Aspetti tecnici ed economici della corilicoltura calabrese
di Antonio Clasadonte*, Luigi Mennella**, Domenico Tosco**
Introduzione La corilicoltura calabrese è un comparto che, pur notevolmente distante per dimensioni da quella delle altre principali regioni produttrici, merita attenzione per l’incremento produttivo registrato negli ultimi anni, nonché per l’impatto socio-economico sull’economia dell’area di produzione. La coltivazione è, infatti, circoscritta in un ambito territoriale piuttosto limitato, che riguarda in special modo alcuni comuni delle province di Catanzaro e Vibo Valentia, nei quali costituisce una valida alternativa produttiva e l’unica soluzione per un’utilizzazione economica di importanza significativa di superfici caratterizzate da forti limitazioni dell’ambiente fisico.
Anche a motivo dei buoni prezzi che il prodotto ha spuntato nel periodo 2004-2007, i coltivatori hanno manifestato un maggiore interesse ad introdurre innovazioni nella tecnica di coltivazione e a migliorare i rapporti con il mercato. Nello stesso tempo, le coltivazioni più marginali sono interessate da un fenomeno di abbandono destinato nel tempo a diventare irreversibile.
In tale quadro si ritiene che una conoscenza più approfondita dei costi e della redditività che la coltura riesce ad esprimere può contribuire ad indurre gli operatori ad effettuare scelte opportune per accelerare i cambiamenti, e conferire al comparto un’adeguata tenuta anche nella prospettiva di un mercato maggiormente competitivo.
2. Aspetti della corilicoltura calabrese
2.1 Diffusione della coltura
Negli ultimi trent’anni la produzione corilicola calabrese ha assunto un trend positivo, particolarmente accentuato nell’ultimo decennio, che ha portato all’estensione della superficie regionale del 37% e all’incremento delle produzioni del 103% (Fig.2.1). Tuttavia, a partire dal 2008 l’ISTAT registra un calo delle superfici solo in parte compensato dall’incremento delle rese unitarie, frutto di abbandono degli impianti più marginali, che si può leggere come un segno di modernizzazione del comparto.
Secondo il V Censimento generale dell’agricoltura, nel 2000 in Calabria il nocciolo era coltivato in 728 aziende, concentrate per il 57% in provincia di Catanzaro (Tab. 2.1). La superficie media era di 0,76 ha, inferiore al dato medio nazionale (0,90 ha), ma appariva molto differenziata tra i diversi ambiti provinciali, con un valore minimo a Reggio Calabria (0,35) e massimo a Catanzaro (0,87), dove si riscontra un maggior livello di specializzazione.
Il 34% dei comuni calabresi, infatti, sono interessati alla coltivazione, ma nel 92% di essi la superficie a nocciolo non supera l’1% della SAU comunale, mentre nella provincia di Catanzaro, il primo valore sale al 58% ed il secondo scende all’89%. In particolare, nei soli comuni di Cardinale e Torre Ruggiero ricade il 56% della superficie ed il 58% della produzione regionale.
2.2 Aspetti economici
L’apporto occupazionale della corilicoltura calabrese merita di essere evidenziato dato il contesto socio-economico nel quale si sviluppa tale comparto. In relazione al grado di meccanizzazione della coltura e ai condizionamenti dovuti all’orografia dei suoli, si stima che la capacità occupazionale del comparto su base annua, per il solo segmento agricolo, si aggiri intorno alle 150.000 ore, corrispondenti a circa 23.000 giornate di lavoro (Tab.2.2).
Dai dati esposti nella Tab. 2.3 emerge come la corilicoltura rappresenti un comparto piuttosto marginale nell’economia agricola calabrese vista nel suo insieme. nel quinquennio 1983-1987, infatti, il suo contributo alla formazione della PV agricola regionale non arrivava allo 0,1%. Tale valore è ulteriormente diminuito nel ventennio successivo, nonostante l’aumento della PV corilicola in valore assoluto, per il notevole incremento registrato nello steso periodo dalla PV agricola regionale, uno dei più elevati fra tutte le regioni italiane.
Finora la commercializzazione e la lavorazione del prodotto non ha dato luogo ad una filiera locale strutturata, ciò a motivo delle ridotte dimensioni del comparto complessivamente preso e della mancanza di una qualsiasi forma organizzativa specifica a carattere interaziendale dei produttori per concentrare l’offerta e rafforzare la posizione nel canale commerciale.
Nell’area delle pre-serre catanzaresi l’intera produzione, attraverso intermediari locali, in passato veniva interamente ritirata da commercianti grossisti o da industrie di lavorazione del sistema campano e del viterbese. In pratica le nocciole, senza alcuna distinzione qualitativa, venivano pagate ai produttori con riferimento al solo peso quantitativo, mentre il commerciante le rivendeva tenendo conto anche del punto resa[1].
Va detto, comunque, che spesso le caratteristiche qualitative venivano compromesse dalle stesse modalità di essiccazione e di conservazione. La prima operazione avveniva mediante l’esposizione delle nocciole al sole su apposite aie. Per la conservazione si utilizzavano locali di fortuna e il prodotto veniva insaccato al momento della vendita. Una prima svolta si è avuta nel marzo del 2008 con la costituzione del Consorzio per la Valorizzazione della Nocciola Calabrese, che ha come obiettivi la concentrazione e la commercializzazione del prodotto. Al momento il Consorzio conta circa 50 soci, i quali hanno finanziato l’acquisto di macchine e attrezzature per la cernita e l’essiccazione del prodotto, nonché attivato un servizio di assistenza tecnica, che ha consentito un miglioramento qualitativo delle nocciole, abbattendo in particolare il tasso di cimiciato del prodotto. L’assistenza, inoltre, fa sì che anche l’essicazione tradizionale venga effettuata in modo più razionale. Il Consorzio citato ha avviato, altresì, la commercializzazione del prodotto in sacchetti da 2-3 Kg per il consumo diretto come frutta secca, perseguendo inoltre l’obbiettivo di inserire la nocciola nel mercato locale per il consumo diretto e come prodotto a KmZero.
Tuttavia, l’azione del consorzio per ampliare il mercato locale è ancora nella prima fase ed assorbe comunque solo piccoli quantitativi, per cui si prevede che per la prossima campagna il grosso della produzione trattata dal Consorzio verrà venduto ad un soggetto commerciale del viteberse. Occorre in proposito ricordare che un certo freno al conferimento al Consorzio da parte dei coltivatori è rappresentato dal costo dell’essiccazione a carico del conferente, stabilito per la scorsa campagna in circa 10 €/q.le. Nell’ottica di una piena valorizzazione del prodotto, potrebbe essere utile indurre i produttori del pregiato Tartufo (gelato) di Pizzo Calabro, che ha ottenuto il riconoscimento comunitario (IGP) ad utilizzare nocciole calabresi, mentre attualmente l’approvvigionamento avviene in Piemonte.
2.3 Aspetti agronomici
La varietà più diffusa è la Tonda Calabrese, caratterizzata da bassa resa alla sgusciatura, cui si affiancano altre cultivar qualitativamente ritenute superiori, quali la Tonda Romana e la Tonda di Giffoni, che riescono a spuntare prezzi più alti. La forma di allevamento monocaule è prevalente.
La raccolta avviene in prevalenza manualmente, tuttavia, non mancano aziende più evolute che raccolgono il prodotto con l’ausilio di macchine, effettuando solitamente un unico intervento. Anche per le coltivazioni che ricevono maggiori attenzioni l’agrotecnica merita di essere ulteriormente razionalizzata. Va detto comunque che nelle aree marginali essa è limitata a interventi essenziali, fino alla eliminazione anche della raccolta se la resa produttiva si prospetta molta bassa. La potatura presenta turni piuttosto lunghi, spesso superiori ai due anni. I noccioleti così condotti manifestano quasi sempre un’alternanza produttiva molto marcata. Questa tecnica colturale dipende anche dal fatto che molte aziende sono di piccole dimensioni, condotte part-time da proprietari che traggono il proprio reddito da altre attività.
3. Costi di produzione e redditività nella corilicoltura calabrese
3.1 Note metodologiche
L’indagine di campo ha consentito di pervenire alla definizione dei principali Processi Produttivi Elementari di Riferimento (PPER) che caratterizzano la coltura, prendendo in considerazione tre variabili tecnico-ambientali e tre di tipo gestionale:
Variabili tecnico-ambientali:
- ambiente fisico: irrigazione, pendenza e vocazione del terreno;
- cultivar: Tonda Calabrese/ Tonda di Giffoni e Tonda Romana;
- grado di meccanizzazione della tecnica di produzione: raccolta manuale / raccolta meccanica.
Variabili gestionali:
- forma di conduzione: diretta del coltivatore (CD), con salariati (CS);
- livello di meccanizzazione aziendale: azienda dotata della trattrice e delle relative attrezzature, compresa quella necessaria per la raccolta meccanica/ azienda che ricorre al noleggio esterno per l’esecuzione di tutte le operazioni meccaniche;
- aiuti pubblici: fruizione degli aiuti accoppiati al prodotto previsti dalla normativa comunitaria / non fruizione degli aiuti.
Sulla base del primo gruppo di variabili sono stati individuati nove PPER (Tab. 3.1), mentre le variabili gestionali combinate fra di loro danno luogo a otto situazioni possibili. L’incrocio fra le due griglie consente di ipotizzare settantadue Modelli Produttivi di Riferimento (MPR). Questo tipo di approccio rende possibile l’evidenziazione della redditività tendenziale della coltura (cfr. 3.2). Ai fini dell’analisi della struttura del costo di produzione sono stati presi in considerazione i cinque PPER più rappresentativi, con riferimento alle aziende sia meccanizzate che non meccanizzate, che non fruiscono di aiuti pubblici (cfr. 3.3). Non sono state prese in considerazione le situazioni produttive molto marginali, caratterizzate da una notevole variabilità dei risultati e interventi di coltivazione quasi del tutto assenti.
Per ciascuna variabile considerata appare opportuno evidenziare di seguito quale sia l’alternativa più diffusa nelle situazioni reali:
- la cultivar Tonda Calabrese rispetto alle altre cultivar;
- la coltivazione in asciutto rispetto a quella irrigua;
- gli impianti in terreni acclivi rispetto a quelli in aree pianeggianti;
- la raccolta manuale è nettamente prevalente rispetto alla raccolta meccanizzata;
- le aziende a conduzione diretta del coltivatore sono dominanti rispetto a quelle con salariati;
- prevalgono le aziende che non usufruiscono degli aiuti rispetto a quelle che li ricevono.
- le aziende non meccanizzate sono più diffuse di quelle meccanizzate.
La procedura adottata stima il Costo di Produzione di Riferimento (CPR) quale sommatoria dei costi espliciti (manodopera salariata, acquisto di mezzi tecnici e servizi, quote di ammortamento e manutenzione attribuibili al processo produttivo, quota parte degli oneri aziendali di carattere generale) e delle remunerazioni di opportunità attribuibili ai fattori conferiti dall’imprenditore.
Sulla base dei riscontri effettuati per la manodopera salariata, sono stati considerati due livelli di remunerazione oraria: euro 6 per la raccolta ed euro 7 per tutti gli altri lavori. Le quote di ammortamento, manutenzione e assicurazione relative alle macchine e attrezzi sono attribuite al processo produttivo in relazione alle ore di impiego, tenuto conto della durata economica ipotizzata per gli stessi; quelle relative alle costruzioni sono espresse per ettaro di superficie aziendale. Gli oneri generali incidono sulla formazione del costo totale in misura del 3%. L’insieme delle remunerazioni attribuibili ai fattori conferiti è definito Reddito Netto di Riferimento (RNR), o reddito netto atteso. Questa stima richiede la definizione delle Remunerazioni Unitarie di Riferimento (RUR), ovvero dei compensi attribuibili ai singoli fattori con i criteri del costo di opportunità. Per la remunerazione del lavoro familiare (RUR_lavf) si è fatto riferimento al salario orario medio degli operai agricoli a tempo indeterminato di media qualifica, calcolato per il 2009 e con riferimento alla Calabria in euro 10,10/ora. Per la remunerazione del capitale di esercizio e di investimento (RUR_cap) si è fatto riferimento al rendimento medio dei Titoli di Stato nel triennio 2007-2009, calcolato, al netto delle imposte, nel 3%. Per la remunerazione dl capitale fondiario (RUR_capf), fissata all’1,5%, si è fatto riferimento rapporto tendenziale tra i canoni di affitto e il valore dei terreni. La remunerazione della funzione di direzione e amministrazione svolta dall’imprenditore (RUR_dir) è fissata al 3% del CPR.
Pertanto:
RNR= RUR_lavf*LAVf + RUR_cap*CAP+ RUR_capf*CAPf + RUR_dir*K/0,97
Dove:
LAVf = lavoro familiare impiegato per il processo produttivo
CAP = capitale di esercizio e di investimento
CAPf = capitale terra
K = totale dei costi di produzione ad esclusione della voce direzione e amministrazione
I fini della stima della redditività dei fattori è calcolato l’Indice di Redditività (IR) quale rapporto RN/RNR. Le remunerazioni totali ed unitarie dei fattori produttivi impiegati si ottengono moltiplicando quelle di riferimento per l’IR.
3.2 Andamento generale della redditività
La griglia di MPR considerata consente di evidenziare l’andamento tendenziale della redditività espressa sia in termini IR (Fig. 3.1) che in termini di RN (Fig. 3.2).
Come si può osservare, in linea generale l’indice tende a migliorare, passando:
- dalla conduzione diretta (CD) a quella con salariati (CS) per la maggior parte delle tipologie;
- dalle aziende meccanizzate a quelle non meccanizzate in presenza di CD;
- dalla non fruizione alla fruizione degli aiuti.
La prima situazione si spiega sostanzialmente con il fatto che i salari si attestano su livelli inferiori a quelli della redditività tendenziale stimata per il lavoro familiare. Con la CS, quindi, l’RNR diminuisce (non comprendendo più la remunerazione del lavoro familiare) in misura superiore di quanto non diminuisca l’RN, per l’aumento dei costi espliciti dovuto ai salari. Nei casi in cui la redditività del lavoro familiare scende al disotto dei salari, con la CS si perviene a redditi netti negativi. In merito al secondo tipo di confronto occorre tener presente che, date le strutture prevalenti delle aziende coinvolte, le analisi ipotizzano un basso impiego della trattrice[2] e delle relative attrezzature. Infine, poiché gli aiuti pubblici hanno un effetto esclusivamente sugli indicatori di redditività, non incidendo sulla struttura del costo di produzione, comportano un incremento del RN, al quale si collega anche un miglioramento dell’IR, stante la mancata variazione del RNR. Il passaggio dalla CD alla CS comporta, ovviamente, una diminuzione significativa di redditività espressa in termini di RN poiché aumentano i costi espliciti. Il passaggio dalla cultivar Tonda Calabrese (PPER n. 1, 4, 6, 8 e 9) alla Tonda di Giffoni o alla Tonda Romana (PPER n. 2, 3, 5 e 7), a parità di tutte le altre condizioni, porta ad un significativo incremento della redditività, stanti i migliori prezzi che si possono spuntare con le ultime due varietà.
Lo stesso avviene con i PPER irrigui (n. 5, 6, 7, 8) rispetto a quelli asciutti. In questo caso, comunque, l’effetto positivo è maggiore in termini di RN che in termini di IR. L’irrigazione, infatti, comporta un incremento dei costi e, quindi, anche un aumento del RNR.
3.3 Struttura dei costi di produzione e redditività dei principali processi produttivi analizzati
Ai fini di un’analisi puntuale sulla struttura dei costi di produzione vengono presi in considerazione i PPER 2, 4, 5, 6, 8 e 9 (Tab. 3.1), con riferimento ad aziende a conduzione diretta del coltivatore, che utilizzano macchine in dotazione (Tab. 3.2) o ricorrono al noleggio delle stesse (Tab.3.3) e non usufruiscono di aiuti pubblici. I Modelli Produttivi di Riferimento (MPR) relativi alla prima situazione gestionale ipotizzata vengono indicati in seguito con la sigla DMN, quelli riguardanti la seconda situazione gestionale con la sigla DNN. Nell’ipotesi DMN la manodopera (familiare e salariata) costituisce sempre la prima voce del CPR. Tuttavia, la sua incidenza percentuale varia notevolmente da un processo all’altro, superando il 56% nei processi che prevedono la raccolta manuale (2DMN, 5DMN, 6DMN, 9DMN) e collocandosi tra il 36% ed il 37% nei due processi con raccolta meccanica, ovvero il 4DMN e l’8DMN (Fig. 3.3).
A parità di livello di meccanizzazione, il costo della manodopera in valore assoluto è massimo nei PPER con rese produttive più alte, ovvero il 6DMN per la raccolta manuale e l’8DMN per quella meccanica, ma ciò non accade anche in termini percentuali, in quanto contestualmente si registra l’incremento anche di altre voci, in particolare il costo della terra e delle quote. Nei processi con medio livello di meccanizzazione, 4DMN e 8DMN, le quote rappresentano sempre la seconda voce di costo, incidendo rispettivamente per il 17% e per il 19%; tra le altri voci emergono il costo della terra, 14% e 16%, ed il consumo di mezzi tecnici (17% e 14%), mentre gli interessi si collocano intorno al 9% in entrambe i casi.
Nei quattro MPR con basso livello di meccanizzazione, dopo la manodopera, le voci più importante del CPR sono i consumi di mezzi tecnici, il costo della terra e le quote. In particolare, con fertilità medio-bassa e bassa, (processi 2DMN e 9DMN), la seconda voce di costo è quella relativa ai mezzi tecnici rispettivamente con l’11% ed il 10%, mentre nei modelli 5DMN e 6DMN, caratterizzati da terreno di media fertilità e quindi di maggior valore, lo è il costo della terra, che raggiunge l’11%.
Nel complesso le tipologie con raccolta manuale presentano anche un CPR decisamente più alto rispetto a quelle con raccolta meccanica, con valore massimo nella 6DMN, a causa del maggior fabbisogno di lavoro. L’IR risulta soddisfacente con media meccanizzazione (1,25-1,39), mentre con la raccolta manuale soltanto nel processo irriguo con Tonda Romana e di Giffoni (5DMN) non è inferiore all’unità. In sintesi l’analisi mette in evidenza che a parità di livello di meccanizzazione l’IR risulti legato al livello produttivo. Nell’ipotesi delle aziende non meccanizzate il costo dei noleggi risulta la prima voce nelle aziende con raccolta meccanica, con il 47% nel MPR 4DNN ed il 42% nell’8DNN (Fig. 3.4). Viceversa, nei modelli con basso livello di meccanizzazione incide tra il 23% (5DNN e 6DNN) ed il 32% (9DNN), mentre la manodopera, familiare e salariata, oscillando tra il 38% ed il 44%, rappresenta ancora il costo più cospicuo. Tra le altre voci risulta rilevante il costo della terra che raggiunge l’incidenza massima nel modello 8DNN (15%).
Passando dalle aziende meccanizzate e quelle non meccanizzate emerge che, a fronte dei maggiori costi di noleggio, si ha una riduzione delle voci di costo relative agli interessi, alle quote, ai mezzi tecnici e alla manodopera. In particolare, le quote diminuiscono più intensamente nei processi con fertilità bassa o medio-bassa (nn. 2,4,9) mentre la manodopera scende soprattutto con basso livello di meccanizzazione (processi nn. 2 e 9).
Nel complesso, si verifica una riduzione del RN particolarmente significativa per il PPER n.9, il più marginale fra tutti quelli analizzati, l’unico peraltro ad assumere valore negativo che nelle aziende non meccanizzate. La minore utilizzazione dei fattori immessi dall’imprenditore determina, nel passaggio al noleggio, un abbassamento del RNR, che ancora una volta è massimo nei processi meno meccanizzati, a motivo della prevalenza del fattore lavoro sugli altri.
4. Considerazioni conclusive
Per aspirare a svolgere anche in futuro un ruolo significativo nel sistema economico in cui si sviluppa, la corilicoltura calabrese è tenuta ad accelerare i processi di cambiamento tecnologico ed organizzativo e ad ampliare le superfici investite nelle aree meccanizzabili e di buona fertilità. Le analisi effettuate, destinate ad essere ripetute ed ampliate nella prossima annata, giustificano queste affermazioni poiché evidenziano i buoni livelli di redditività che possono essere conseguiti nelle situazioni in cui è possibile l’ottenimento di rese produttive soddisfacenti.
Un passaggio obbligato è senza dubbio quello relativo alla meccanizzazione razionale di tutte le operazioni. Appare evidente, infatti, che la raccolta manuale è possibile solo in presenza di conduzione diretta associata ai bassi salari e/o ad un costo di opportunità del lavoro familiare ugualmente molto basso.
I produttori hanno già potuto costatare che il rinnovamento varietale appare essenziale, poiché la cultivar Tonda Calabrese non sembra reggere il confronto soprattutto con la Tonda di Giffoni, in quanto ad apprezzamento commerciale e, quindi, ai prezzi che si possono spuntare. In generale, l’opzione qualità non è eludibile e presuppone la razionalizzazione di tutti gli aspetti della tecnica di coltivazione e cura del prodotto, che possono contribuire al conseguimento di standard qualitativi medio-alti. Questo obiettivo, comunque, non è disgiunto da quello relativo al rafforzamento della posizione dei produttori nella filiera attraverso la concentrazione dell’offerta. I tentativi in atto in questo campo meritano, quindi, di essere incoraggiati e appoggiati.
Infine, sia l’innovamento varietale che l’adeguamento del parco macchine e degli impianti dovrebbe trovare sostegno dell’intervento pubblico, nell’ambito dell’attuazione del PSR 2007-2013.
[1] Il punto resa è rappresentato dal rapporto percentuale tra il peso delle nocciole sgusciate (al netto di marciumi ed impurità varie) e quello del campione di partenza, costituito dalle nocciole essiccate in guscio (di solito 1 kg o 100 semi).
[2] Mediamente 300 ore per anno per totale di 6.000.
*ARSAC Ce.D.A. n. 15 di Serra San Bruno (Vibo Valentia)
**Centro Formazione in Economia e Politica della Sviluppo Rurale di Portici (Napoli)