Il Rapporto 2016 sull’Economia della Calabria curato dalla Filiale di Catanzaro della Banca d’Italia comprende un’esaustiva appendice statistica sulle caratteristiche dell’economia regionale. Il dato di sintesi che emerge è che la recessione osservata fino al 2013 sembra essere bloccata: cosi come nel 2014, anche nel 2015 il PIL aumenta anche se a tassi di variazione molto bassi (nel 2015 solo dello 0.1%). Prima di affermare che la Calabria ha iniziato a crescere è necessario che si verifichino due condizioni. La prima è che queste tendenze annuali siano osservate in modo regolare nel corso del tempo: è azzardato parlare di crescita se il dinamismo non è persistente. La seconda condizione è che la crescita avvenga a tassi molto più elevati delle irrisorie variazioni del 2014 e del 2015.
Sebbene sia di natura congiunturale, il rapporto della Banca d‘Italia fornisce dei dati sulla struttura dell’economia reale che consentono di poter sviluppare qualche ragionamento sulle prospettive di crescita della regione. In particolare, in questa nota si parte dalla constatazione che nel 2015 in Calabria i NEET – ossia i giovani che non lavorano, non studiano e non seguono un percorso di formazione – sono il 43% dei calabresi compresi tra 15 e 34 anni (pag. 17 del Rapporto). Su 10 persone appartenenti alla fascia più dinamica della popolazione, solo poco più di 5 svolgono qualche attività educativa o lavorativa. Si tratta di un valore in crescita (nel 2007 era il 32,6%) e molto più elevato della media nazionale (27%). E’ un fenomeno che desta molta preoccupazione perché l’attuale scelta di rimanere ai margini di qualche forma di relazione sociale e lavorativa, condiziona negativamente sia le prospettive dei singoli sia, in aggregato, la qualità di forza lavoro cui la Calabria potrà fare riferimento in futuro.
La questione, quindi, è capire cosa fare per facilitare il rientro dei NEET nei circuiti relazionali. A riguardo, è importante dire che parte della crescita dei NEET è legata all’aumento delle persone che non studiano. In Italia, il tasso di passaggio dalla scuola all’università è basso: nel’A.A. 2015-2016 questo tasso è del 50% a conferma del fatto che siamo un paese che ha smesso di puntare sull’alta formazione. In Calabria, il quadro è ancora più drammatico, con solo il 47% di immatricolazioni di nuovi diplomati (Miur, “Gli immatricolati nell’A.A. 2015-2016 il passaggio dalla scuola all’università dei diplomati nel 2015”, Marzo 2016). La bassa scolarizzazione aumenta ulteriormente se si fa riferimento al tasso di abbandono degli studi che in Calabria è tra i più elevati d’Italia, essendo superiore al 12% dopo il primo anno e maggiore del 15% dopo il terzo anno dall’immatricolazione (Miur 2016). Si studia poco e tra coloro che avviano un percorso formativo in molti non lo concludono.
Numerosi elementi possono spiegare la diffusa disaffezione a formarsi. Certamente questa tendenza dipende dagli elevati costi della formazione, così come un peso rilevante è legato alle abilità individuali. Si tratta di due importanti elementi che determinano il disinvestimento in educazione. Da più parti si argomenta anche che la bassa percentuale di studenti universitari sia dovuta alla percezione che studiare non premi. Si tratta di un errore di valutazione che necessita di una correzione.
In Calabria, nel triennio 2013-2015 l’88% dei disoccupati da oltre un anno possiede al massimo un diploma e solo il restante 12% ha una laurea. Valori abbastanza simili si hanno per Italia (90,5% e 9,5%) e per il Mezzogiorno (90,8% e 9,2%) (Tavola a16 del Rapporto di Banca d’Italia). Come dire, anche in anni di recessione – ossia quando la disoccupazione è elevata – i disoccupati laureati sono relativamente molto di meno rispetto ai disoccupati non laureati. Ampiamente consolidato è anche il risultato che le retribuzioni dei laureati sono significativamente più elevate rispetto a quelle dei non laureati, sebbene esistano differenze tra aree del paese e per sesso. Dalla tabella 4.13 del Rapporto Annuale Istat del 2015 si può notare, infatti, che limitatamente ai lavoratori di sesso maschile, il premio della laurea è del 68% nel Centro, 56% nel Nord e del 51% nel Mezzogiorno. Questi differenziali salariali si hanno anche nel caso delle donne, sebbene siano meno elevati: una laureata del Centro-Nord guadagna in media il 28% in più di una non laureata. Nel Mezzogiorno d’Italia, il differenziale salariale tra lavoratrici laureate e non laureate è del 20%. A parità di condizioni – sesso e regione – conviene laurearsi.
E’ anche vero che non tutte le lauree garantiscono gli stessi guadagni. Qualche evidenza a riguardo può essere ricavata dai dati dell’Indagine 2016 di AlmaLaurea. Per le lauree magistrali e a ciclo unico, il campione AlmaLaurea comprende 46461 studenti che si sono laureati nel 2010. A 5 anni dalla laurea (ossia nel 2015) il guadagno mensile medio è di 1369 euro e il tasso di occupazione è pari all’85%, ossia molto più elevato del tasso di occupazione nazionale. Per quanto riguarda gli studenti calabresi, il guadagno mensile nel 2015 dei 248 laureati dell’Università di Reggio Calabria è in media pari a 1249 euro (73% il tasso di occupazione), quello dei 253 laureati a Catanzaro è di 1201 euro (70,4%), mentre per gli 837 laureati presso l’Unical il guadagno medio mensile ammonta a 1178 euro e il tasso di occupazione è del 71,1%.
L’asse orizzontale della figura 1 indica, inoltre, che le retribuzioni mensili nette dei laureati italiani sono molto diverse da laurea a laurea, variando da 765 euro a 2100 euro al mese. Questa eterogeneità è confermata anche tra i laureati calabresi (asse verticale della figura 1), dove il campo di variazione è compreso tra una laurea che consente di avere in media un reddito mensile di 457 euro e una laurea che garantisce un reddito mensile di 1855 euro. La lettura congiunta di queste informazioni rivela che alcuni punti – ossia redditi relativi per corso di laurea – si collocano a sinistra della bisettrice. Ciò significa che per alcune lauree conseguite in uno dei tre atenei calabresi, il reddito del 2015 è maggiore di quello conseguito da chi ha studiato altrove la stessa materia. Molti alti punti del grafico si posizionano in prossimità della bisettrice. Si tratta di un risultato che segnala come, a parità di corso di laurea, studiare in Calabria non rappresenti in sé e per se uno svantaggio in termini retributivi.
Abbiamo, quindi, appreso che il tasso di occupazione dei laureati è elevato. In altre parole, la probabilità di collocarsi nel mercato del lavoro aumenta all’aumentare del livello di studio. Si è argomentato, inoltre, che i salari dei laureati sono molto più elevati di quelli percepiti dai non laureati. Infine, il premio-laurea varia al variare della laurea. Si tratta di un’evidenza che si riscontra in tutto il paese, indipendentemente dalla sede di conseguimento della laurea.
La sintesi è che un’attenta azione di sensibilizzazione dovrebbe coinvolgere i NEET che decidono di non studiare perché pensano che non convenga. Si è mostrato come questa percezione sia del tutto infondata. Chi scrive è fortemente convinto che un’ampia proporzione di mancate immatricolazioni all’università potrebbe essere recuperata facendo leva su una sana e corretta attività di comunicazione e di informazione sul valore della laurea.