Il dibattito. Con la vittoria del SI nel referendum consultivo del 22 ottobre scorso a Rossano e Corigliano si è dunque avviato il processo di fusione dei due Comuni. Questo referendum, com’è noto, è stato preceduto da forti polemiche sui tempi e sui modi di realizzazione dell’unione delle due municipalità e dal tentativo non riuscito di bloccarlo, facendo ricorso anche ai due gradi della giustizia amministrativa. Ma ora che i cittadini si sono pronunciati in senso favorevole, anche se in maniera disomogenea e nonostante la bassa affluenza, fattori che comunque non inficiano la validità della consultazione, si avvierà l’iter che dovrebbe portare alla costituzione di una città di 77.150 abitanti, la più popolosa della provincia di Cosenza e la terza nella graduatoria delle città calabre per dimensione demografica[1].
La trasformazione urbana. Il risultato di questo referendum in verità non è altro che la manifestazione attraverso il voto da parte dei cittadini di Rossano e Corigliano della consapevolezza della trasformazione urbana avvenuta nella loro area negli ultimi decenni, trasformazione che s’inquadra nel più ampio processo di antropizzazione che ha conosciuto la Calabria nel secondo dopoguerra. Infatti, a partire dagli anni ’50 del secolo la Calabria ha sperimentato una diffusa redistribuzione della popolazione caratterizzata dall’accentuazione crescente del carattere urbano. Nonostante ciò – come abbiamo avuto modo di sottolineare in altre occasioni – i centri urbani in Calabria non presentavano[2] e non presentano ancora appieno quei tratti che distinguono le città moderne (per la mancanza per esempio di un sistema integrato e efficiente di mobilità urbana, per citare uno solo di questi tratti). Ricordiamo che in passato varie cause hanno spinto le popolazioni calabre a preferire i centri urbani nonostante l’elevata ruralità della popolazione. Fino alla metà dell’800 la Calabria era considerata una regione sotto popolata a causa delle crisi che si erano avute dal ‘500 in poi e che avevano interessato soprattutto le campagne provocando un movimento verso le città[3]. Questo quadro cambia verso la metà dell’800, epoca in cui la popolazione della Calabria registra valori d’incremento comparabili a quelli dell’Italia intera. Fino al 1931 la crescita delle città fu abbastanza lenta per effetto del grande esodo migratorio che interessò tutta la regione[4]: dopo 70 anni dall’Unità esse infatti non avevano ancora raddoppiato la loro popolazione. Successivamente, si ha con un’accelerazione dell’incremento che diventa frenetico a partire dagli anni’50. Negli anni ’80 termina la crescita convulsa delle tre città capoluogo a cui segue una fase di stabilizzazione della popolazione e in alcuni casi di declino per effetto dell’esaurimento dell’urbanesimo e per l’emergere di un sempre più evidente malessere demografico[5]. Negli ultimi decenni si sono venuti a formare centri di attrazione come Crotone e Vibo Valentia e originali processi di aggregazione tra Cosenza, Rende, Castrolibero e Montalto, tra Catanzaro e Lamezia, tra Locri e Siderno e tra Corigliano e Rossano. Questi ultimi, con il referendum consultivo del 22 ottobre, si avviano dunque a diventare una unica città con una road map che tuttavia non si preannuncia rapida nei tempi.
La sfida demografica. Per realizzare al meglio questo progetto gli amministratori dovranno tenere in conto, oltre i punti di forza e debolezza economici e sociali delle due città, anche le loro similarità e differenze demografiche attuali e di un futuro verosimile, fattori questi ultimi che potranno costituire un importante supporto per le decisioni politiche, specialmente quando tali decisioni implicheranno investimenti di risorse finanziare e umane (piani di intervento per l’occupazione giovanile, per la costruzione di una rete di assistenza sanitaria e di welfare locale, per la razionalizzazione del servizio di istruzione pubblica, per la programmazione delle attività culturali e così via). Per questo motivo abbiamo qui tentato di prefigurare, partendo dall’evoluzione demografica passata delle due città, quale potrebbe essere il sentiero che percorreranno queste popolazioni, disegnando, come fatto per altre aree urbane calabresi, uno scenario demografico dal quale abbiamo escluso volutamente il movimento migratorio fortemente condizionato da una molteplicità di fattori economici, politici e sociali di difficile previsione. Questo scenario è basato sull’ipotesi dell’invarianza della sopravvivenza e della fecondità nel prossimo mezzo secolo. Più precisamente, si è supposto che nel prossimo cinquantennio la sopravvivenza si mantenga costante su valori registrati nel 2015 nell’intera regione che assicurano una vita media di 79,8 anni per i maschi e 84,2 anni per le femmine. Per la fecondità si è previsto invece che le donne di Rossano e Corigliano mantengano nel medesimo periodo costante la loro propensione feconda sul valore di 1,29 figli per donna, valore leggermente superiore alla media provinciale, per tener conto che questa è un’area ancora vivace e con un invecchiamento più contenuto (in particolare Corigliano) rispetto, per esempio, ai Comuni dell’area urbana cosentina segnati da una maturità demografica molto più pronunciata (Tab 1).
Bisogna tuttavia sottolineare che con i livelli futuri di fecondità qui supposti non si avrebbe la sostituzione delle generazioni – che ricordiamo è pari a 2,1 figli per donna – e di conseguenza anche questa area si avvierebbe progressivamente verso una progressiva riduzione di popolazione, con un marcato malessere demografico. Più specificamente, nel quadro qui disegnato, dal 2017 al 2065 Rossano da 36.724 abitanti scenderebbe a 25.782, Corigliano da 40.426 a 29.823 e di conseguenza l’area nel suo complesso dai 77.150 abitanti di oggi imploderebbe a 55.605 (Fig. 1).
Come se nell’arco di appena mezzo secolo svanisse il 59% della popolazione odierna di Rossano o in alternativa il 53% di quella di Corigliano. Il malessere demografico che conoscerebbe l’intera area si può cogliere ancora meglio sia dal confronto delle piramidi della popolazione tra l’inizio e la fine del periodo di previsione (piramide a forma rovesciata nel 2065) (Fig.2), sia osservando i valori degli indici di vecchiaia che, pur se temperati per l’apporto della struttura demografica più giovane di Corigliano, crescerebbero via via fino a raggiungere il valore eccezionale, e veramente preoccupante per le conseguenze socio- economiche, di 350 vecchi per 100 giovanissimi (Tab. 2). Dunque, tra le molte sfide che gli amministratori dovranno affrontare nel prossimo futuro, quella demografica non sarà certamente di minor importanza.
[1] Secondo i dati Istat riferiti al 1/1/2017 Reggio Calabria contava 182.551 abitanti, Catanzaro 90.240 abitanti, Lamezia Terme 70.891, Cosenza 67.563, Crotone 63.455.
[2] G. De Bartolo, Tendenze e prospettive demografiche delle città calabre, CNR- Istituto di Ricerche sulla Popolazione, WP 08/91, Roma, 1992.
[3] A. Placanica, I caratteri originali, in P. Bevilacqua, A. Placanica (a cura di), La Calabria, Einaudi, 1985.
[4] Ricordiamo che dal 1876 al 1915 gli espatri dalla Calabria furono 885.000 e l’esodo fu particolarmente intenso dalla provincia di Cosenza. Cfr. G. De Masi, La Calabria e l’emigrazione: un secolo di partenze (1876- 1976), in V. Cappelli, G. Masi, P. Sergi (a cura di), Calabria Migrante, Centro di Ricerca sulle Migrazioni, 2013.
[5] Per “Malessere demografico” s’intende l’insieme delle conseguenze demografiche, economiche, sociali e psicologiche causate dall’alterazione della struttura di una popolazione. Cfr. A. Golini, A. Mussino, L. Savioli, Il malessere demografico in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001.