La regolamentazione del credito cooperativo è l’ultima di una sequenza di interventi avviati sin dagli anni ’90 con la privatizzazione del settore bancario e culminata qualche mese fa con la riforma delle banche popolari. Al di là delle specificità che assumerà la riforma delle BCC, l’unico elemento ad oggi noto è che il nuovo assetto istituzionale dovrà essere coerente con la regolamentazione comunitaria in tema di maggiori garanzie e più efficaci meccanismi di tutela in caso di crisi bancarie. Ciò vale in Francia, cosi come in Germania, Austria e in Olanda ed è impensabile che l’Italia rimanga fuori da questo processo di armonizzazione delle regole. Parallelamente alla lunga diatriba per l’autoriforma tra il Governo Renzi e i vertici del sistema della cooperazione, il dibattito è diventato ancora più attuale perché nel 2014 i crediti in sofferenza di ben 37 BCC italiane hanno raggiunto tassi superiori ai valori considerati di allerta. Per quanto riguarda la Calabria, nel 2014 le sofferenze erano superiori al 20% dei crediti erogati per 5 BCC (di cui alcune oggi sono non esistono più, poiché si sono aggregate con altre). I due temi sono intrecciati, ma considerare il primo (la riforma) come l’effetto del secondo (le sofferenze) è del tutto errato: la riforma è marginalmente legata all’andamento dei crediti in sofferenza.
Il problema delle sofferenze
Proviamo, ora, ad approfondire i rischi di avere BCC con bassa qualità del credito. La prima considerazione da fare è che non ha ragione di esistere nessun grido di allarme sulla tenuta dei singoli istituti, se il livello delle sofferenze è occasionalmente elevato, ossia se si registra in uno o pochi anni. Ciò che potrebbe destare preoccupazione è la persistenza di elevati tassi di crediti in sofferenza, poiché segnalerebbe una duratura cattiva gestione del credito erogato. Tuttavia, anche in questo caso guardare solo alle sofferenze aiuta ben poco, poiché in presenza di elevati tassi di patrimonializzazione, aumenterà, di conseguenza, anche la soglia di “tolleranza” delle sofferenze. Nel caso di una BCC calabrese con sofferenze superiori al 20% dei crediti erogati, si rileva l’occasionalità del dato e il fatto che l’indice di patrimonializzazione ponderato per il rischio (in gergo il TIER 1) è superiore di quasi 10 punti alla media nazionale (12%). Questa banca era a rischio per il semplice fatto di avere sofferenze di poco superiori al 20% dei crediti? Certamente no. Oggi, le aggregazioni effettuate all’interno del credito cooperativo regionale hanno determinato una relativa maggiore solidità e stabilità al sistema: il TIER1 delle 8 BCC Calabresi attive al 30.06.2015 è pari al 22.9%, quasi il doppio della madia nazionale. Le sofferenze nette di queste 8 BCC sono pari, in media, al 6.7% dei crediti netti. Il tasso di copertura delle sofferenze è pari al 62.9% (Segnalazioni di vigilanza delle BCC Calabresi). L’allarme di queste settimane appare quindi del tutto immotivato, soprattutto perché l’attenzione è rivolta solo su un unico indice, quando, al contrario, la valutazione del rischio sollecita analisi più complesse. C’è un ulteriore elemento che mitiga le preoccupazioni ed è legato al periodo di rilevazione. Le sofferenze del 2014 sono verosimilmente legate alla relativa elevata quantità di credito erogato dalle BCC durante gli anni della crisi del 2008. Negli ultimi 5-6 anni si è valutata positivamente la capacità delle BCC di immettere liquidità nei mercati periferici, sorvolando sui potenziali rischi legati alla natura del credito erogato e della tipologia dei mutuatari. Oggi è fisiologico avere qualche BCC con sofferenze maggiori delle soglie consentite: i valori delle sofferenze del 2014 riflettono elementi congiunturali, ossia esterni alla struttura delle singole BCC.
Il ruolo del radicamento territoriale delle BCC
Il rischio è minimo anche perchè il sistema delle BCC è in grado di superare fasi di crisi e/o di gestire i pericoli delle ristrutturazioni. Per esempio, molti osservatori considerano sorprendente come le BCC riescano a convivere all’interno di un mercato governato da grandi istituti di credito. L’aspettativa, infatti, è che in un mondo di “grandi”, i “piccoli” scompaiono. Ciò non si è verificato perchè le BCC hanno sempre reagito alle minacce esterne facendo leva sugli elementi che determinano il loro vantaggio competitivo nei mercati locali. Per esempio, anche nel mondo della cooperazione ci sono state molte aggregazioni che, tuttavia, sono avvenute tra BCC. Ciò ha sì generato una riduzione del numero di istituti (in Italia agli inizi degli anni ’90 le BCC erano circa 700, mentre oggi se ne contano 368), ma è aumentato a dismisura il numero di sportelli: nel 1993 erano 2226, oggi sono circa 4500. Questi dati indicano in modo inequivocabile un aumento, piuttosto che una diminuzione, della vocazione territoriale delle BCC. Nel tempo, quindi, questa rete di banche locali ha garantito l’offerta di servizi bancari ad un’ampia e crescente fascia di mercati periferici e extra-marginali, ossia luoghi con condizioni di contesto socio-economico significativamente diverse rispetto a quelle osservate altrove.
Qualche implicazione
E’ interessante ricordare che nei mercati di riferimento delle BCC, per anni si è assistito all’apertura di numerosi sportelli di banche di dimensioni medio-grandi. Le BCC, quindi, hanno operato in mercati con un grado di concorrenza maggiore rispetto al passato e sono riuscite a competere facendo riferimento alle caratteristiche del loro modello operativo, ossia il localismo e il mutualismo. E’ legittimo, quindi, valutare negativamente qualsiasi ipotesi di ristrutturazione che mini le basi del credito cooperativo, poiché snaturerebbe la sua funzione creditizia in particolari, sebbene piccoli, mercati di riferimento. D’altro canto, appare utile l’ipotesi contenuta nella riforma di legare il mantenimento dell’autonomia decisionale al raggiungimento di virtuose gestioni operative: poiché per le BCC l’autonomia è un valore da preservare, esse stesse avranno forti incentivi per operare in modo efficiente. L’implicazione attesa di questi nuovi incentivi è che il credito cooperativo sarà verosimilmente più solido di oggi, poiché i casi di crisi aziendale generati da cattive gestioni saranno monitorati e, quindi, diventeranno pochi, ossia irrilevanti per l’intero sistema.