Economia in Campania tra leggero rallentamento congiunturale e spinte dal turismo. Il rapporto 2019 dell’economia regionale della Campania, presentato nel mese di giugno dalla Banca D’Italia, mostra sulla base dei dati 2018 un quadro generale della regione in leggero rallentamento rispetto ai primi segnali positivi di ripresa registrati a partire dal 2014. Analizzare l’andamento della Campania è indicativo anche al fine di avere un primo quadro del trend del mezzogiorno. Infatti, la regione pesa in termini di popolazione e valore aggiunto il 28% circa dell’intero mezzogiorno.
Il rapporto della Banca d’Italia, utilizzando dati ISTAT e Prometeia (relativamente al periodo 2018) mostra per il 2018 una leggera riduzione della crescita del valore aggiunto rispetto al 2017.
Il rallentamento del valore aggiunto è confermato anche osservando il dato del settore industriale in senso stretto che continua a registrare un evidente rallentamento dal 2016 con tassi di crescita sostanzialmente dimezzati e quasi prossimi allo zero. Il rapporto mostra nell’appendice statistica anche il dato settoriale al 2017 relativo all’agricoltura e ai servizi. Il valore aggiunto del settore primario continua a registrare valori negativi, con una variazione rispetto al 2016 pari a -1,2%. Il valore aggiunto nei servizi al 2017 continua a mantenere una leggerissima crescita rispetto all’anno precedente pari allo 0.9%.
Osservando i dati estratti dall’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) emerge che il fatturato delle imprese nell’industria in senso stretto si contrae nel 2018 del -1% sebbene con una crescita in termini occupazionali del 2,8%: I Servizi crescono in fatturato dello 0,8% e cresce leggermente anche l’occupazione dell’1,1%. Il rapporto mostra anche i dati relativi al numero delle imprese attive. A fronte di una crescita del 1,2 % registrata nel 2017, nel 2018 le imprese attive crescono dello 0,8%. Il settore primario mantiene sostanzialmente costante il tasso di crescita delle imprese attive (+0,3%) mentre nell’industria in senso stretto si osserva un leggero aumento del medesimo dato che sale dallo 0,2% allo 0,4%. Nel settore dei servizi osserviamo un dato più eterogeneo. Infatti, se il commercio presenta una riduzione del numero delle imprese attive dello 0,3%, i servizi di alloggio e ristorazione e la finanza e i servizi alle imprese continuano a registrare valori positivi, rispettivamente con una crescita del 2,1 e del 3,5%.
Il dato positivo dei servizi di ristorazione va letto contestualmente al buon andamento del settore del turismo osservato in Campania. Infatti, i dati del Ministero dei beni e delle attività culturali mostrano, coerentemente al dato nazionale, una buona crescita dei visitatori di musei, monumenti e aree archeologiche (+3,5%). La Campania si caratterizza per un’importante presenza di patrimonio culturale di notevole pregio storico, artistico e naturalistico testimoniato, inoltre, dai riconoscimenti UNESCO diffusi su tutto il territorio regionale (11% del patrimonio Unesco italiano).
Il rapporto della Banca d’Italia sottolinea che la riforma del sistema museale e, in particolare la riorganizzazione del Ministero e delle proprie strutture periferiche, ha avuto un impatto sostanzialmente positivo sia in termini di maggiori fondi stanziati per interventi di manutenzione e restauro, sia in termini di incrementi di introiti per le istituzioni museali. Cionondimeno, tali effetti devono essere interpretati alla luce dei differenti regimi di autonomia riconosciuti alle istituzioni: i. autonomia speciale e ii. autonomia parziale sotto la direzione dei Poli museali regionali.
La Campania risulta la seconda regione dopo il Lazio per numero di istituti dotati di autonomia speciale; in questa regione infatti ne sono stati riconosciuti 7 (tra musei e parchi archeologici) sui 32 complessivamente presenti sul territorio nazionale. Essi godono di ampia autonomia sia finanziaria sia gestionale e hanno registrato performance molto positive. Infatti, la crescita di visitatori e introiti nel sistema museale regionale è trainata da tali istituti che hanno registrato rispetto al 2013 incrementi di visitatori del 58% e di introiti del 104,8%, superando il dato medio italiano. La riforma Franceschini, garantendo un maggior livello di autonomia, ha permesso un ampliamento dell’offerta di servizi maggiore rispetto a quella avvenuta negli altri istituti statali, che a sua volta ha contribuito all’incremento dei ricavi. Tale aumento d’introiti è avvenuto nonostante i concessionari che gestiscono i servizi al pubblico godano in Campania di aggi di concessione ben più favorevoli rispetto alla media nazionale (30% istituti autonomi tranne Pompei ed Ercolano; 37,4% istituti afferenti ai Poli a fronte del 17,4% dato medio nazionale).
Tuttavia, in particolare se si pensa alle elevate spese di manutenzione e conservazione, è evidente che i ricavi tariffari non permettono una copertura totale dei costi per gli istituti considerati, che vengono coperti attraverso il finanziamento pubblico. Dal rapporto della Banca d’Italia emerge che sulla base dei dati OpenCup nel periodo 2015-2018 gli istituti autonomi hanno ottenuto 110 milioni in più rispetto al quadriennio precedente allorché quelli afferenti al Polo museale campano hanno visto ridursi le risorse a disposizione di quasi 28 milioni.
Nello scenario post-riforma, la concentrazione delle risorse finanziarie verso pochi attrattori sul territorio campano, caratterizzato da una elevata diffusione di siti culturali, potrebbe determinare la concorrenza tra istituzioni culturali per l’attrazione di visitatori e la concentrazione dei flussi in un numero limitato di istituzioni, a scapito di altre. Dal rapporto emerge che dal 2013 a 2018 il ritmo medio di espansione del Polo museale della Campania è stato pari alla metà di quello dei 7 istituti autonomi considerati in aggregato. Tale situazione, inoltre, rischia di generare esternalità negative anche nei confronti di altri gruppi sociali, i residenti in primis, che in mancanza di una programmazione locale rischiano di farsi carico dei costi di congestione causati da flussi turistici non correttamente gestiti.
Vista l’ingente dotazione di beni culturali della Campania e il trend positivo relativo alle presenze straniere, il settore del turismo culturale resta un ambito di grande rilevanza per l’economia regionale rispetto al quale si necessita la definizione di una politica culturale chiara che offra una programmazione di medio periodo. Secondo l’opinione di chi scrive, tale programmazione va fatta attraverso un serio studio di segmentazione della domanda di tipo culturale. Il turismo culturale di massa, infatti, essendo collegato alle dinamiche del ciclo economico, tende a subirne le oscillazioni. Nell’ottica di garantire maggiore stabilità, sarebbe opportuno incentivare la fruizione di quei segmenti della domanda che si distinguono, per caratteristiche e motivazioni della visita, dal turismo di massa.
Infatti, come suggerito in un recente studio sull’area archeologica vesuviana[1], la presenza di importanti siti culturali, la cui notorietà è tuttavia eterogenea, determina una forte distinzione in termini di motivazioni della visita. Nel caso studio specifico, da un lato è possibile osservare una distinzione tra un turismo di “massa” che sceglie il sito da visitare in base alla sua notorietà internazionale (in questo caso Pompei) e un’altra fetta di visitatori mossi prevalentemente dalla necessità di arricchire il proprio bagaglio culturale ed esperienziale e che preferiscono visitare siti archeologici dell’area vesuviana considerati “minori” in quanto meno noti al grande pubblico rispetto a Pompei (Ercolano, Stabia, Oplonti e Boscoreale).
[1] Ercolano, S., Gaeta G.L. and Parenti B. “Pompeii dilemma: A motivation‐based analysis of tourists’ preference for “superstar” archaeological attractors or less renowned archaeological sites in the Vesuvius area.” International Journal of Tourism Research 20.3 (2018): 345-354.
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