Lo shock da COVID-19 ha suscitato un crescente interesse tra economisti, alimentando una nutrita letteratura empirica. Oltre che aspetti strettamente economici – come, ad esempio, la selettività delle perdite sofferte da lavoratori, imprese e territori diversamente esposti allo shock, una “prima ondata” di studi ha indagato anche i fattori sociali e culturali che hanno rallentato o accelerato la diffusione del virus. In quest’ambito, si è anche fatto ricorso ad alcune misure di “capitale sociale”, un concetto molto ampio, complesso e dibattuto che comprende diversi aspetti sociali, culturali e relazionali come la fiducia nei rapporti interpersonali, il civismo, la partecipazione sociale e politica, l’agire individuale orientato a perseguire l’interesse della collettività.
L’effetto del capitale sociale sulla diffusione del virus è stato studiato ad esempio da Bartscher et al. (2021) concludendo che in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, nei primi mesi della pandemia i contagi sono aumentati più lentamente nelle province caratterizzate da un maggior civismo (approssimato da più elevati tassi di affluenza alle elezioni politiche). Con riferimento alle regioni italiane, un primo contributo ha guardato allo scarso civismo come possibile determinante della “fuga ai treni” di lavoratori e studenti meridionali che lasciavano le regioni del Nord per raggiungere i luoghi d’origine dove il contagio era ancora limitato. In questo caso, è stato osservato che i comportamenti di chi “fuggiva” contrastavano con le tesi del capitale sociale, ridando centralità al ruolo dell’azione pubblica nel limitare la piena sovranità dei comportamenti individuali (Ercolano, 2020).
Studi successivi si sono concentrati sull’efficacia delle cosiddette non-pharmaceutical interventions (NPI), cioè le misure di contrasto alla diffusione del virus basate sul distanziamento sociale e sulla sospensione delle attività economiche non essenziali. Il ruolo svolto dai fattori socio-culturali è stato indagato anche in quest’ambito. Studi sulle regioni italiane e analisi cross-country sui paesi europei hanno osservato, pur in presenza di alcuni distinguo, una maggiore condivisione delle NPI e una maggiore adesione alla loro adozione, nei contesti sociali più orientati a comportamenti cooperativi e più maturi in termini di partecipazione civile (Alfano e Ercolano, 2020, 2021; Alfano, 2022). Anche un recente studio condotto nella provincia dell’Hubei in Cina suggerisce che il capitale sociale influenza la risposta alla pandemia facilitando l’azione collettiva e promuovendo l’accettazione delle misure di contenimento sulla base della fiducia nelle istituzioni (Wu, 2021).
Infine, l’avvio della campagna vaccinale ha orientato l’interesse verso i fattori socio-culturali che influiscono sull’attitudine a vaccinarsi per il COVID-19. Per l’Italia, ad esempio, Salerno et al. (2021), in uno studio basato su un campione di studenti, hanno trovato una correlazione inversa tra la condivisione di affermazioni complottiste e l’attitudine a vaccinarsi. Uno studio sul caso israeliano ha invece confermato l’evidenza dell’efficacia dello strumento del green pass come surrogato dell’obbligo vaccinale (Saban et al., 2021). Ferwana e Varshney (2021), inoltre, hanno esaminato il ruolo del capitale sociale nelle differenze nei tassi di vaccinazione nelle contee statunitensi mostrando, tra l’altro, come le misure di capitale sociale utilizzate siano negativamente associate all’esitazione a vaccinarsi. Anche un’indagine condotta attraverso interviste nello slum di Pau da Lima della città di Salvador, in Brasile, ha messo in luce la correlazione tra la propensione a vaccinarsi e diversi fattori demografici e culturali, anche legati al capitale sociale (Aguilar Ticona et al., 2021).
Posto che tra le motivazioni che possano aver spinto gli italiani a vaccinarsi per il COVID-19 ci sono anche l’altruismo o il civismo, e che queste sono sussunte anche nel concetto di capitale sociale, l’obiettivo del lavoro pubblicato su Regional Economy da Alfano, Ercolano e Petraglia è di verificare se esiste un legame tra capitale sociale e tassi di vaccinazione tra le regioni italiane. Il caso italiano, ampiamente studiato dalla letteratura che indaga il ruolo del capitale sociale, è di particolare interesse per verificare se, a livello territoriale, esistono fattori culturali inclusi nel concetto di capitale sociale che possano aver avuto un ruolo nelle differenze osservabili nei tassi di vaccinazione. Infatti, diversi studi mostrano come nelle regioni meridionali la dotazione di capitale sociale, misurata da alcuni indicatori come il numero di associazioni, di cooperative o le donazioni di sangue, o da indicatori di civismo, come la partecipazione elettorale o la lettura di quotidiani, risulta storicamente inferiore rispetto al Centro-Nord (Putnam et al., 1993; Cartocci, 2007; Calcagnini e Perugini, 2019).
Basandosi sui dati del “Report Vaccini Anti COVID-19”, Alfano, Ercolano e Petraglia studiano la possibile natura altruistica della scelta di vaccinarsi facendo ricorso a sei diverse misure di capitale sociale, solo una delle quali risulta statisticamente significativa e con il segno atteso. I risultati sembrano indicare che se i fattori culturali hanno svolto un ruolo per ciò che riguarda la vaccinazione per il COVID-19 a livello individuale, non si riscontrano differenze regionali correlate agli indicatori di capitale sociale.