Le previsioni demografiche al 2065 elaborate dall’ISTAT e riprese nel Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno sono interessanti perché consentono di formulare qualche riflessione sui potenziali equilibri che osserveremo nel medio periodo.
In base alle previsioni del’ISTAT, dal 2016 al 2065 la popolazione italiana diminuirà da 60,6 a 53,6 mln: l’Italia perderà 7 mln di cittadini, equivalenti all’11,5% della popolazione attuale. A livello nazionale, la riduzione della popolazione è dovuta al forte saldo naturale negativo (pari a poco meno di 15 mln di persone), solo parzialmente compensato dal saldo migratorio, che farebbe registrare un incremento netto di 7,6 mln di persone. La riduzione della popolazione interesserà tutto il paese, ma i dati indicano che il fenomeno sarà più accentuato nel Mezzogiorno d’Italia rispetto al Centro-Nord: i meridionali saranno 15,6 mln (ossia il 24% in meno dell’attuale popolazione, che è di poco inferiore ai 21 mln di residenti), mentre l’area centro-settentrionale sarà popolata da 38 mln di cittadini, ossia solo il 4,5% in meno degli attuali 38,9 mln di residenti.
Per la SVIMEZ avremo un “nuovo dualismo demografico”.
Le previsioni demografiche per regione. Il decremento demografico del Mezzogiorno è elevato in tutte le regioni: in termini relativi, la riduzione della popolazione oscilla tra il -18,28% dell’Abruzzo e il -31,18% della Basilicata. La Calabria subirà una riduzione della popolazione di circa 496 mila residenti, corrispondenti al 25,17% della popolazione attuale.
A fine 2016 i residenti in Calabria erano 1970521 e nel 2065 potranno essere 1474571. Il decremento della popolazione sarà causato da un saldo naturale negativo di 551 mila unità e da un saldo migratorio positivo di 42 mila unità. Se da un lato, i saldi naturali di segno negativo si osservano in tutto il paese, dall’altro lato il segno del saldo migratorio è positivo, oltre che in Calabria, anche in molte regioni del Mezzogiorno d’Italia (Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia e Sardegna) ed è negativo solo in due casi (Campania e Puglia).
È interessante osservare come il saldo migratorio sia in media positivo per l’intero paese (7663982 cittadini) e in prevalenza (per ben il 97% dei casi) determinato dai flussi migratori netti positivi che osserveremo nelle regioni del Centro-Nord. In questo caso, potremmo parlare di “dualismo di attrattività”.
Il caso Calabria. Il fatto che la Calabria sarà meno popolata non significa necessariamente che i cittadini staranno peggio. Nel mondo esistono molte economie di piccola dimensione con standard di vita molto elevati. È sbagliato pensare che essere piccoli equivale a stare male. La questione è capire quali sono le ragioni che determinano la riduzione della popolazione e riflettere sulla futura composizione della stessa. La bassa natalità è un elemento cruciale di questi processi e, oggi, nel Sud del paese le nascite sono significativamente più basse del passato. A tutto questo si aggiunge il fatto che l’aumento della speranza di vita sta determinando un incremento del peso della popolazione anziana, ossia delle persone che non esercitano alcuna attività lavorativa. Inoltre, la bassa capacità del mercato del lavoro di assorbire occupazione sta alimentando l’emigrazione dal Sud verso il resto del paese e verso l’estero. A emigrare sono soprattutto giovani (scolarizzati e non) che altrove cercano e trovano lavoro, molto spesso in linea con il profilo di studio conseguito nelle regioni di provenienza: i negativi saldi migratori (-716312 unità, tabella 20 delle Anticipazioni del Rapporto 2017 SVIMEZ) che si sono osservati nel Mezzogiorno d’Italia dal 2002 al 2015 riguardano per tre quarti dei casi i giovani (15-34 anni) e tra questi, per poco meno di un terzo, chi era in possesso del titolo di laurea. È ragionevole anche affermare che i motivi che spiegano l’emigrazione dei meridionali e dei calabresi sono i motivi che spiegano, nella stragrande maggioranza dei casi, la bassa attrattività della Calabria per gli stranieri.
Sintesi. In assenza di break strutturali e osservando le dinamiche demografiche in gioco, avremo una regione meno popolata e con un peso elevato di anziani, con persistenti fenomeni di emigrazione giovanile e con pochi immigrati pienamente integrati nei circuiti sociali e lavorativi. Questi elementi consentono di sostenere l’ipotesi che la Calabria sarà un’economia piccola e a bassa crescita. Questo circolo vizioso si interromperà quando saremo in grado di creare sistemiche occasioni di lavoro stabile e duraturo in settori produttivi a domanda globale, interessando sia il settore dei servizi sia l’agri-industria e il manifatturiero. È l’unica via di uscita anche perché la minore potenziale popolazione renderà il mercato di beni a domanda locale di piccole dimensioni e, quindi, facilmente “saturabile”: in questo settore ci sarà sempre meno spazio per fare impresa e, quindi, lo sviluppo dovrà essere cercato altrove. Sarebbe già un grande passo in avanti essere consapevoli di quanto sia obbligatorio passare da un sistema produttivo “piccolo” e “protetto” ad un sistema che deve competere sui mercati extra-regionali e internazionali. Oggi, questa consapevolezza è patrimonio di pochi attori – imprese e istituzioni – dello sviluppo regionale.
Questo contributo è stato pubblicato sul Quotisiano del Sud (Edizione dell’1 Settembre 2017)