La scandalosa tesi sull’origine genetica del ritardo meridionale
Italiani del Nord e italiani del Sud – Perché il Mezzogiorno non è sviluppato come il Nord? Sin dalla fine dell’Ottocento, questa domanda è stata al centro di un dibattito incessante. Il ritardo meridionale è stato attributo a cause diverse: sociali, politiche, storiche o geografiche. Per lungo tempo, però, dopo che l’Italia si unificò, fu molto diffusa l’idea che il ritardo del Sud dipendesse, innanzitutto, da fattori antropologici. Studiosi come Cesare Lombroso, Giuseppe Sergi o Alfredo Niceforo sostennero che l’Italia fosse popolata da “due stirpi”, diverse caratterialmente e fisicamente. Nervosi, dall’io eccitabile e irrequieto e, perciò, deboli di volontà e propensi all’individualismo, ma anche al delitto e all’omicidio, gli italiani del Sud; di tenace e pazientissima attenzione e, di conseguenza, disciplinati e adatti all’opera collettiva, economica e politica, quelli del Nord. Così argomentava Alfredo Niceforo, antropologo, prima di concludere che la psicologia dell’uomo del Nord era più adatta, che non il carattere del Sud, al progresso sociale e civile.
L’idea che non una, bensì due Italie, con due popolazioni diverse, con culture radicalmente differenti, convivessero l’una accanto all’altra, senza mai costituire un’unica nazione, ha resistito a lungo. Ancora nel 1951, l’economista Friedrich Vöchting individuava nel carattere della “razza mediterranea” una delle cause del ritardo del Mezzogiorno.
L’intelligenza dei meridionali- Alcune idee non scompaiono mai del tutto e, come un fiume carsico, prima o poi riaffiorano. Qualche anno fa, lo psicologo Richard Lynn, professore emerito dell’Università di Ulster, in un articolo ha sostenuto che i divari economici, sociali e culturali tra Nord e Sud dipendono, in un’ultima analisi, da differenze nel quoziente d’intelligenza (QI). I meridionali sarebbero, in media, meno intelligenti dei settentrionali e ciò spiegherebbe il ritardo del Sud. L’articolo, pubblicato in una rivista scientifica, Intelligence, ha avuto ampia risonanza mediatica e ha stimolato un dibattito accademico con argomentazioni critiche e altre a sostegno della tesi di Lynn.
Secondo lo psicologo inglese, le differenze Nord-Sud nel QI medio sarebbero, in parte, genetiche. La minore intelligenza dei meridionali sarebbe il retaggio dei Fenici e degli Arabi che, in epoche diverse, si sono insediati in alcune zone del Meridione. Oltre ad aver lasciato un’eredità culturale, che nel caso degli Arabi è evidente nell’architettura e nei dialetti meridionali, queste popolazioni hanno lasciato anche un’eredità genetica. Sarebbe proprio questa componente genetica a esercitare un’influenza negativa sul QI degli italiani del Sud.
Per dimostrare la sua tesi, Lynn ha usato i risultati nei test scolastici (Ocse-Pisa), che nelle regioni meridionali sono significativamente inferiori a quelli del Nord. A livello internazionale, i punteggi nei test scolastici sono quasi perfettamente correlati con quelli nei test d’intelligenza, e ciò spiega perché Lynn li usi per misurare il QI medio. In Italia, i punteggi dei test sono correlati con il reddito per abitante, la mortalità infantile, la scolarità e la statura media e ciò proverebbe il legame tra intelligenza e divari regionali.
Razze umane e intelligenza – La tesi di Lynn sull’intelligenza dei meridionali è parte di un’argomentazione più ampia. Lo psicologo sostiene, infatti, che la spiegazione genetica dei divari di sviluppo si applichi su scala internazionale. I punteggi QI hanno, infatti, un forte legame con gli indicatori socioeconomici e con quelli che misurano la qualità delle istituzioni. Nazioni con QI medio più alto hanno maggiori livelli di sviluppo, istituzioni più efficienti e minore corruzione. La causa remota dell’ineguaglianza globale sarebbe, dunque, la differenza genetica nell’intelligenza delle popolazioni o, come dice Lynn, delle “razze umane”. Nella graduatoria mondiale dell’intelligenza, ai primi posti, con il QI più alto, ci sarebbero gli asiatici dell’est (giapponesi, cinesi e coreani), seguiti dagli europei e dalle popolazioni di origine europea, mentre in fondo, con il QI più basso, ci sarebbero aborigeni australiani e africani, poveri perché geneticamente meno intelligenti degli altri. Nell’ottica di Lynn, ecco spiegata la nefasta influenza delle popolazioni di origine africana o mediorientale sull’intelligenza degli italiani del Sud. Una tesi, questa, con una logica ma spiacevole conseguenza: per quanti sforzi si facciano, i divari tra le nazioni e tra le regioni non potranno mai essere eliminati del tutto, perché determinati dalla natura umana, cioè dalla nostra biologia.
Un’idea antica – Oltre ad essere etichettata come razzista, la tesi di Lynn trova molti dissensi. In primo luogo quello di genetisti che, oltre a mostrare l’inconsistenza delle classificazioni razziali, osservano come non vi sia alcuna prova dell’esistenza di differenze genetiche nel QI tra le popolazioni. In secondo luogo, l’idea di poter misurare e comparare internazionalmente l’intelligenza attraverso i test QI è opinabile e lo è ancor di più quando si usano i risultati nei test scolastici. Infine, nel caso dell’Italia (ma non solo), la spiegazione di Lynn non è supportata neanche dalla storia.
L’idea che le ineguaglianze socioeconomiche non siano dovute a fattori storici, politici, geografici, ma siano, in ultima analisi, inerenti alla natura umana, alla genetica, è più diffusa di quanto si potrebbe credere. In forme diverse, più o meno sfumate, è proposta oggi da psicologi, economisti e altri studiosi in riviste accademiche e riscuote consenso in una parte insospettabilmente ampia dell’opinione pubblica. Si tratta di un’idea che suscita sdegno, ma che attrae coloro che ritengono di aver trovato la causa ultima e fondamentale delle ineguaglianze tra le persone e tra le nazioni. Un’idea antica, apparsa più volte sotto un paludamento scientifico, ma che aspetta ancora di essere dimostrata.
Per saperne di più
Per la tesi sull’origine genetica dei divari: R. Lynn (2010). In Italy, North-South differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature, and literacy, Intelligence, 38. R. Lynn, T. Vanhanen (2012). National IQs: a review of their educational, cognitive, economic, political, demographic, sociological, epidemiological, geographic and climatic correlates. Intelligence, 40. R. Lynn, T. Vanhanen, T. (2006). IQ and Global Inequality, Washington Summit Publishers.
Alcune repliche a Lynn: V. Daniele, Two Italies? Genes, intelligence and the Italian North–South economic divide, Intelligence 49. C. Cornoldi et al. (2010). The mean southern Italian children IQ is not particularly low: A reply to R. Lynn (2010). Intelligence, 38. A. D’Amico, M. Cardaci, S. Di Nuovo, J. A. Naglieri (2012). Differences in achievement not in intelligence in the north and south of Italy: Comments on. Learning and Individual Differences, 22.
A sostegno: D. I. Templer (2012). Biological correlates of northern–southern Italy differences in IQ, Intelligence, 40. D. Piffer, R. Lynn (2014). New evidence for differences in fluid intelligence between north and south Italy and against school resources as an explanation for the north–south IQ differential, Intelligence, 46. N. Carl (2014), Does intelligence explain the association between generalized trust and economic development? Intelligence, 47.
Sul divario Nord-Sud: P. Bevilacqua (2005), Breve storia dell’Italia meridionale. Dall’Ottocento a oggi, Donzelli. V. Daniele, P. Malanima (2011). Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011, Rubbettino.
Sulla genetica dell’Italia: L. L. Cavalli Sforza, P. Menozzi, A. Piazza (2000), Storia e geografia dei geni umani, Adelphi. M. Capocasa et al. (2014), Linguistic, geographic and genetic isolation: a collaborative study of Italian populations. Journal of Anthropological Sciences, 92. C. Capelli et al. (2009), Moors and Saracens in Europe: estimating the medieval North African male legacy in southern Europe, European Journal of Human Genetics 17 (6).