Avvertiamo sempre più il bisogno di dare concrete risposte a quel senso di vuoto che sperimentiamo in noi e intorno a noi mentre ci sforziamo di perseguire una vita ricca di senso. Giustamente Carl G. Jung affermava che “l’uomo non può sopportare una vita priva di senso”. Quel lento sprofondare verso un nichilismo disarmante o verso l’assenza di significato è qualcosa da rimuovere con ferma consapevolezza e salda determinazione al fine di dare un sapore alla nostra esistenza.
Registriamo un diffuso malessere psicologico che serpeggia sempre più in forme pervasive e in maniera stratificata. I dati evidenziano un aumento del consumo di antidepressivi e antipsicotici oltre ad un incremento nella vendita di integratori, come la melatonina, per contrastare l’insonnia da stress; si assiste anche al manifestarsi di disturbi ossessivi legati al rischio di contagio che induce tanti a desiderare il confinamento fisico tra le mura domestiche come modalità unica e sicura per scacciare l’agente patogeno. Non meno preoccupante il ricorso a forme di medicazione autogestita, favorendo così comportamenti di consumo e dipendenza altamente nocivi, soprattutto con riferimento al target giovanile. Assistiamo, dunque, ad un incremento sensibile del numero di accessi in pronto soccorso con diagnosi principale di natura psichiatrica e si allungano le liste d’attesa dei centri di salute mentale: senso di smarrimento, ansia, attacchi di panico, tutti allarmismi tesi a significare un malessere che richiede, con speranza realistica e misurata, non la stanca riproposizione di comportamenti e soluzioni soliti ad essere messi in campo, ma il coraggio di affrontare la complessità sociale dell’attuale tempo inedito e rovesciato – i Greci parlavano di katastrophé letteralmente “capovolgimento”, “rovesciamento”, ma l’immagine più concreta ci appare con quella dell’aratro che rivolta la terra, ossia penetra nella superficie del campo, incide la compattezza del terreno e porta alla luce ciò che sta sotto – sperimentando rischi e opportunità.
Urge levare l’ancora, salpando da un approccio diverso capace di leggere il tema del disagio da una prospettiva sociale, centrata sulla comunità. Più volte i vari opinionisti ed esperti della materia sanitaria hanno ben illustrato le diverse insufficienze strutturali, a cominciare dalla riduzione dei servizi e del personale, a fronte di più accessi in pronto soccorso e nelle prestazioni erogate dal territorio. A tal riguardo non spiace ricordare che la spesa per la salute mentale è ferma al 3,5% del Fondo Sanitario Nazionale rispetto ad una previsione di spesa del 5%. Ma al di là dei dati e delle carenze strutturali e motivazionali dell’intero orientamento del sistema di tutela della salute mentale, che come ben divulgato da ampia letteratura, presenta elementi ormai obsoleti e non più coerenti rispetto alle reali necessità delle società moderne, occorre evitare il rischio di letture e risposte al disagio psicologico basate unicamente sulla “reductio ad unum” di matrice psicologica, medica e di organizzazione dei servizi. Va dunque contrastata la tendenza alla medicalizzazione della vita e la riduzione della medicina dentro una visione tecnocratica della salute.
In altri termini si avverte l’urgenza pedagogica seppure con la necessaria prudenza e pur perseverando nella logica delle diverse “sfumature cromatiche”, ormai divenute l’alfabeto base che orienta il civismo dei nostri comportamenti, di abitare spazi di relazione non “differita” e virtuale. Non possiamo più rinunciare a forme di socialità consistenti, di scambio profondo e affettivo, di con-divisione e pertanto di cura. Il pensiero corre ai nostri giovani e giovanissimi e al beneficio di esperienze relazionali dal vivo in cui poter socializzare solitudini, fatiche e paure generati dalla crisi attuale e di poter altresì sperimentare risposte inedite e ignorate da un mondo adulto infiacchito che tira a campare. Allora la sfida è quella di rigenerare la solidarietà partendo dal riconoscimento della fragilità di tutti e di ciascuno e sulla possibilità di una sua valorizzazione dentro la costruzione di relazioni sociali dense simbolicamente. Siamo indissolubilmente legati gli uni agli altri. Questo inestricabile legame nasconde un forte potenziale generativo; bisogna liberarlo, dargli forma. Il prendersi cura, come sostiene Magatti, è un modo diverso di pensare il nostro rapporto con la realtà. Esprime un compromettersi con l’altro, la capacità di uno slancio prometeico verso ciò che è ignoto ma non mi è estraneo. Non va mai dimenticato che essere al mondo nell’ottica della cura significa co-esistere, con-vivere, costruire il proprio essere in relazione con altri e fare di altri un valore.
L’esperienza della pandemia conferma come la salute mentale sia da intendersi non tanto in senso individuale quanto come una condizione che interessa l’intera comunità. Ecco, dunque, la sfida nella sfida: moltiplicare le ragioni dello stare insieme, dell’abitare luoghi comuni, per opporsi al propagarsi delle derive distruttive dell’autoreferenzialità. Una comunità larga (Aldo Bonomi) capace di trasformare il disagio dell’altro in un orizzonte di benessere per tutti! Dobbiamo sforzarci tutti di arricchire la nostra esistenza di autenticità, di non disorientarci e di saper accogliere i diversi eventi della nostra vita con quella salda consapevolezza interiore improntata a quella che una volta si diceva “saggezza senza tempo”.
*Sociologo