamo i tre casi in dettaglio.
Il primo punto (i) è impossibile che si verifichi se vale la regola generale del quorum deliberativo. Indipendentemente dal numero dei comuni aderenti al progetto, se i voti totali sono favorevoli alla fusione e se in ciascun comune vale la regola del 50%+1 degli aventi diritto (quorum deliberativo), la specifica sulla “maggioranza dei comuni” è banale, poiché per bloccare il progetto di fusione è sufficiente, nelle intenzioni dei proponenti, che il NO prevalga in un solo comune. Analoghe considerazioni valgono per il caso (ii). Caso iii: se la somma dei voti del bacino è per il NO alla fusione e se in ciascun comune vale la regola del 50%+1 degli aventi diritto (quorum deliberativo), la seconda parte dell’eccezione è ridondante, poiché il voto sfavorevole si osserverà in almeno un comune (che è già un vincolo stringente, data la regola del quorum deliberativo).
Sintesi. In estrema sintesi, se fissi quel quorum deliberativo, è inutile proporre altro, poiché è già tutto “blindato” da quella regola. Abbiamo dimostrato che il quorum deliberativo domina sia sul quorum partecipativo sia sulle specifiche previste dai consiglieri proponenti.
Discussione. Il punto è capire se tutto ciò ha un senso. Innanzitutto, si osservi che le condizioni del quorum deliberativo non sono soddisfatte, l’iter si interrompe, ossia non giunge in consiglio regionale per le determinazioni del caso (”il procedimento legislativo si conclude senza passare all’esame degli articoli del progetto di legge”). Per la normativa nazionale, il referendum – qualsiasi sia l’esito – è consultivo: il decisore di ultima istanza è sempre il consiglio regionale. Con questa proposta il referendum rischia di non generare alcun esito, poiche’ le soglie deliberative sono proibitive. E’ anche utile fare menzione delle attuali regole in Calabria e la disciplina delle altre regioni. Nelle ultime due fusioni che si sono avute in Calabria per l’istituzione del comune di Casali del Manco e di Corigliano-Rossano non erano previsti quorum partecipativi e le “indicazioni” al consiglio regionale erano basate sulla contabilizzazione dei voti validamente espressi nel bacino elettorale. Che cosa si fa altrove? Variegato è il caso del quorum partecipativo: lo prevedono pochissime regioni, è stato eliminato in Lazio, Abruzzo, Veneto, Campania, mentre non esiste in Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Piemonte.
La fusione non è un obbligo, ma una scelta. Un’ulteriore valutazione di merito è la seguente. Un progetto di fusione, è al momento attuale, un percorso spontaneo, nel senso che l’avvio dell’iter proviene dai consigli comunali, i quali possono essere chiamati a decidere anche sulla spinta popolare legata alla raccolta firma da parte dei residenti che ne fanno richiesta. I consigli comunali deliberano singolarmente e in modo inequivocabile sulla stessa fusione e non su un generico e non identificato progetto di fusione. Ora, tentare di sospendere l’iter di un progetto al raggiungimento del “50%+1 degli aventi diritto in ciascun comune” è cosa alquanto singolare. E’ una palese contraddizione rispetto all’iniziale mobilitazione popolare e istituzionale che ha avviato il processo.
Una proposta ragionevole. Una soluzione snella e più ragionevole sarebbe la seguente: si dovrebbe contabilizzare solo l’esito del referendum e, per coerenza per quanto detto in questa nota, l’indicazione da dare al consiglio regionale dovrebbe fare esclusivo riferimento sulla maggioranza assoluta dei voti validamente espressi nel bacino elettorale. Senza imporre vincoli partecipativi e senza fissare regole decisionali impossibili da soddisfare. Peraltro, una procedura decisionale priva di barriere alimenta la partecipazione al momento referendario, poiche’ aumenta il peso relativo di ciascun voto espresso. Al contrario, se fissi soglie elevate, crei un disincentivo alla partecipazione al voto, in quanto si diffonde la percezione che il quorum non sarà raggiunto.
A parte tutti gli altri elementi che rendono inutile la proposta e su cui ritorneremo a breve, il quorum deliberativo “50%+1 degli aventi diritto in ciascun comune” e’ una trappola motivata dalla volontà conservativa di chi intende imbrigliare qualsiasi spinta aggregativa tra comuni.
[1] Un esempio. Se Cosenza, Rende e Castrolibero dovessero avviare il progetto di fusione della Città Unica, oggi e a meno di soluzioni fantasiose in Consiglio regionale, la consultazione referendaria sarebbe correttamente avviata qualsiasi sia il numero delle persone che voteranno SI o No alla fusione e l’indicazione da dare al consiglio regionale sarebbe legata alla maggioranza assoluta dei voti validamente espressi nell’intero bacino elettorale.
Passiamo ora a capire cosa succerebbe se la proposta diventasse legge. Immaginiamo che il bacino elettorale sia di 90000 aventi diritto (8000 Castrolibero; 30000 Rende e 52000 Cosenza). Al referendum partecipano 15600 cosentini, 10000 cittadini di Rende e un cittadino di Castrolibero. Il quorum partecipativo è soddisfatto, ma il referendum non sarà ritenuto valido perché in nessuno dei tre comuni si è avuta una partecipazione al voto tale da consentire in ciascun comune il raggiungimento della maggioranza assoluta degli aventi diritto. Il quorum partecipativo è, quindi, inutile.
Affinché l’iter del progetto di fusione continui in consiglio regionale è necessario, a parere dei proponenti, che il SI riceva almeno 45003 Si, di cui 4001 a Castrolibero, 15001 a Rende e 26001 a Cosenza.
Questo contributo è stato pubblicato sul Quotidiano del Sud (edizione del 19 marzo 2019).
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