Il Governo italiano è stato richiamato dalla Commissione europea al rispetto di un importante principio alla base del funzionamento dei fondi strutturali: l’addizionalità.
Secondo la regola europea, negli Stati membri in cui le regioni meno sviluppate ospitano tra il 15 e il 65% della popolazione totale, gli stanziamenti dei fondi strutturali devono aggiungersi agli investimenti pubblici nazionali destinati a quelle regioni. Rispettare la regola è importante per un semplice motivo: non ci si può attendere un impatto significativo dai fondi europei che vengono utilizzati “solo” per sostituire gli investimenti pubblici nazionali. Perciò, all’avvio di ogni ciclo di programmazione, Stati membri e Commissione europea concordano un livello “adeguato” di spesa nazionale per investimenti.
A inizio ciclo 2014-2020, l’Italia si era impegnata a destinare alle sue regioni in ritardo di sviluppo, in media annua per l’intero periodo di programmazione, investimenti pubblici pari allo 0,43% del Pil nazionale. Ma il dato si è fermato allo 0,40% annuo nel 2014-2016. Perciò, la Commissione ricorda all’Italia che dovrà certificare lo 0,45% annuo nel quadriennio 2017-2020 per raggiungere l’obiettivo a fine ciclo. In caso contrario, l’UE potrebbe apportare rettifiche finanziare con conseguenti tagli dei fondi alle regioni del Mezzogiorno d’Italia.
Si tratta di un obiettivo di per sé ambizioso: gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno sono diminuiti anche dopo il 2016.
Ma anche se riusciremo a raggiungere l’obiettivo è improbabile che il Mezzogiorno riceverà un livello “adeguato” di investimenti pubblici nazionali. Per due motivi.
Il primo motivo. Il target di spesa riguarda gli investimenti pubblici nazionali “complessivi”, che includono le risorse ordinarie e quelle aggiuntive che dovrebbero essere destinate al Mezzogiorno. Perciò, nell’esprimere le sue preoccupazioni, la Commissione non è entrata nel merito – né è tenuta a farlo – della valutazione del rispetto dell’obiettivo “nazionale”, altrettanto importante, di rendere effettivamente aggiuntive le risorse nazionali da destinate al Sud per finalità di perequazione territoriale. Un obiettivo, questo, sistematicamente mancato dai governi italiani.
Il secondo motivo. Il target è stato fissato sulla base della spesa storica degli anni 2006-2011. Così facendo, Governo italiano e Commissione europea hanno concordato un obiettivo davvero poco ambizioso: assicurare al Mezzogiorno investimenti pubblici finanziati da risorse nazionali non inferiori a quelli di quegli anni. Ma già allora i fondi europei sostituivano le risorse ordinarie nazionali. E, soprattutto, non venivano rispettate le regole “nazionali” di allocazione territoriale della spesa: destinare al Mezzogiorno almeno il 30% della spesa in conto capitale ordinaria nazionale delle amministrazioni centrali e il 45% della spesa pubblica in conto capitale “complessiva”. Obiettivi prima sistematicamente disattesi, per poi scomparire dai documenti di programmazione della politica nazionale.
Le preoccupazioni della Commissione, oggi, arrivano all’avvio del nuovo ciclo di programmazione 2021-2027, e nei giorni di un rinnovato interesse governativo per la riprogrammazione delle risorse europee e nazionali della coesione territoriale. È di fondamentale importanza rispettare la regola europea per evitare il disimpegno delle risorse previsto in caso di non ottemperanza. Ma è altrettanto importante avere ben chiaro che lo sforzo al quale è chiamata la politica nazionale va ben oltre il rispetto di questa regola.
L’azione nazionale dovrebbe essere orientata a guardare all’addizionalità non come requisito formale da rispettare per i soli fondi europei, ma come un vero e proprio strumento di politica economica necessario a garantire requisiti minimi di funzionamento alla politica di coesione territoriale.
Con riferimento alle risorse ordinarie, disponiamo di uno strumento già introdotto nella legislazione nazionale, ma ancora in attesa di attuazione per incrementare la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno: la clausola del 34%.
Quanto alle risorse aggiuntive nazionali, va invertito il trend calante della spesa per investimenti finanziata dal Fondo per la Coesione e lo Sviluppo (FSC). Le risorse non mancano. Basti pensare ai 20 miliardi circa in conto residui del FSC da rendere “effettivamente” disponibili ed aggiuntivi mobilitando maggiori competenze progettuali, amministrative e istituzionali delle amministrazioni centrali, regionali e locali. Nell’interesse non solo del Sud, ma dell’Italia.