Coronavirus e riapertura: una nota a margine del documento del comitato tecnico scientifico. Sui giornali di ieri è stato pubblicato il documento del Comitato Tecnico Scientifico che contiene le previsioni sull’andamento dell’epidemia in caso di riapertura. L’analisi di questi dati lascia particolarmente perplessi perché almeno alcuni sembrano molto irrealistici soprattutto se confrontati con le evidenze statistiche acquisite in questi mesi di pandemia.
A lasciare perplessi è la stima che in caso di riapertura completa si dovrebbe verificare l’8 giugno un picco di più di 151 mila accessi in terapia intensiva. Per dimostrare l’inaffidabilità di questo dato non serve un modello con equazioni differenziali, ma sono sufficienti semplici conti aritmetici. Quello che sappiamo è che il Covid 19 ha una incubazione media di circa 5-7 giorni e che dalla manifestazione dei sintomi all’ingresso in terapia intensiva passano in media 10 giorni. Sappiamo anche che l’R0 al 4 maggio dovrebbe collocarsi tra lo 0,5 e lo 0,7 e che ragionevolmente impiegherebbe qualche giorno per risalire al valore 2,25 previsto dal modello. Per avere un picco l’otto giugno con 151000 persone in terapia intensiva, tenuto conto che attualmente il rapporto fra positivi e ricoverati in terapia intensiva è dell’1,8%, dovremmo immaginare almeno 8.500.000 di contagi rilevati nella settimana che va dal 15 al 22 maggio che è un dato irrealistico e che si trasformerebbero in circa 45.000.000 di contagi, ossia quasi l’intera popolazione italiana, se considerassimo un rapporto fra contagiati con sintomi e asintomatici di 1 a 5.
Questa considerazione non è mirata a dimostrare che si possa riaprire con tranquillità, perché se non fossero 151.000, ma fossero 15.100 i contagiati bisognosi di terapia intensiva il problema sarebbe pur sempre enorme e insormontabile per l’Italia.
Questo intervento vuole, innanzitutto, enfatizzare i rischi nell’uso dei modelli matematici nella decisione politica. Un modello non è la realtà, ma una sua rappresentazione. Particolari fenomeni, quelli non lineari a cui appartengono le epidemie, sono estremamente sensibili alle variazioni dei parametri e delle condizioni iniziali. Ciò significa che se scelgo opportunamente i valori iniziali e/o particolari valori dei parametri posso ottenere il risultato che desidero. E, di converso, ogni variazione anche piccola dei parametri e delle condizioni al contorno fa variare drammaticamente i risultati delle simulazioni.
Il documento di cui discutiamo non contiene una descrizione né della metodologia, né del valore dei parametri, né delle condizioni iniziali, per cui non abbiamo nessuno strumento per poterne valutare la bontà dal punto di vista matematico. Ma, anche compiendo una pura operazione fideistica e accettando per buoni questi valori che non conosciamo, non possiamo sottrarci al principio di realtà della verifica del realismo di alcuni risultati.
L’utilizzo dei modelli per le decisioni di politica economica e di politica sanitaria non può prescindere, a maggior ragione quando tentiamo di predire fenomeni non lineari, da una seria analisi anche sul realismo delle ipotesi iniziali e dei parametri scelti per evitare di prendere decisioni che riguardano scenari che sono sì possibili, ma altamente improbabili. E chi studia i fenomeni non lineari e la meccanica statistica sa bene che uno scenario altamente improbabile normalmente non si verifica.
Qualche anno fa, in uno dei nostri ultimi incontri con Osvaldo Pieroni, purtroppo prematuramente scomparso, discutevamo del ruolo ancillare dei tecnici rispetto alla politica. Quello che bisogna evitare, soprattutto in questi frangenti, è sia il ruolo ancillare dei tecnici rispetto alla politica e, quindi, evitare di tentare di giustificare scientificamente o pseudo-scientificamente particolari decisioni politiche, ma anche il ruolo ancillare della politica nei confronti dei tecnici, soprattutto quando il politico non è dotato di un opportuno sostrato metodologico che lo rende in grado di controllare i risultati proposti dagli scienziati. Se le ipotesi sono improbabili, anche i risultati dei modelli sono improbabili e prendere decisioni sulla base di risultati errati produce danni esattamente come prendere decisioni senza tenere conto dei risultati della scienza.
La lezione da imparare è quella di un nuovo rapporto fra scienza e decisione politica, in cui la prima non produce verità rilevate, ma scenari con determinati livelli di probabilità e di rischio e il politico decide sulla base di queste considerazioni. Se il rapporto scienza e decisione politica diventa ancillare è sempre deleterio, se, al contrario, il rapporto è quello di un sano ed onesto confronto i risultati possono essere migliori.