Gioia Tauro e la Zona Economica Speciale: attenti alle illusioni

Gioia Tauro e la Zona Economica Speciale: attenti alle illusioni. La recente visita in Calabria del Ministro Claudio De Vincenti ha riaperto un dibattito mai del tutto sopito ed ha contribuito ad alimentare le speranze di chi auspica l’introduzione di una Zona Economica Speciale (ZES) nel polo logistico di Gioia Tauro. Come noto, la discussione ha anche riflessi nazionali, in quanto – come affermato dal Ministro[1] –  «Entro l’estate sarà approvata la legge quadro sull’istituzione della ZES, i cui contenuti sono in corso di concertazione con l’Unione Europea». A prescindere dal caso di specie di Gioia Tauro e delle sue dinamiche di sviluppo (già oggetto di attenzione in alcuni recenti contributi pubblicati da OpenCalabria [2]) e dai profili prettamente giuridici di diritto della concorrenza, occorre riflettere sul senso economico delle ZES e sulle aspettative riposte sulle stesse.  Questo contributo propone una riflessione sull’efficacia attesa della ZES di Gioia Tauro, capitalizzando parte della conoscenza accumulata sull’impatto teorico e effettivo delle ZES nel mondo.

Che cosa sono le ZES Si tratta di aree territoriali nelle quali, per legge, vengono introdotte misure a favore delle imprese e degli investimenti, attraverso una serie di sussidi, agevolazioni fiscali o burocratiche (a volte cumulabili tra loro). Le ZES nascono per rivitalizzare zone sottosviluppate o economicamente depresse, per aumentare il potenziale di città o regioni giudicate strategiche da un punto di vista della politica economica e per lo sviluppo di un paese o per testare l’efficacia di alcune riforme economiche innovative, come accaduto ad esempio nella Cina post-Mao.

Quante sono e dove sono? Attualmente ci sono più di 4000 ZES nel mondo, dal primo caso irlandese del 1959[3] sparse tra la Cina, uno dei casi di maggiore successo, la Russia, la Corea, l’India, l’Africa, l’America centrale etc. Generalmente la forma più diffusa è quella delle agevolazioni fiscali, con riduzione o esenzione dal pagamento delle tasse societarie. All’interno dell’UE sono già attive circa 91 zone “agevolate”, ma non si tratta solo di ZES, comprendendo anche le cosiddette zone franche e altre sigle.[4] Il caso principale di ZES in uno Stato Membro si può rinvenire in Polonia[5], con 14 aree in regime ZES per una superficie di circa ventimila ettari, che godranno di tale regime almeno fino al 2026. La misura più importante è la corporate income tax exemption che può oscillare tra il 25 e il 55%. Il caso polacco è considerato tra i più positivi – essendo riuscito ad attrarre i big dell’industria automobilistica – ma va contestualizzato in un Paese che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica,  ha avuto tassi di crescita generali molto alti.

L’efficacia delle ZES Il solo fatto che – tralasciando le sfumature – vi siano casi di successo e casi di fallimento, rappresenta la dimostrazione che non si tratta di uno strumento di per sé efficace, ma che richiede altri elementi per poter funzionare. Prima di tutto però, occorre chiarirsi su cosa significhi il successo di una ZES. L’approccio più convincente appare quello di chi[6] non si ferma a meri dati macroeconomici di breve periodo, ma osserva i cambiamenti strutturali che la ZES può implicare. Se non si avviano processi di riforma volti ad aumentare la produttività totale dei fattori, si creeranno degli effetti di mera dipendenza da sussidio che si esauriranno al termine del beneficio.

Tanto premesso, tra i maggiori ostacoli che possono segnare il destino della ZES vi possono essere problemi di conoscenza (“conoscere per deliberare”) e di incentivi, come descritti in un saggio di Lotta Moberg pubblicato sul Journal of Institutional Economics[7]. I problemi di conoscenza possono interessare il soggetto politico che vuole istituire la ZES, il quale può avere una consapevolezza del funzionamento di un mercato molto lontana da quella degli operatori. La scarsa conoscenza di un governo centrale sulle dinamiche locali può essere una causa di cattive politiche (non solo nel caso delle ZES, ovviamente). Per limitare i problemi di conoscenza, il policy maker può: a) farsi coadiuvare da esperti del mercato per scegliere le “giuste” zone e le misure appropriate, ma ciò spesso comporta dei benefici per specifici settori industriali piuttosto che per i territori prescelti; b) far “pagare” i benefici della ZES agli operatori privati a mezzo di investimenti in infrastrutture, come accaduto nelle Filippine; c) affidarsi ai governi locali, più vicini alle istanze del territorio, come avvenuto nel caso di Dubai all’interno degli Emirati Arabi. Ma se da un lato il decentramento decisionale in favore dei privati o degli enti locali può ridurre il problema della conoscenza, dall’altro può aggravare il problema degli incentivi. La ZES, infatti, lungi dall’essere istituita per ragioni di interesse generale, può essere preda di comportamenti di rent-seeking. I politici locali in cerca di voti o i burocrati in cerca di maggiori poteri e competenze potrebbero dunque essere “catturati” da chi vuole ottenere o mantenere la rendita economica a discapito dell’efficienza. Naturalmente i comportamenti opportunistici possono proliferare nei contesti istituzionali deboli  o, peggio, caratterizzati da istituzione estrattive (Acemoglu e Robinson, 2012), com’è accaduto, ad esempio, nel caso delle ZES russe. Per ridurre il problema degli incentivi, occorrerebbe innanzitutto un sistema democratico trasparente e “accountable”, in un funzionante assetto istituzionale.

In definitiva, laddove si riescono a limitare i problemi di conoscenza (decentralizzando in favore di enti locali e privati) e i problemi legati agli incentivi (garantendo un assetto istituzionale sano e allocando correttamente gli incentivi ai privati per prevenire fenomeni di rent-seeking), le ZES possono condurre ad alcuni risultati economici positivi, come accaduto in Cina. In caso contrario, si può assistere a casi di fallimento, come accaduto in India.

Il progetto della Regione Calabria  Il progetto regionale prevede l’istituzione di una ZES nel polo logistico di Gioia Tauro, per un’area complessiva pari a circa 740 ettari. L’amministrazione spetterebbe alla Regione Calabria. Come incentivi fiscali per le PMI, si prevedono principalmente  riduzioni al 50 % per tre esercizi commerciali di IRES, IRAP e dei contributi da versare per i lavoratori dipendenti, a fronte di un mantenimento dell’attività nell’area per almeno cinque anni. Sul tema della conoscenza, tra i casi di successo menzionati nel progetto, vi sarebbe la ZES di Tangier, in Marocco. Il dubbio è se la crescita di Tangier sia dovuta all’istituzione della ZES. In primo luogo, stiamo parlando della terza economia del Marocco, con il nuovo porto Tangier-Med tra i più grandi del Mediterraneo, posizionato sullo Stretto di Gibilterra. A partire dal 2000, il governo marocchino ha iniziato una politica di ingenti investimenti in infrastrutture, nella costruzione del nuovo porto, nel migliorare le connessioni stradali, ferroviarie ed aeroportuali, nell’istituire importanti agevolazioni fiscali. Il tutto coadiuvato da importanti misure a livello locale.[8] I vantaggi fiscali offerti dal territorio, pur essendo molto consistenti (ad esempio nella free zone del Porto l’esenzione dalla Corporate Tax è totale mentre nella Export free zone è totale per i primi cinque anni e pari all’8,75% per i successivi venti[9]) fanno parte di un piano di interventi molto più ampio. Per esemplificare la questione, sembra abbastanza avventuristico comparare i risultati di una realtà con una popolazione vicina al milione di abitanti con la situazione di Gioia Tauro, che ha una dimensione significativamente molto più limitata. E’ necessario anche ricordare che sul tema degli incentivi, appare abbastanza evidente che il contesto istituzionale calabrese è notoriamente debole, governato da istituzioni storicamente estrattive e si presta a fenomeni di rent-seeking, di corruzione e di infiltrazioni della criminalità organizzata.

Conclusioni L’impressione è che né la Regione Calabria né il Governo abbiano ben chiari gli obiettivi di sviluppo che intendono raggiungere tramite l’istituzione delle ZES e, nel caso calabrese, la scelta di Tangier come modello di riferimento sembra dimostrare il poco sforzo di approfondimento compiuto per comparare esperienze nazionali o internazionali di successo ripetibili nel contesto di Gioia Tauro. La volontà politica appare piuttosto interessata al “fare qualcosa”, a smuovere in qualche modo lo stagno, sperando che gli incentivi fiscali risveglino delle forze di mercato che sono addormentate. Ma con tali premesse, è prudente non farsi troppe illusioni.


[1] http://portale.regione.calabria.it/website/portaltemplates/view/view.cfm?3916

[2] Domenico Marino, Il porto di Gioia Tauro e la zona economica speciale

Antonio Selvatici, La nuova via della seta: Gioia Tauro assente

Domenico Gattuso Intermodalità a Gioia Tauro. Il potenziale del trasporto ferroviario
[3] http://www.economist.com/news/finance-and-economics/21701134-free-trade-areas-aim-boost-growth-impoverished-south-how-bottom-half

[4] http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/node/1192

[5] http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/03/23/servono-al-sud-le-zone-economiche-speciali/

[6] http://voxeu.org/article/special-economic-zones-what-have-we-learned

[7] https://www.cambridge.org/core/journals/journal-of-institutional-economics/article/political-economy-of-special-economic-zones/CE09F95681408037426D2F4D210BEEA5#

[8] http://blogs.worldbank.org/psd/tangier-morocco-success-strait-gibraltar

[9] http://eprints.glos.ac.uk/1001/1/Yassine%2520Sefiani%2520Thesis%5B1%5D.pdf

 

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