Il futuro delle  banche cooperative: le sfide aperte

Per meglio valutare i temi legati al futuro delle banche cooperative[1], penso sia utile ricordare alcuni aspetti “di contesto” che stanno interessando tutta l’attività bancaria. Il sistema bancario in generale si trova di fronte ad almeno tre grandi sfide:  1) le conseguenze della crisi finanziaria; 2) l’evoluzione della regolamentazione e della supervisione, soprattutto a livello dell’Unione Europea;  3) le esigenze di cambiamento indotte dal progresso tecnologico.

Le conseguenze della crisi finanziaria  sono tuttora molto rilevanti. E’ sufficiente ricordare il problema dell’elevato peso dei crediti deteriorati e il perdurare delle politiche monetarie straordinarie, che sono sfociate nel fenomeno, prima sconosciuto, dei tassi di interesse negativi.

Per quanto riguarda il precedente punto 2) le novità sono in parte dovute al tentativo di rimediare alle debolezze smascherate dalla crisi finanziaria. Contemporaneamente la regolamentazione risente delle debolezze a livello di Unione europea. La risposta dei Regulators europei alla crisi, sinora, si è tradotta nella richiesta di un incremento generalizzato del patrimonio delle banche, unitamente a un miglioramento della qualità delle componenti  del patrimonio di Vigilanza. Il patrimonio è certamente importante. Ma il problema della stabilità bancaria non si risolve solo a livello micro. Esiste anche un livello macro, che riguarda l’architettura e le caratteristiche del sistema bancario nel suo complesso. A questo proposito è necessario ricordare che esiste un’unione monetaria, ma non un’unione bancaria. La previsione di requisiti patrimoniali più stringenti non rappresenta, da sola, la soluzione a tutti i problemi emersi.

Infine, per quanto attiene al progresso tecnologico, è sufficiente menzionare l’imminente esplosione dei servizi  cosiddetti “fintech” (ovvero, l’applicazione delle tecnologie avanzate ai servizi finanziari). In questo campo sta diventando sempre più rilevante la presenza di soggetti diversi dalle banche che sono in grado di offrire  servizi sostitutivi a quelli bancari, senza peraltro sopportare il costo della regolamentazione. Parallelamente le banche sono appesantite dalla rete territoriale esistente, la quale risulta in parte spiazzata dalla possibilità di utilizzare canali distributivi alternativi.

Tutti e tre i fenomeni sopra richiamati concorrono a esercitare una spinta verso il basso sulla redditività delle banche. Le banche locali, in particolare le BCC, devono confrontarsi con  il contesto sopra delineato e contemporaneamente devono fronteggiare alcune debolezze interne.

L’assetto societario delle BCC limita le possibilità di raccolta capitale di rischio, mentre la contemporanea riduzione dei margini di redditività vanifica le possibilità di autofinanziamento. La presenza dei noti vincoli territoriali e operativi incide negativamente sulle possibilità di diversificazione del portafoglio prestiti, contribuendo a mantenere elevato il rischio complessivo dell’attivo, in una situazione di mercato in cui i tradizionali impieghi alternativi (titoli di Stato e interbancario) offrono rendimenti pressoché nulli.

Ai fattori precedenti si aggiunge la debolezza della governance segnalata a più riprese dalla Banca d’Italia (Barbagallo, 2016), che ha rilevato la presenza di Consigli di Amministrazione  pletorici, soggetti a un limitato ricambio interno, carenze in tema di  professionalità, scarsa attenzione ai  controlli sui conflitti di interesse.

La risposta fornita dalla riforma delle BCC (legge 8/4/2016, n. 49) alla situazione descritta è costituita dall’introduzione nell’ordinamento italiano del gruppo bancario cooperativo. Si tratta di un nuovo soggetto giuridico, composto da una società capogruppo, costituita nella forma di società per azioni, che controlla un insieme di BCC. Le azioni della capogruppo sono detenute, per la quota di maggioranza, dalle BCC aderenti al gruppo.

Le controllate stipulano un “contratto di coesione” e delegano alcuni poteri gestionali alla capogruppo, che acquisisce anche poteri di direzione e di coordinamento. L’autonomia per le controllate non sarà omogenea, ma proporzionale alla situazione aziendale, valutata in termini di efficienza e risultati conseguiti. Le BCC più “virtuose” godranno quindi di maggiore autonomia.

Il contratto di coesione prevede la garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti. La capogruppo può anche sottoscrivere azioni di finanziamento.  In tal modo aumenta la capacità del gruppo di mobilitare all’occorrenza risorse finanziarie. La creazione del gruppo bancario cooperativo risponde in prima battuta all’esigenza di  una maggiore solidità e all’esigenza di stimolare l’efficienza operativa e migliorare i processi di gestione. La nuova struttura dovrebbe consentire qualche soluzione aggiuntiva in tema di raccolta delle risorse finanziarie. Per esempio si potrebbe pensare a operazioni di cartolarizzazione. Alcune BCC cedono una parte dei propri crediti a un veicolo creato dalla capogruppo, e il veicolo finanzia l’acquisto emettendo ABS sul mercato. La migliore solvibilità percepita dal mercato dovrebbe anche consentire di effettuare raccolta all’ingrosso  a condizioni più favorevoli.

In termini di ricadute sulla gestione si presentano concrete  possibilità di ampliare la gamma dei prodotti e dei servizi offerti, unitamente a nuove opportunità di fruire di servizi centralizzati in modo ancora più accentuato di quanto non accada con la struttura attuale (per esempio nel campo della misurazione e del controllo rischi).

Sono attese anche ricadute positive in termini di requisiti patrimoniali. Le  esposizioni interbancarie, almeno in parte, verrebbero considerate esposizioni infragruppo sia per i requisiti riguardanti il rischio di credito, sia per quelli riguardanti il rischio di liquidità, godendo così di un trattamento più favorevole.

Rimangono aperti diversi problemi: mi limito a citarne alcuni.

In primo luogo si pone la necessità di bilanciare il coordinamento centrale (in termini di efficienza e governo dei rischi) e il decentramento commerciale per salvaguardare l’efficacia e salvaguardare il vantaggio competitivo delle banche locali, basato sulla conoscenza diretta del territorio (in tal senso anche Dell’Atti, 2016). Vi è poi la questione della sovrapposizione rete territoriale. Le BCC complessivamente sono presenti in circa  2700 Comuni italiani con oltre 4000 sportelli. O si accetta  la concorrenza tra BCC dello stesso gruppo all’interno dello stesso Comune, oppure si pone il problema della razionalizzazione della rete  e il conseguente problema degli esuberi di personale. Infine, basteranno i poteri di coordinamento a rimediare alle debolezze governance a livello locale e  alle carenze di professionalità? E’ plausibile pensare che vi saranno resistenze.

Per concludere sottolineo una preoccupazione espressa da diversi commentatori, non solo appartenenti al mondo cooperativo, (si veda, ad esempio, Masera, 2016), riguardo alle scelte di regolamentazione e vigilanza adottate dalla UE.  La regolazione bancaria in Europa ha raggiunto nel corso degli anni livelli molto elevati di complessità, imponendo costi di compliance (di personale e operativi) altrettanto elevati.  Tali costi ricadono in modo più che proporzionale sulle banche di piccole e medie dimensioni. Il problema sollevato può essere superato introducendo il principio di proporzionalità della regolamentazione, secondo il quale, come stabilisce il Regolamento del Consiglio Europeo che affida la sorveglianza alla BCE, la Vigilanza “deve mostrare pieno rispetto per la diversità delle istituzioni creditizie, per le loro dimensioni e per i modelli di business”. Nei fatti però in Europa si è affermato un modello unitario di regolamentazione delle banche. Nei fatti si è optato per un modello di vigilanza unica – “one size fits all” – rispetto all’approccio cosiddetto “a strati” (tiered regulation).

In altre parti del mondo sono state compiute scelte differenti in materia di regolamentazione. Consideriamo il caso degli Stati Uniti, il paese che è ritenuto, correttamente, la sede per eccellenza delle grandi imprese. Ciò non impedisce che anche negli Usa le banche locali (community banks) siano importanti: sono presenti circa 6000 credit unions, con 1200 miliardi di dollari  di attività totali, e 577 mutual banks, con 209 miliardi di dollari di attività totali. Le cifre precedenti possono sembrare modeste di fronte agli oltri 15.000 miliardi di dollari di attività totali detenute dalle commercial banks. Ma la funzione svolta dalle community banks è ampiamente riconosciuta e salvaguardata dai Regulators. Recentemente la Presidente della Fed Janet Yellen (2015) ha ribadito: “The Federal Reserve have made it a top priority to ensure that we appropriately tailor our regulation and supervision of banks to their size, complexity and risks”.

Aggiungo ancora un dato. Negli Usa il peso del sistema bancario è molto diverso rispetto all’Europa. Il rapporto tra le attività bancarie totali e il pil si aggira introno all’80% negli Stati Uniti. Nell’Unione Europea il medesimo rapporto è pari al 320% (Masera, cit., 2015).

I numeri precedenti inducono a pensare che, probabilmente, in campo bancario non ci sarà posto per tutti all’interno dell’Europa. Non vorrei che, come conseguenza delle scelte in campo regolamentare, fossero proprio le banche locali quelle destinate a subire una drastica contrazione.

 

Riferimenti bibliografici

Barbagallo C., “La riforma del Credito Cooperativo nel quadro delle nuove regole europee e dell’unione bancaria”, intervento alla Fondazione Italianieuropei, Roma, 25/3/2016.

Dell’Atti S., “Alcune riflessioni sulla riforma delle banche di credito cooperativo”, FCHUB, 25/1/2016, pp. 1-5.

Masera R., “Regole e supervisione delle banche: approccio unitario verso modello per livelli e implicazioni per la morfologia del sistema delle banche, EU e US”, Rivista trimestrale di diritto dell’economia, supplemento al n.4, 2015, pp. 39-61.

Yellen J., “Improving the Oversight of large Financial Institutions” Speech at the Citizens Budget Commission, New York, Board of Governors of the Federal reserve System, March, 3, 2015.

I dati relativi al sistema bancario Usa sono stati tratti dai seguenti siti internet:

www.americasmutualbanks.com

www.cuna.org

www.federalreserve.gov

[1] Questo contributo rappresenta l’intervento di Danilo Drago alla tavola rotonda del Workshop “L’evoluzione delle Banche Locali in Calabria” tenutosi il 21 Giugno 2016 presso l‘Università della Calabria.

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