Il giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo è ormai ampiamente condiviso, tant’è che la transizione verso un’economia più sostenibile è uno degli obiettivi prioritari delle politiche economiche. Parallelamente a questo, alcuni rapporti internazionali (Nazioni Unite, UE) e nazionali (Symbola 2019) forniscono utili dati per capire dove si collocano i sistemi economici nel processo di adozione di pratiche eco-innovative. In tale direzione, l’obiettivo di questo saggio è di fornire un contributo sulla diffusione delle tecnologie green in Italia, focalizzando l’attenzione sulla “geografia” della sostenibilità ambientale nelle diverse aree del paese. Gli sforzi innovativi in tecnologie green sono misurati dai brevetti “verdi” delle imprese italiane.[1]
La dinamica delle eco-innovazioni. I brevetti verdi ottenuti dalle imprese italiane non sono molti: dal 1981 al 2016, sono stati sistematicamente inferiori a 100 unità all’anno.[2] Rispetto a tutti i brevetti, la quota assorbita da quelli verdi è stata pari al 6,3% negli anni ’80, è diminuita nel corso degli anni ’90, per crescere dal 2000 in poi. Negli ultimi anni del periodo 1981-2016, la quota di eco-innovazione si è attestata attorno al 5% dei brevetti totali (Figura 1).
Facendo riferimento al tipo di tecnologia verde,[3] la figura 2 mostra significative differenze da settore a settore. Al netto della comprensibile variabilità annuale, il numero maggiore di brevetti verdi si ha nella produzione di energie rinnovabili, nella gestione dei rifiuti, nei trasporti, e nell’efficienza energetica.[4] In particolare, dopo la generalizzata bassa attività brevettuale degli anni ’90, dal 2000 in poi la distanza tra energie rinnovabili e le altre tecnologie verdi si riduce, restituendo un quadro di crescita relativamente regolare tra le diverse tipologie di green technology.
I brevetti verdi per area geografica. La figura 3 riporta l’andamento del numero di brevetti verdi nelle diverse aree del paese dal 1980 al 2016. Le imprese che introducono più eco-innovazioni sono localizzate nelle regioni del Nord Ovest, seguite da quelle del Nord Est, del Centro e del Mezzogiorno d’Italia. Sebbene i brevetti verdi delle imprese meridionali siano pochi, il loro andamento è in crescita da circa 10 anni. Considerando il triennio 2014-2016, il 50% dei brevetti appartiene a imprese del Nord Ovest. Il Nord Est contribuisce con circa il 24% delle eco-innovazioni ottenute dalle imprese italiane, il Centro con il 15%-16%. I brevetti delle imprese localizzate a Sud sono poco meno del 9% dei brevetti verdi del triennio 2014-2016. Si tratta di un valore relativamente più elevato di quello osservato, per esempio, negli anni ’90, quando il Sud contava per poco meno del 2% della “produzione” nazionale di tecnologia eco-sostenibile.
Quanto conta la dimensione aziendale. Interessanti dettagli sull’attività eco-innovativa delle imprese italiane si ottengono disaggregando i dati per dimensione e per tipo di tecnologia verde. Nella figura 4 si fa riferimento alla somma dei brevetti verdi ottenuti dalle imprese dal 1981 al 2016. Il divario del Sud rispetto alle altre del paese (in particolare rispetto al Nord-Ovest) è ampio quando si considerano le grandi imprese (a Sud le imprese più grandi registrano risultati innovativi prevalentemente nel settore verde della gestione dei rifiuti). Le differenze si riducono nel caso delle micro-imprese. In tal caso, i brevetti verdi delle regioni meridionali sono addirittura maggiori di quelli ottenuti dalle imprese del Centro. Il Sud ottiene buone performance facendo leva sulle attività innovative eco-sostenibili effettuate dalle micro e piccole imprese. Si tratta di un risultato di qualche rilevanza: in termini di eco-innovatività, la piccola e micro impresa del Sud “contabilizza” un numero di brevetti che, sebbene modesto, è maggiore di quello osservato nel Centro e non distante da quello delle imprese del Nord-Est.
I dettagli territoriali. Al fine di individuare specificità geografiche nell’attività eco-innovativa è utile aggregare i dati dei brevetti per la provincia di localizzazione delle imprese. La figura 5 riporta lo stock di accumulazione tecnologica [5] considerando tutti i brevetti (panel A e B) e i brevetti verdi (panel C e D). I dati si riferiscono allo stock brevettuale del 2015 e sono espressi in livelli (panel A e C) o sono relativizzati rispetto alla popolazione (stock di brevetti per 100000 abitanti) (panel B e D).
Sebbene emerga il predominio delle regioni settentrionali, alcune province del Sud rivelano livelli ed intensità di brevetti collocabili negli stessi percentili “alti” in cui si trovano le imprese delle altre macro-aree.[6] La mappatura della figura 5 mostra, inoltre, come il numero di province del Sud posizionate in percentili relativamente più alti della distribuzione dei brevetti verdi sia maggiore, e diversamente localizzato, rispetto alla distribuzione di brevetti totali.
In estrema sintesi, si può affermare che l’attività eco-innovativa sembra avere una geografia più includente delle specificità locali del Sud di quanto l’abbiano le innovazioni standard. Inoltre, esistono anche a Sud dei sistemi locali di imprese eco-innovative di apprezzabile livello.
[1] L’autore desidera ringraziare Lidia Mannarino per la creazione della banca dati e per aver contribuito alla realizzazione dei grafici.
[2] I dati sui brevetti sono stati ottenuti da un panel iniziale di 26000 imprese italiane selezionate nel database Amadeus (Bureau van Dijk). Si tratta di imprese che dal 1981 al 2016 hanno presentato all’EPO almeno 1 domanda di brevetto. I brevetti sono di fonte Orbis – Bureau van Dijk – che è un archivio collegato a PATSTAT dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO). Il campione considera solo le imprese con brevetti concessi (“granted”). In tal modo, si selezionano le innovazioni di successo, valutate tali non soltanto da chi deposita la domanda di brevetto, ma, soprattutto, dall’ente che lo rilascia. Il dataset finale ottenuto dall’abbinamento dei dati di Amadeus e del portafoglio brevettuale comprende circa 7300 imprese appartenenti a tutti i settori economici.
[3] I brevetti “verdi” sono stati identificati utilizzando la classificazione (“WIPO Green Inventory” proposta dall’organizzazione internazionale WIPO (World Intellectual Property Organization). In questa classificazione sono incluse tutte le classi di brevetti IPC (Intellectual Patent Classification) associate a tecnologie che tutelano e valorizzano l’ambiente nei settori della produzione di energia alternativa, trasporto, risparmio energetico, gestione dei rifiuti, agricoltura / silvicoltura, amministrazione, produzione di energia elettrica e nucleare.
[4] La figura non considera il nucleare, dato il divieto di sviluppare tecnologie in Italia in questo ambito, e il settore Procedure e Progettazione, dato che le imprese del campione hanno ottenuto solo un brevetto nel corso del periodo in esame.
[5] Lo stock brevettuale è stato calcolato utilizzando il metodo dell’inventario permanente. Seguendo una convenzione diffusa negli studi di economia dell’innovazione, il tasso di deprezzamento degli investimenti è stato scelto pari al 10%.
[6] E’ un risultato analogo a quello di altre indagini sulla localizzazione delle imprese che investono in eco-innovazione (ovvero in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale) (Symbola, 2019).