Demografia e Silver Economy

Introduzione. L’Italia, come molti altri paesi europei, si caratterizza per un forte invecchiamento demografico che nel prossimo futuro, sulla base delle tendenze in atto e in particolare per la natalità costantemente declinante, sarà sempre più intenso. Se ci soffermiamo agli ultimi anni (2010-2018) osserviamo che la popolazione anziana è aumentata da 12,2 milioni a 13,6 milioni, pari a un incremento dell’11,5%. Com’è noto, i crescenti e sempre più complessi bisogni della terza età stentano a essere soddisfatti dalle politiche pubbliche. Si pensi al continuo dibattito sulla sostenibilità del sistema delle pensioni messo in crisi anche dall’invecchiamento demografico[1]. Nello stesso tempo però questo segmento di popolazione, che racchiude la cosiddetta Silver Economy, offre opportunità di mercato sempre più interessanti, anche se su quest’argomento vi sono state in passato opinioni contrastanti. Infatti, secondo alcuni, l’invecchiamento della popolazione creerebbe delle opportunità solo alle aziende produttrici di medicinali e parasanitari; quello della terza età sarebbe un mercato non interessante per una serie di ragioni da collegare alla minore sensibilità degli anziani a seguire la moda e a lasciarsi influenzare dai mass media, ma anche alla circostanza che il reddito dell’anziano non è elevato. Per altri, invece, gli anziani rappresenterebbero una buona opportunità di mercato, grazie alla loro capacità di spesa che è andata via via crescendo nel tempo; all’aumento del loro numero, ai cambiamenti che stanno avvenendo nella composizione dei loro consumi, ma anche nei valori culturali[2]. Alla luce dell’evoluzione economica degli anni recenti è nettamente prevalente la seconda opinione e, infatti, oggi la Silver Economy, come vedremo, ha uno share importante nell’economia complessiva di molti paesi.

La Silver Economy. Ecco alcuni dati che mostrano le potenzialità future di questo mercato. In Italia, dal 2016 al 2050, la popolazione anziana aumenterà del 42,8%, passando da 14 milioni a 20 milioni. A livello regionale la crescita del tasso d’invecchiamento previsto per 2035 sarà più consistente soprattutto nelle regioni del centro-sud con valori incrementali superiori al 9%. (Sardegna, Basilicata, Puglia, Campania e Calabria)[3].

La Silver Economy può essere analizzata da più punti di vista. Per il 2014 l’occupazione strettamente riconducibile ad essa è valutata in almeno 970mila unità, le imprese occupate sarebbero 251mila e il valore aggiunto prodotto è quantificabile in almeno 43,4 miliardi di euro, con prevalenza del settore sanità e assistenza sociale, trasporti, svago e tempo libero (Tabella 1)[4].

 

Un’ulteriore valutazione dell’impatto economico della SE può trarsi leggendo il rapporto recentemente pubblicato dalla Swiss Reinsurance Company che ha analizzato quanto costano gli over 65 in tredici tra i più importanti mercati assicurativi del mondo, tra cui l’Italia[5], suddividendo tali costi in quattro categorie: Stato, Famiglie, Risparmi e Assicurazioni. Nel 2015, a livello globale, il mantenimento degli over 65 è valutato in 11 mila miliardi di dollari, con una spesa media pro-capite all’anno di 41mila dollari, per il 60% sostenuta dallo Stato, per il 10 % dalle famiglie e per il 5% dalle assicurazioni. In Italia per gli ultrasessantacinquenni si spendono complessivamente 600 milioni di dollari, con una spesa media procapite di 44 mila dollari (38 mila euro). Lo Stato sopporta il 73% del costo, le famiglie l’11%, il 15% proviene dai risparmi e solo l’1% dalle assicurazioni. Nei paesi demograficamente più maturi come Italia, Francia, Germania e Giappone il peso dello Stato supera il 70% del costo totale (Figura 1).

Nel prossimo futuro, data la velocità dell’invecchiamento della popolazione italiana, questo costo è destinato ad aumentare ineluttabilmente se non si cambia rotta, mettendo in campo politiche che facciano dispiegare appieno le capacità produttive esistenti; di governo dell’immigrazione che sia funzionale alla crescita, il che presuppone buone prassi di accoglienza; una politica di sostegno della natalità, con una risposta che per produrre risultati non effimeri, come ha affermato recentemente Giancarlo Blangiardo su Vatican News, sia “mista”, cioè economica, normativa e culturale. Non mi pare, però, che i provvedimenti della recente manovra  economica vadano in tale direzione, anzi.


[1] Se si guarda al solo aspetto demografico questi provvedimenti potrebbero anche essere corretti perché la dinamica demografica, riducendo il numero degli attivi e facendo crescere i pensionati, sarebbe la causa della crisi del sistema previdenziale. Questo è vero solo in parte perché, com’è noto, lo straordinario sviluppo economico ha svincolato la produzione della ricchezza dalla quantità di lavoro erogata facendola dipendere soprattutto dalla sua produttività. Per gli altri elementi che confutano il luogo comune che Demography is destiny si rinvia a: G. De Bartolo, Il pasticciaccio delle pensioni, in: Invecchiamento Welfare Povertà Immigrazione, Edizioni Scientifiche Calabresi, 2013, ma, soprattutto, al saggio di Giovanni Mazzetti, La cura che uccide. Perché i sacrifici imposti ai padri impoveriscono anche i figli, Associazione per la Redistribuzione del lavoro, Roma, 2009.

[2] Giuseppe De Bartolo, Elementi di analisi demografica e demografia applicata, Centro Editoriale e Librario, Università degli Studi della Calabria, 1997.

[3] Mariuccia Rossini, Silver Economy: l’invecchiamento come risorsa, Korian Italia, 2017.

[4] Edoardo Zaccardi, Silver Economy: l’invecchiamento come risorsa. L’’impatto sul nostro sistema produttivo: panorama dei settori interessati, Itinerari Previdenziali, Roma 2018.

[5] Who pays for ageing, Swiss Re, 2018.

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