Dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018 è uscito un Paese diviso in due: mai prima di allora la mappa del voto si era sovrapposta in maniera così netta a quella del livello di sviluppo delle due aree del Paese. I consensi per la Lega sono esplosi al Nord, quelli per il M5S nelle regioni meridionali. Questa cesura così marcata del consenso lungo il confine tra Nord e Sud si è prestata a lungo ad interpretazioni affrettate. In molti, infatti, hanno contrapposto il consenso dei ceti produttivi settentrionali per la forza politica che prometteva la flat tax e il condono fiscale a quello delle classi meno agiate delle regioni meridionali per le politiche assistenziali, o ritenute tali, del M5S.
Quella mappa del voto è diventata più frastagliata con il passare del tempo, fino a scomparire del tutto. Trascorso ormai un anno dalla firma del contratto di governo, una sorta di “fusione a freddo” di impegni e promesse elettorali, la geografia del voto sembra essere molto diversa da quella del 2018. Un cambiamento che ha fatto perdere ogni credibilità a quelle interpretazioni impressionistiche e semplicistiche, e non prive di connotazioni antropologiche, che per settimane dopo il voto 2018 hanno monopolizzato il dibattito politico.
Quale sarà la nuova geografia del consenso dopo le elezioni europee?
Sicuramente, quella che uscirà dalle urne non sarà una mappa rappresentativa del pensiero degli italiani sull’Europa. Tanto meno sapremo dal voto se queste opinioni sono diversificate tra Nord e Sud. Perché nonostante si debba eleggere il nuovo Parlamento europeo, come sempre accaduto, il consenso non si dividerà sui temi europei. E non potrebbe essere altrimenti, visto che di Europa quasi non si parla in campagna elettorale. Non si parla, per fare riferimento ad un tema concreto, del futuro della politica di coesione che tanta importanza avrà nei prossimi anni per il Sud e per l’Italia. Eppure, ad esempio, il Parlamento europeo ha di recente bocciato la cosiddetta “condizionalità macroeconomica” con la quale la Commissione proponeva di condizionare l’erogazione dei fondi europei agli stati membri al rispetto dei parametri macroeconomici dell’UE. Cosa pensino i candidati di questa come di molte altre questioni rilevanti poco o nulla si sa.
Si tratterà, ancora, di un “referendum” sul governo. Con una novità di rilievo rispetto al passato. Non si potrà interpretare il voto come un “no” o un “sì” all’esecutivo. Perché di fatto i governi sono due. Lega e M5S hanno provato a nascondere una conflittualità che cresceva man mano che l’attuazione, necessariamente annacquata, dell’elenco di misure previste dal “contratto” ne ha svelato l’impossibile coesistenza. Finché, con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, non solo non si è fatto più mistero dei conflitti interni al governo, ma si è cercato lo scontro aperto per mostrarsi diversi ai propri elettori.
È molto probabile che dalle urne uscirà una mappa molto diversa da quella blu al Nord e gialla al Sud del 2018. Agli indizi in tal senso che vengono dalle intenzioni di voto e ai risultati delle elezioni regionali in Abruzzo e Basilicata, bisogna aggiungere i tanti segnali dello sbarco della Lega al Sud. Avvenuto anche con il supporto del salto sul “carroccio del vincitore” di tanta parte della classe dirigente locale attratta, da destra e sinistra, dall’opportunità di conservare il potere sotto nuove bandiere. La Lega crescerà, ma forse non sfonderà al Sud, erodendo consensi ai 5S. Con la conseguenza che la distribuzione geografica del voto sarà più articolata rispetto al 4 marzo. Se i risultati elettorali non accresceranno le tensioni tra i due partiti di governo fino a determinare, per ragioni di convenienza o d’insofferenza, la rottura del contratto e dunque la crisi dell’esecutivo, si aprirà una nuova fase politica. Molto probabilmente, con il mutamento della geografia elettorale e del peso relativo dei due partiti anche l’azione di governo subirà dei cambiamenti. Quali saranno le conseguenze per il Sud e per l’Italia è difficile dirlo. Anche se quanto visto finora non può certamente indurre all’ottimismo. C’è almeno da sperare che le analisi e i commenti che seguiranno al voto non siano così superficiali e affrettati come quelli delle ultime elezioni politiche.