Demografia italiana: dal freddo al gelo?

Man mano che l’Istat aggiorna il Report su natalità e fecondità, come quello rilasciato il 31 marzo scorso, si rafforza sempre di più la convinzione che la denatalità, ovvero la Peste Blanche, come la definiva in un famoso libro degli anni ’70 del secolo scorso lo studioso francese Pierre Chaunu, con qualche eccezione, sia ormai una componente strutturale della nostra società senza distinzioni territoriali.

Vediamo i tratti più salienti che emergono da questo Rapporto. La demografia italiana nel 2024 ha registrato ancora due minimi storici: le nascite si sono ulteriormente ridotte toccando 370mila bambini, 10mila in meno rispetto all’anno precedente; il tasso di natalità è sceso ancora, attestandosi al 6,3 per mille abitanti del 2024 contro il 6,4 del 2023. La fecondità stimata per il 2024 ha toccato 1,18 figli per donna feconda, valore al disotto non solo di quello dello scorso anno (1,20) ma anche del minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel lontano 1995.

La forchetta dei valori regionali è molto ampia, 1,39 figli per donna feconda in Trentino-Alto Adige, 0,91 in Sardegna, valori tutti largamente al di sotto della soglia di sostituzione delle generazioni di 2,1 figli per donna feconda. La contrazione della fecondità riguarda in particolare il Nord e il Mezzogiorno, anche se in quest’ultima ripartizione troviamo tre regioni, Sicilia, Campania e Calabria, con indici di fecondità i più alti in assoluto dopo il Trentino-Alto Adige, dunque con un inverno demografico più temperato.

Questi trend sono il risultato di tre fattori: la diminuzione in corso ormai da anni della propensione delle donne a procreare; l’innalzamento dell’età alla maternità, che a sua volta contribuisce a ridurre sempre di più l’intervallo fecondo; la diminuzione numerica della popolazione femminile in età feconda (15- 49 anni compiuti) che da 14,3 milioni di unità del 1995 è scesa a 11,4 milioni del primo gennaio 2025. Tutto ciò si riverbera sul numero delle nascite in continua e costante riduzione che nel 2024, come già visto, si sono attestate sulle 370mila unità, dunque lontano dalla soglia psicologica del mezzo milione di appena dieci anni fa.

I dati del Report forniscono anche l’occasione per andare oltre la mera analisi descrittiva, spesso privilegiata da molti commentatori, e utilizzare qualche strumento demografico un po’ più sofisticato, come il modello della “popolazione stabile” di Lotka, che consente, in assenza di migrazione, di stimare sia l’intensità della decrescita (mediante il tasso potenziale annuo di decremento naturale) sia la sua velocità (mediante il tempo in anni di dimezzamento della popolazione).

I valori, riportati nella tavola 1, riferentisi al 2024, fotografano la graduatoria del gelo demografico prossimo venturo italiano nelle sue declinazioni territoriali, graduatoria che conferma il Trentino Alto Adige nella posizione migliore a livello nazionale con -1,22% annuo di decremento naturale e 56,4 anni di tempo di dimezzamento della popolazione. A seguire per incremento di disagio troviamo Campania, Sicilia e Calabria, e poi ancora più giù la gran parte delle regioni italiane. Chiudono la graduatoria il Molise, la Valle d’Aosta e la  Sardegna, quest’ultima con gli indici negativi più alti a livello nazionale (-2,47% annuo di decremento naturale e 28 anni per il dimezzamento della sua popolazione).

Questa geografia risulterebbe ulteriormente diversificata addentrandoci nelle singole realtà provinciali. Per la Calabria, per esempio, le provincie di Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia registrerebbero indicatori di disagio demografico molto temperati (-1,3/-1,4% di decremento naturale annuo e 50-51 anni per il dimezzamento della popolazione) mentre in quella di Catanzaro e Cosenza questo disagio sarebbe molto più intenso (-1,7/-1,8% annuo di decremento naturale e 38/41 anni per il di dimezzamento della popolazione).

Tavola 1.  Indicatori dell’inverno demografico nelle Regioni italiane. Anno 2024

Il Report certifica ancora che nel 2024 la popolazione italiana avrebbe avuto una diminuzione maggiore se non fosse stato per il saldo migratorio positivo che ha largamente compensato quello naturale, segnato da un forte segno meno. Un dato confortante è l’aumento della vita media alla nascita pari a 83,4 anni, cinque mesi di vita in più rispetto al 2023, valore che, paradossalmente, facendo lievitare le classi anziane, contribuisce ad accrescere l’indice di invecchiamento della popolazione.

Altri dati su cui riflettere sono l’aumento dell’emigrazione con l’estero in sensibile crescita e le perdite di popolazione nel Mezzogiorno causate dagli spostamenti tra Comuni. Spostamenti che, pur interessando tutte le regioni del Mezzogiorno, riguardano maggiormente la Basilicata e la Calabria, in cui sono stati registrati tassi emigratori negativi rispettivamente del 5 per mille e del 4,6 per mille.

In definitiva tutti questi elementi certificano che l’Italia e le sue regioni sono entrate in un inverno demografico ancora più severo rispetto a qualche anno fa con un invecchiamento molto più pronunciato, tratti che condizioneranno decisamente il prossimo futuro. Ricordiamo che per esempio entro il 2050 l’aumento ulteriore della popolazione anziana renderebbe necessario e urgente adottare le politiche di protezione sociale ad una quota di popolazione sempre più numerosa e per quanto riguarda la fecondità, come ammonito recentemente dallo stesso Istituto di statistica, si starebbe per raggiungere quel punto, la Sardegna, a nostro avviso, lo ha già raggiunto, oltre il quale l’Italia non avrebbe più la capacità d’invertire il trend della denatalità. Questo declino, come è stato da noi sottolineato anche in altre occasioni potrà essere contrastato solo se la questione demografica sarà assunta a vera e propria emergenza nazionale; costruendo una politica sociale e economica che aiuti la popolazione anziana ad avere un ruolo attivo nella società; che sostenga la famiglia e la procreazione con un insieme razionale di interventi robusti e di lungo periodo; che consideri l’immigrazione, piuttosto che un problema, una vera e propria risorsa da valorizzare attraverso l’accoglienza e l’integrazione.


 

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