Emigrazione e demografia allontanano il Sud dall’Europa

Emigrazione e demografia allontanano il Sud dall’Europa. Tra il 2012 e il 2021, hanno lasciato il Mezzogiorno 156.800 laureati di età compresa tra 25 e 34 anni. La Calabria ne ha persi oltre 20mila, la Sicilia 37mila, la Campania 43mila. La maggior parte si è diretta al Nord. Nello stesso periodo, la sola Lombardia ha avuto un’immigrazione di 68mila laureati da altre regioni italiane. Dati che, molto più di quelli che riguardano l’andamento dei redditi, mostrano la crisi strutturale delle regioni meridionali.

Figura 1. Saldo migratorio dei laureati di 25-34 anni nelle ripartizioni italiane (2012-21)

Il confronto tra Sud e Nord è esplicativo, ma anche limitativo. È un angolo prospettico parziale, che costringe la visuale in una sola dimensione: quella dei divari interni al nostro paese. Una prospettiva più ampia è offerta dallo studio pubblicato dall’Istat (La politica di coesione e il Mezzogiorno: vent’anni di mancata convergenza), in cui si esaminano le dinamiche di crescita delle regioni europee. Si mostra come nell’ultimo ventennio, la geografia economica europea si sia modificata. In Germania, in Spagna, in Polonia si è verificato un processo di “convergenza”, cioè di riduzione dei divari regionali. In Italia, invece, le regioni “meno sviluppate” (quelle meridionali ad eccezione dell’Abruzzo) sono cresciute molto meno della media dei Paesi dell’Ue.

Ma è l’Italia nel suo complesso ad aver perso terreno negli ultimi vent’anni. Nel 2000, tra le prime cinquanta regioni europee con più elevato Pil per abitante, dieci erano italiane e nessuna si trovava fra le ultime cinquanta. Nel 2021, solo tre regioni italiane (Trentino, Lombardia, e Valle d’Aosta) erano rimaste tra le prime cinquanta posizioni, mentre fra le ultime cinquanta se ne trovavano quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria). Il divario tra Nord e Sud Italia è rimasto sostanzialmente stabile, ma in un contesto di relativo arretramento rispetto al resto d’Europa. E ciò, si osservi, è accaduto nonostante le ingenti risorse europee destinate alle regioni in ritardo di sviluppo attraverso la politica di coesione. Risorse che, per gli anni 2021-2027, ammontano complessivamente a 330 miliardi di euro, di cui 43 destinati all’Italia.

Cosa ha determinato questi cambiamenti di posizione nella graduatoria europea dei redditi? La risposta, in sintesi: il divario nel reddito fra le regioni meridionali e la media Ue è spiegato, quasi interamente, dal tasso di occupazione che, infatti, è di 20 punti percentuali più basso. Negli ultimi anni, sul divario pesano anche fattori demografici. Nel Sud, la quota dei giovani si va riducendo. Nell’ultimo ventennio, la popolazione più giovane, quella nella fascia di età fra 0 e 14 anni, ha subito un tracollo, contraendosi del 25% a fronte del 6% registrato nell’Ue.

Questi cambiamenti demografici hanno notevoli ripercussioni economiche. Secondo le previsioni dell’Istat, se le tendenze in atto continuassero, nel 2030, nelle regioni italiane meno sviluppate, il numero delle persone in età da lavoro (15-64 anni) diminuirebbe di oltre un milione (-9%). In Calabria, il calo sarebbe di 126 mila persone (-10,6%). Per il solo effetto di questa dinamica demografica avversa, tra dieci anni, il divario nel Pil per abitante tra le regioni meridionali e la media europea aumenterà significativamente. In Calabria, per esempio, il Pil per abitante scenderebbe al 49,5% della media europea.

Uno scenario preoccupante che potrebbe ribaltarsi se aumentassero gli occupati. Se il tasso di occupazione raggiungesse quello medio europeo, il Pil pro capite aumenterebbe in tutte le regioni italiane, al punto che nel 2030 nessuna rientrerebbe più tra quelle “meno sviluppate” d’Europa. Un obiettivo auspicabile ma, nel concreto, estremamente difficile da raggiungere.

Il Mezzogiorno è un’area periferica di un grande mercato, quello europeo, in cui le merci, i capitali e le persone si spostano con facilità. Nell’Unione Europea, le regioni economicamente centrali, quelle più sviluppate e dinamiche, hanno un forte potere d’attrazione. Attraggono investimenti, ma anche lavoratori ad elevata qualificazione. La loro capacità di attrazione risponde a forze di mercato che, insieme con quelle demografiche, influenzano le traiettorie di crescita regionali e plasmano la geografia economica. Forze che le politiche di sviluppo, nonostante la retorica con cui vengono ammantate, non sembrano in grado di contrastare.


L’articolo riprende quello pubblicato sul Quotidiano della Calabria il 17/06/2023


 

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