I consueti rapporti sulle economie regionali della Banca d’Italia sono un appuntamento che ogni anno si attende con curiosità, per conoscere non solo l’andamento congiunturale delle regioni di interesse, ma anche gli approfondimenti strutturali che di volta in volta sono proposti.
Il rapporto sull’economia della Basilicata presentato a Potenza lo scorso 18 giugno traccia un quadro con luci ed ombre, con una crescita della produzione trainata dal settore automotive e dalla ripresa delle attività estrattive, prevalentemente localizzate in Val d’Agri. A questa ripresa, però, non si è accompagnata una crescita dell’occupazione che ha anzi manifestato preoccupanti segnali di perdita di posti di lavoro e di riduzione del tasso di partecipazione, soprattutto femminile.
Mi sembra si possa affermare che l’economia della regione continua a manifestare gli stessi sintomi degli ultimi 30 anni: eccessiva specializzazione produttiva in attività con poche ricadute territoriali (l’industria estrattiva) o con occupazione di scarsa qualità (l’industria automobilistica), accompagnata da spinte imprenditoriali endogene molto limitate.
Il recente Rapporto di Banca Intesa sui Distretti Industriali ha splendidamente tracciato un quadro delle province a vocazione produttiva nell’automotive, evidenziando come Potenza sia la terza in Italia, con 9.600 addetti nell’indotto, dopo Torino e Chieti. Contemporaneamente, però, ad evidenza della mancata integrazione territoriale del settore, Potenza è la provincia in cui quegli addetti sono per l’87% concentrati in poche aziende di grandi dimensioni (a fronte del 66% di Torino e del 78% di Chieti). Non stupisce, dunque, come la provincia lucana sia l’unica da cui nessun brevetto industriale nel settore si sia originato, testimoniando ulteriormente gli scarsi spillover locali di queste attività.
Similmente, l’attività estrattiva, particolarmente pervasiva sul territorio, tanto che circa il 75% dei comuni lucani è interessato da tali attività o gravato da richieste di esplorazioni, non riesce a trainare l’occupazione locale. Questo risultato non è certamente una caratteristica propria della Basilicata, ma di tutte le regioni interessate da sfruttamento di risorse naturali, spesso afflitte da conflitti sull’uso dei suoli e soprattutto da difficoltà nell’intercettare i benefici derivanti dalle estrazioni.
A fronte di queste due criticità, si è affacciata negli ultimi anni una speranza, quella legata a Matera 2019 e al turismo. La Città dei Sassi sta correndo veloce in termini di presenze, tanto che i settori della ristorazione e alberghiero stanno conoscendo un periodo di grande vitalità grazie all’esposizione mediatica del territorio a partire dal 2014. Ma è bene ricordare come anche questa opportunità di sviluppo porti con sè alcune criticità che devono essere assolutamente affrontate.
Lo sviluppo turistico comporta generalmente un aumento del reddito, ma anche un incremento più che proporzionale dei valori immobiliari e non sempre una crescita della produttività. Questo mix esplosivo, se confermato anche nel caso di Matera, trasformerebbe una grande opportunità in una fonte di frizioni sociali difficilmente controllabili ex post.
In conclusione, il leit motiv dell’economia lucana mi sembra possa essere condensato nell’assenza di moti imprenditoriali endogeni e pervasivi tali da modificare una pericolosa specializzazione produttiva regionale. Questa assenza è certamente dovuta a mancanze locali (dalle infrastrutture al credito), ma anche ad una scarsa connessione tra i centri di eccellenza, quali il “distretto” della geodesia e la stessa Università della Basilicata, e il tessuto socio-economico locale. Qualsiasi tentativo di specializzazione “smart” non può e non potrà non passare per questi hub della conoscenza.