Un recupero di produttività deve necessariamente far leva sulla fertilizzazione tecnologica di tutte le produzioni regionali. A tale fine, è importante incrementare gli investimenti (pubblici e privati) in innovazione delle imprese che operano nei settori maturi, minimizzando il rischio di focalizzare l’attenzione solo a favore dei settori high-tech. È un’implicazione di politica economica di cui si deve tener conto in sede di attuazione del POR 2014-2020.
Di FRANCESCO AIELLO
Economista, Unical
La stagnazione dell’economia calabrese non è legata solo alla recente crisi, ma se ne ha traccia da tempo. I dati sul valore aggiunto e l’occupazione regionale pubblicati da Prometeia consentono di fare almeno tre considerazioni. In primo luogo, si osserva che in Calabria la produttività del lavoro è sistematicamente minore della media del Mezzogiorno e dell’Italia. Il divario non solo è persistente, ma è aumentato dal 2007 in poi. Infine, la riduzione della produttività del lavoro in Calabria non si avvia con la crisi del 2007-2008, ma inizia nel biennio1999-2000 (Figura 1).
Figura 1. Andamento della produttività del lavoro in Calabria, nel Mezzogiorno e in Italia dal 1999 al 2014
Poiché è ben noto che un’economia statica non è sostenibile nel medio-lungo periodo, è utile capire quali sono le condizioni che in Calabria hanno reso possibile lunghi periodi di lenta crescita. In estrema sintesi, si può dire che ieri non percepivamo i disagi di avere un sistema economico a bassa produttività, poiché la spesa pubblica sosteneva i consumi ad di sopra delle nostre capacità. Oggi, tutto ciò non è più possibile, poiché i vincoli di finanza impongono tendenziali riduzioni dei trasferimenti dal centro alle periferie, selezione nelle scelte sulle azioni da attuare e rigore nelle fasi di attuazione degli interventi.
Se i deficit di produttività sono diffusi in tutti i settori e un generalizzato miglioramento sarebbe auspicabile in tutti i segmenti dell’economia regionale, alcune priorità di intervento occorre, però, fissarle. Una di queste è prevista dalla programmazione economica predisposta a cavallo delle ultime due legislature regionali e riguarda l’innovazione.
I dati del settore fotografano uno scenario con molte ombre. L’ultimo dato disponibile indica che nel 2012 la Calabria ha investito in innovazioni 165 MLN di Euro, ossia circa lo 0,5% del PIL regionale. In Italia questo dato è pari all’1,26%, ossia molto al sotto dell’obiettivo del 3% fissato per l’UE dalla Strategia Europa 2020. A peggiorare il quadro è la composizione della spesa regionale in innovazione: in Calabria nel 2012 ben l’87% era spesa effettuata dalle università. I divari fra la Calabria e il resto d’Italia sono preoccupanti nel settore delle imprese: a ogni euro speso dalle imprese calabresi ne corrispondono 11,5 spesi nel nord-ovest.
Cosa fare allora? E’ sufficiente affidare le sorti del settore ai fondi provenienti dall’intervento pubblico (nazionale e comunitario)? Questi fondi sono in grado di avviare processi virtuosi degli investimenti privati in innovazione? La prima valutazione da fare è che non è ragionevole pensare di aumentare l’intensità degli investimenti utilizzando solo i fondi pubblici: pur immaginando una crescita nulla del PIL regionale per i prossimi 6/7anni, l’obiettivo di avere investimenti innovativi pari al doppio del corrente valore relativo (immaginando, ossia, un incremento dall’0.5% all’1% del rapporto R&S/PIL) sarebbe conseguibile solo con una spesa annuale complessiva di circa 700 MLN di Euro. Una cifra non disponibile nelle casse pubbliche. Ciò implica che l’obiettivo dell’1% (che è comunque più basso dell’attuale valore nazionale e tre volte inferiore al 3% fissato come media europea nel 2020) sarà possibile solo se saremo in grado di sostenere imprese che abbiano capacità ed attitudine ad intraprendere attività rischiose e che, in prospettiva, ossia in assenza di regime di aiuto, siano capaci di investire da sole in innovazione. In altre parole, e diversamente da quanto sta accadendo da anni in questa regione, nei prossimi anni dovranno essere mobilitate risorse nei segmenti produttivi che più di altri garantiscono la presenza degli effetti addizionali dell’aiuto. Non sostituibilità delle risorse (utilizzo le risorse pubbliche per realizzare innovazione che, comunque, avrei finanziato con risorse proprie), bensì complementarietà tra capitali pubblici e capitali privati. Nella fase attuativa del POR Calabria 2014-2020, l’ente gestore dovrà inventarsi qualcosa per assicurarsi, in primo luogo, che la spesa pubblica sia effettivamente addizionale, senza fare alchimie contabili, e in secondo luogo, che abbia un elevato effetto moltiplicato. In tale prospettiva la Regione Calabria deve svolgere con attenzione il ruolo assegnatole da Horizon 2020, il nuovo programma europeo che introduce un meccanismo di governo delle politiche per l’innovazione in cui le regioni hanno la responsabilità di definire un ordinamento delle azioni da attuare. Un ordinamento, ossia fissare delle priorità, magari poche, ma ad elevato impatto sistemico. Non più interventi a pioggia, ma azioni a sostegno degli investimenti ad alta probabilità di conseguire importanti risultati economici. Potremo convergere verso Europa 2020 solo facendo leva sulla componente privata degli investimenti in innovazione, ma per fare questo è necessario che le politiche per l’innovazione concentrino le loro risorse a favore delle iniziative di successo.
L’eredità che abbiamo ricevuto dalle politiche settoriali è pesante, sia per la tipologia degli interventi sia per i risultati conseguiti. Su questi ultimi c’è poco da dire, poiché non si dispone di alcun documento (a parte fiumi di rendicontazione) che chiarisca l’impatto quantitativo di ciascun intervento nel settore della Ricerca e dell’Innovazione. Nessuno sa dire qual è l’effetto addizionale sugli investimenti privati in innovazione delle misure finora attuate. Buio totale, nonostante la valutazione ex-post serva per definire la sostanza delle nuove programmazioni. Il risultato di questo mancata verifica dei risultati, è che oggi in Calabria le politiche per il ciclo 2014-2010 nel settore dell’Innovazione e della Ricerca sono costruite senza sapere l’impatto di quelle programmate e più o meno attuate per il settennio 2007-2013. Il che pone dei dubbi (legittimi) sull’intero impianto degli interventi in questo settore. Tuttavia, anche in assenza di robuste evidenze empiriche, se guardiamo al livello e alla composizione della spesa in innovazione, si può dire che l’esito dei passati interventi è stato nullo e che il settore si trova nella fase embrionale dello sviluppo. A questo risultato hanno concorso diversi fattori, tra cui certamente la tipologia delle politiche finora attuate. Quello che è stato fatto rientra tra le politiche di offerta, ossia si sono assegnate priorità al sostegno della ricerca di base e delle imprese che operano nei settori high-tech. Scelte condivisibili e corrette in una prospettiva temporale di medio periodo, ma a bassissimo impatto nel breve periodo. La concentrazione sull’offerta è un elemento di criticità delle attuali politiche, poiché si è dimenticato che i processi di fertilizzazione tecnologica delle produzioni possono avvenire anche attraverso l’imitazione e l’adozione delle tecnologie prodotte dagli altri. Essere innovativi può voler dire introdurre innovazioni di processo (radicali) utilizzando tecnologia altrui. Oggi, quindi, è necessario guardare con attenzione anche alla domanda di innovazione di qualsiasi settore. Se in passato i settori maturi sono stati marginalizzati dagli aiuti per l’innovazione, oggi occorre andare oltre le imprese high-tech e deve includere le attività produttive che recuperano competitività con il mero apporto di tecnologie esterne. A tal fine, molte cose devono cambiare (credito, burocrazia, costo dell’energia e del lavoro), ma un elemento su cui puntare riguarda i fabbisogni innovativi delle imprese. È certamente vero che il contesto non aiuta, ma è altrettanto vero che spesso i vincoli alla riorganizzazione delle produzioni sono interni alle imprese e qualche volta sono legati al fatto che la domanda non è manifestata perché si ignorano le opportunità tecnologiche già esistenti. Far emergere questa domanda deve essere uno degli imperativi delle attività che la Regione Calabria ha in programma di attuare in questi anni. Ciò consentirebbe di includere nel circolo virtuoso della rete regionale dell’innovazione anche le imprese dei settori maturi che rendono esplicite le loro convenienze ad innovare.