Dovendo mettere a confronto i risultati positivi e negativi raggiunti dalla Cassa per il Mezzogiorno, si può affermare senza dubbio che l’esperienza della Cassa è stata un’esperienza tutt’altro che negativa. Nella sua fase iniziale, la Cassa, si è occupata di bonifiche, di miglioramento del sistema idrico e della viabilità. Inizialmente, furono stanziati 1480 miliardi di lire, attraverso un piano dodicennale di investimenti infrastrutturali, con il 30% utilizzato per i trasporti e il restante 70% all’agricoltura.
I risultati furono evidenti sin da subito. Basti pensare al problema dell’acqua potabile risolto attraverso un piano di normalizzazione degli acquedotti, rendendo ogni zona autonoma nella provvista di acqua potabile, nella prospettiva di adeguare le dotazioni idriche al fabbisogno di una popolazione in aumento per l’anno 2000 con la costruzione di 796 opere di presa, 7500 chilometri di condutture, 1400 serbatoi di accumulazione, 142 impianti di sollevamento, 6 laghi artificiali.
Sul fronte della viabilità, nel 1961, erano stati appaltati lavori di costruzione e sistemazione di circa 15.000 chilometri di strade ordinarie, di cui 13.000 già ultimati, e circa 3.000 chilometri di viabilità di bonifica, di cui 2.000 ultimati. Per quanto riguarda gli interventi di industrializzazione, gli investimenti provenienti dalle grandi imprese pubbliche furono cosi di considerevole entità da stimolare fortemente lo sviluppo. Vennero costituiti poli industriali importanti come quello siderurgico di Taranto e quello petrolchimico siracusano, l’ENI a Ferrandina e a Gela, la Montecatini a Brindisi.
Il giudizio sull’esperienza della Cassa per il Mezzogiorno, dalla sua nascita nel 1950 fino al 1966, anno di inserimento della politica regionale, non può, alla luce delle considerazioni svolte finora, che essere positivo.
A complicare la situazione è stato l’avvio dell’esperienza delle Regioni, nel 1970, le quali hanno iniziato ad esercitare una forte pressione nei confronti della Cassa. In questi anni le politiche meridionaliste iniziarono a configurarsi solo come esempio di clientelismo, corruzione e sperpero di denaro pubblico.
Questa è stata, a mio parere, la causa principale del tracollo della Casmez. Ad un certo punto, si realizzarono diverse opere definite “cattedrali nel deserto”. Furono finanziate opere per realizzare infrastrutture senza curarsi minimamente della razionalità tecnica ed economica dei progetti realizzati. Esempio lampante è la realizzazione nel Mezzogiorno di una serie di impianti petrolchimici la cui capacità complessiva eccedeva abbondantemente qualsiasi ragionevole previsione di domanda.
Nonostante tutto ciò, la Cassa ha conservato il valore dell’unico momento della storia del Mezzogiorno, in cui il divario si è notevolmente ridotto. Per rendere meglio l’idea, basti pensare, che i tassi di disoccupazione del Meridione e del Centro-Nord fino al 1965 coincidono, segno evidente dell’eccezionale apporto della Cassa. Negli anni Settanta, invece, inizia la perdita di efficacia dell’intervento straordinario dove i tassi cominciano a divergere in maniera più marcata; segno evidente di una gestione non “felice” della “mala” politica.
Senza dubbio, ci sono stati degli errori nella gestione della Casmez, ma i dati dicono chiaramente che nel Meridione c’è stata una trasformazione economica e sociale senza precedenti durante il periodo in cui la Cassa ha operato: il valore della produzione agricola è aumentato in termini reali a un tasso del 3,0% annuo, Negli altri settori industriali, l’aumento del valore della produzione è stato pari al 6,6% annuo per l’industria e al 5,6% per il settore terziario, in particolare il turismo.
Perciò si può affermare che l’intervento straordinario ha migliorato significativamente le condizioni di vita e di crescita non solo del Sud Italia, ma anche del Nord, poichè l’intervento del Sud era funzione dello sviluppo del Nord e dell’intera Italia.
Il gap tra Nord e Sud ai giorni nostri è nuovamente marcato e c’è bisogno di una politica volta a riunire queste due anime dell’Italia che, per diverse ragioni, nel corso della Storia si sono trovate ad essere distanti. Dalla chiusura della Cassa ad oggi, abbiamo assistito ad un “vuoto” politico che non ha fatto altro che far aumentare il divario già pre-esistente tra il Nord e il Sud del nostro Paese. Credo che bisogna ripensare la decisione di abolire la Cassa del Mezzogiorno senza preconcetti. Naturalmente, gli interventi dovrebbero essere realizzati con accurati studi di valutazione d’impatto e dei possibili costi e benefici. Le valutazioni a posteriori degli interventi dovrebbero naturalmente essere fatte in modo rigoroso e continuo.