Dalla demografia dell’UE un segno del suo declino?

Introduzione  Le celebrazioni per i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, firma che costituì il primo passo dell’integrazione economica e politica dell’UE, sono cadute in un momento di forti incertezze politiche e finanziarie, in un clima di inquietudine per l’aumento degli episodi di terrorismo che si stanno verificando in molti paesi dell’Unione e in un quadro di una immigrazione fuori controllo. Tutto ciò sta alimentando un diffuso populismo, incoraggiato anche dalle posizioni del Presidente Trump. Tutte queste preoccupazioni sono state recentemente manifestate anche da Draghi il quale ha espresso la necessità di essere uniti proprio in questi tempi difficili. l’UE non vive dunque un periodo facile, tant’è che viene spontaneo interrogarsi che non si sia all’inizio della fine?[1] Certamente, il fallimento del disegno europeo avrebbe forti ripercussioni a livello planetario, per cui trovare soluzioni condivise per far proseguire questo progetto è veramente una priorità assoluta: cioè decidere se l’UE dopo sessanta anni di agonia politica possa diventare un attore importante oppure restare una semplice zona di libero scambio in un contesto in costante declino.

Alcuni segni di malessere dell’UE In realtà, con l’inizio di questo secolo è via via aumentato il pessimismo tra i cittadini dell’Europa Unita, i quali in varie occasioni- come ha sottolineato lo storico belga David Engels nel suo libro “Le Déclin”, in cui mette in evidenza anche le analogie tra la crisi dell’UE con la caduta dell’impero romano[2] – si sono mostrati indifferenti o hanno espresso quasi un sollievo nel caso di una sua implosione. Crisi non solo istituzionale ma soprattutto identitaria che vede, come sottolinea ancora Engels, il tentativo di costruire intorno a dei valori astratti una definizione di quella che potrebbe essere l’identità europea, costruzione che non tiene affatto conto del nostro passato bimillenario. Non bisogna dimenticare però che oggi l’UE a 28 è una superpotenza sia economica che demografica, perché con una popolazione di 508,5 milioni di abitanti è seconda solo a Cina e India. E’ l’area più ricca del pianeta perché possiede ben il 16,6% della ricchezza mondiale, avanti a Cina e Stati Uniti[3], con una grande storia e cultura. Però è anche l’area più problematica del mondo per la crisi economica e non solo. Molti si pongono la domanda se l’Europa sia in grado di superare questa recessione. Certamente bisogna prendere atto che il mondo è cambiato radicalmente; che la competizione, che nel passato avveniva all’interno delle democrazie occidentali che dettavano le regole, oggi ha portata globale. Il difetto è la lentezza con cui l’Europa nel suo complesso stenta a prendere atto che per competere nel mercato globale il cambiamento deve avvenire in fretta, secondo le regole dettate dai mercati. Invece i comportamenti dell’Europa sono in qualche modo simili a quelli di una persona avanti negli anni che ha perduto la prontezza dei propri riflessi e non ha voglia di innovare. Questi comportamenti ci riportano quindi alla dimensione demografica che certamente sta giocando un ruolo fondamentale nel nostro continente. Da questo punto di vista l’Europa è in netto declino: la sua popolazione non cresce ormai da decenni, la fecondità è in calo ovunque e i suoi valori sono molto distanti da quello che assicura il ricambio delle generazioni. La sua struttura diventa sempre più squilibrata non solo a causa della diminuzione della natalità ma anche e soprattutto per effetto dell’aumento della sopravvivenza (invecchiamento dall’alto). Per avere un’idea del livello e della velocità di questo fenomeno ricordiamo che in Europa la popolazione degli ultra 65enni, oggi del 18,9%, raggiungerà nel 2060 il 28,4%; gli over 80 dal 5,3% di oggi aumenteranno all’ 11,8 % nel 2060. E si prevede che nel 2060 per 100 persone in età lavorativa vi saranno 130 persone socialmente a carico (sotto i 15 e sopra i 65 anni)[4]. In questo contesto di forte malessere si inserisce la dichiarazione di conquista demografica fatta dall’Islam- che conta in Europa una minoranza in rapida crescita- tramite Erdogan, in occasione dello scontro politico con la Germania.

Possibili azioni per fermare il declino Che cosa può fare l’Europa? Non potendo mettere in campo politiche per la ripresa della fecondità di difficile realizzazione, il suo avvenire dipenderà in larga parte dalle sue capacità di sfruttare il grande potenziale dei due segmenti che crescono di più, le persone anziane e gli immigrati[5], promuovendo l’invecchiamento attivo, ovvero consentendo alle persone anziane di dare il loro contributo alla società anche dopo la pensione; non sottovalutando che per la sua crescita economica è necessaria la corretta integrazione degli immigrati e dei loro discendenti perché i migranti saranno una fetta importante della forza lavoro; incoraggiando politiche per la conciliazione del lavoro con gli obblighi familiari. L’Europa inoltre deve necessariamente trovare i mezzi per aumentare la produttività, dato che si prevedono vieppiù livelli crescenti di spesa legati all’invecchiamento e contrazioni delle finanze pubbliche per effetto della crisi economica.

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[1] Parafrasando così Charles Maurice de Talleyrand, già ministro di Napoleone, il quale nell’inverno del 1812, avuto notizia della ritirata di Napoleone dalla Russia, disse “C’est le commencement de la fin”. E infatti un anno e mezzo dopo l’Europa coalizzata avrebbe sconfitto definitivamente l’Imperatore.

[2] David Engels, Le Déclin. La crise de l’Union européenne et la chute de la République romaine- quelques analogies historiques, Edition du Toucan, 2013. Altre analogie anche di carattere demografico si possono trovare in Michel De Jaeghere, Gli ultimi giorni dell’Impero romano, Leg edizioni srl, 2016.

[3] Ined, Population e Sociétés, Tous les pays du monde (2015), numéro 525, septembre 2015. http://www.ined.fr/fichier/s_rubrique/211/population.societes.2015.525.tous.pays.monde.fr.fr.pdf.

[4] Fonte: (http://epp.eurostat.ec.europa.eu//statisticsexplained/)- 22/12/2016.

[5] Sul fenomeno migratorio si veda l’interessante articolo di Massimo Livi Bacci, L’Europa ha bisogno di immigrazione di massa?  Il Mulino, 6/2016.

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