La Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza del Governo Conte prevede un incremento al 2,4% del rapporto deficit/PIL. La manovra prevede l’introduzione del Reddito di Cittadinanza (RdC) che, secondo le stime del governo, vale 10 miliardi di euro. E’, quindi, utile comprendere quali siano le coperture finanziarie della spesa in deficit e, in tale direzione, assume una particolare rilevanza la discussione sull’ammissibilità delle risorse del Fondo di Sviluppo Europeo a parziale copertura del RdC. Questa breve nota tecnica si limita a proporre una simulazione numerica su come si possano recuperare ben 4 miliardi di euro dall’FSE da destinare al RdC.
La bassa spesa del Fondo di Sviluppo Europeo. Nel ciclo di programmazione 2014-2020, le risorse del Fondo Sociale Europeo (FES) disponibili in Italia ammontano a 17,7 miliardi di euro, di cui 10,19 miliardi gravano sul budget dell’Unione Europea e 7,5 miliardi derivano dal co-finanziamento nazionale. I dati più aggiornati sul FSE si riferiscono al 30 giugno 2018. Dall’estrazione degli open-data (https://cohesiondata.ec.europa.eu) effettuata il 2 ottobre 2018 emerge che il tasso di spesa complessivo delle risorse FSE a livello nazionale è dell’11% (circa 2 miliardi di euro), mentre lo stato di attuazione (risorse impegnate/risorse programmate) è pari al 44% (7,74 miliardi di euro). Quest’ultimo aggregato include gli impegni di spesa, legati a bandi di cui ancora non si è certificata di spesa. Relativamente alle regioni italiane meridionali, il tasso di attuazione è del 40% (3,6 miliardi di euro), mentre il tasso effettivo di spesa è solo del 5%, corrispondente a poco meno di 500 milioni di euro. Le regioni con maggiori capacità di spesa sono il Piemonte (34%), la Provincia autonoma di Trento (31%) e l’Emilia-Romagna (30%). Un secondo gruppo di regioni, tra cui Lombardia, Veneto, Toscana, Liguria e Marche, registra percentuali di spesa comprese tra il 23% (Lombardia) e il 13% (Marche). Nelle 10 regioni con più limitata capacità di spesa, per le quali è stato speso al più il 10% del totale, rientrano Lazio, Puglia e Basilicata (9%), Campania (8%), Sicilia e Calabria (4%), Abruzzo e Molise (3%) (Figura 1).
I fondi FSE e il reddito di cittadinanza. Nei mesi scorsi si è discusso del potenziale uso dei fondi FSE a parziale copertura del reddito di cittadinanza. La normativa di riferimento sui fondi FSE è ampia e articolata. Sugli utilizzi si prevede, per esempio, che il 20% delle risorse FSE totali possa essere destinato a favore dell’inclusione sociale e a sostegno delle azioni contro la povertà e di tutti i tipi di discriminazione. In tale ambito, impiegare i fondi dell’FSE per il RdC potrebbe essere ammissibile a condizione che si prevedano attività di (re)inserimento nel mercato del lavoro da parte dei beneficiari. A parità di altre condizioni, è evidente, quindi, quanto siano importanti le modalita’ di attuazione del RdC per rendere praticabile la proposta legata all’FSE.
Regionalizzando il Reddito di Cittadinanza. La differenza tra l’allocazione iniziale del FSE e le risorse impegnate dalle regioni è pari a circa 10 miliardi di euro. Si tratta di somme residue spendibili all’interno dei programmi FES regionali e nazionali.[1] Di questi, 5.46 miliardi afferiscono alle regioni del Mezzogiorno d’Italia. Se si ipotizza che il 40% delle somme residue possa concorrere al finanziamento del RdC, il Governo nazionale potrebbe contare su circa 4 miliardi di euro per il biennio 2019-2020 (che coincide con la chiusura “formale” del corrente ciclo di programmazione comunitaria). In altre parole, il fabbisogno finanziario statale e, quindi, la spesa in deficit si ridurrebbe di 2 miliardi nel 2019 e di 2 miliardi di euro nel 2020. Poiché i calcoli fanno riferimento alle somme FSE ancora non impegnate, si ottiene che il valore di 4 miliardi di euro (il 40% del residuo FSE) equivale a poco più (22,5%) della quota del 20% del totale nazionale che la commissione dell’UE “ammette” per interventi, inter alia, a favore dell’inclusione sociale.
Discussione. La parziale copertura del RdC con le risorse FSE stimola qualche riflessione. Da un lato, può essere considerata uno strumento di accelerazione della spesa dei fondi FSE, che a 4 anni dall’inizio del programma, è risibile in molte regioni e per molti programmi nazionali. Concorrendo alla spesa del RdC, la quota della spesa certificata FSE aumenterebbe in Italia al 29% (quella della regione Calabria passerebbe dal corrente 4% al potenziale 40%). Si tratta, peraltro, di un’accelerazione di spesa FSE che è legata a meccanismi di attuazione uniformi da regione a regione, la cui dinamica sarà tanto automatica quanto ben definita sarà la regolamentazione nazionale del RdC. Inoltre, è come se si centralizzasse una parte della politica di coesione economica e sociale dell’UE. In tale prospettiva, è evidente quanto sia importante innalzare il livello di coordinamento delle politiche al fine di annullare la sovrapposizione dei beneficiari del RdC con quelli che accedono alle svariate misure di sostegno del reddito già attive in Italia in attuazione di azioni nazionali e regionali. Infine, la parziale copertura “regionalizzata” del RdC è un evidente meccanismo di ridistribuzione di risorse nazionali e strutturali tra le regioni italiane.
[1] L’FSE promuove elevati livelli di occupazione e di qualità dei posti di lavoro, migliora l’accesso al mercato del lavoro, sostiene la mobilità geografica e occupazionale dei lavoratori e facilita il loro adattamento ai cambiamenti industriali e ai cambiamenti del sistema produttivo necessari per gli sviluppi sostenibili, incoraggia un livello elevato di istruzione e di formazione per tutti e sostiene il passaggio dall’istruzione all’occupazione per i giovani, combatte la povertà, migliora l’inclusione sociale, e promuove l’uguaglianza di genere, la non discriminazione e le pari opportunità, contribuendo in tal modo alle priorità dell’Unione per quanto riguarda il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale.
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