La sanità calabrese è entrata a pieno titolo nelle cronache del paese da parecchi mesi: a fine 2020 la telenovela della nomina del commissario straordinario ha contribuito a trasformare in caso nazionale un settore caratterizzato da persistente e imbarazzante inefficienza sistemica (da ultimo, si considerino i ritardi nella somministrazione dei vaccini Covid-19).
Un’inefficienza che è costellata da numerosi paradossi, il più eclatante è che, pur in presenza del rigore contabile dovuto al commissariamento iniziato nel 2010, il settore genera ancora elevati disavanzi annuali. Parallelamente, i tentativi del piano di rientro finalizzati a ripristinare l’equilibrio economico-finanziario hanno peggiorato la qualità e la varietà dei servizi offerti sul territorio, tant’è che la Calabria non rispetta i livelli essenziali di assistenza.
Tuttavia, la Calabria è terra di contraddizioni. Una regione in cui è frequente osservare picchi verso il basso, ma anche verso l’alto.
I dati della clinica Sant’Anna Hospital. Questa polarizzazione interessa anche la Sanità e, in particolare, il comparto delle malattie cardiovascolari, i cui fabbisogni sono soddisfatti in larga parte in altre regioni (per es. 42% dei casi di “aneurisma aorta addominale”: il 39% di interventi sulle valvole cardiache. Per quanto riguarda le strutture regionali, il ruolo chiave è svolto dalla Clinica Sant’Anna Hospital (SAH) di Catanzaro, che appartiene al privato convenzionato: i dati delle prestazioni erogate nel 2020 dal SAH di Catanzaro sono impressionanti: 900 interventi in cardiochirurgia, 1.800 procedure in cardiologia interventistica, 585 procedure di elettrofisiologia e 457 interventi di chirurgia vascolare. In sintesi, il SAH assolve, in media, al 35 % dei LEA cardiovascolari complessi in Calabria, limitando, significativamente, l’emigrazione sanitaria.
Ma oltre i numeri c’è altro: da anni il SAH è certificato dall’Agenzia Nazionale del Ministero della Salute come una delle prime tre case di cura italiane in termini di morbilità e mortalità.
Per la quantità e la qualità dei servizi offerti, il SAH è, quindi, un’eccellenza nell’ambito cardiovascolare. Un vanto per la Calabria delle contraddizioni.
La crisi della clinica. La clinica sta attraversando una fase di crisi iniziata ad ottobre del 2020 con l’inchiesta Cuore Matto e culminata il 23 dicembre 2020, quando l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Catanzaro ha sospeso le attività della struttura a carico del servizio sanitario nazionale.
La clinica non offre servizi, quindi, da quattro mesi. In questi quattro mesi si è assistito ad una sequenza di delibere dell’ASP, di ricorsi al TAR del SAH, di ricerca da parte dei vertici della clinica di momenti di confronto istituzionale con i commissari dell’ASP e con il Commissario Longo. Quattro mesi di proteste e manifestazioni dei trecento dipendenti della struttura che hanno tentato di sensibilizzare in tutti i modi la città, la regione, le istituzioni. Tutto vano. La clinica non ha ancora ripreso in pieno le sue attività. In base alle informazioni pubbliche è possibile fare un tentativo per spiegare la sospensione delle attività del SAH.
L’ASP di Catanzaro vincola inizialmente l’accreditamento al rispetto di alcune prescrizioni. Ai tempi della sospensione dell’accreditamento – dicembre 2020 – l’ASP di Catanzaro ha chiesto alla clinica di adempiere ad alcune prescrizioni, pena il mancato rinnovo dell’accreditamento da parte della Regione Calabria. Prescrizioni che il SAH ha puntualmente ottemperato, poiché di fatto si trattava di condizioni tanto banali (riduzione di un posto letto di una stanza, segnaletica in una parte della clinica, messa in opera di tappeti decontaminanti e di un percorso sporco/pulito all’interno del blocco operatorio e presentazione della segnalazione certificata di inizio attività) che è un azzardo ritenerle alla base della decisione dell’ASP di sospendere l’accreditamento. Il sospetto che le determinazioni dell’ASP fossero motivate da altro appare essere fondato, anche perché sarebbe stata più sensata un’informativa inviata dall’ASP al SAH con un ragionevole preavviso, in cui si subordinava l’accreditamento alla realizzazione delle prescrizioni. È singolare, pertanto, che a fine 2020 l’ASP abbia bruscamente interrotto l’erogazione di servizi sanitari di una struttura che assorbe una quota rilevante dei fabbisogni regionali di cure cardiovascolari.
La tegola del 23 marzo: la vera ragione del blocco. A seguito dell’adeguamento della struttura, il SAH ha atteso con fiducia la decisione del Commissario Longo di rinnovo dell’accreditamento. Il decreto commissariale arriva l’11 marzo. Seguono giorni di fibrillazione per la riapertura della clinica, ma l’ultima tegola è del 23 marzo, quando l’ASP delibera di non sottoscrivere il contratto per il 2020 a causa dell’inchiesta in corso “Cuore Matto”. Ecco qual è il vero motivo dell’irrigidimento dell’ASP nei confronti del SAH. Ma di cosa si tratta?
L’indagine Cuore Matto Riguarda rimborsi per prestazioni mai erogate della “Unità Terapia Intensiva Coronarica” (UTIC). Al momento attuale, da questa inchiesta è scaturito il sequestro di circa 3 milioni di euro (meno del 10% delle prestazioni annuali della clinica) e l’interdizione del precedente management. La vicenda giudiziaria avrà il suo corso, ma qua ora è opportuno ricordare che gli indagati non svolgono più alcun ruolo all’interno dell’azienda Villa S. Anna SpA. A tal riguardo, il GIP del Tribunale di Catanzaro ha ritenuto che l’attuale governance (rinnovata) sia idonea per gestire la società (respingendo, in tal modo, l’istanza avanzata dalla procura di nominare un commissario giudiziario). Dall’udienza preliminare – fissata a giugno 2021 – si capirà se ci saranno rinvii a giudizio e, quindi, l’avvio del processo. Ma è in base a questo procedimento che l’ASP di Catanzaro non ha firmato il contratto 2020, pur in presenza del Decreto del Commissario Straordinario Longo di rinnovo dell’accreditamento della struttura. In dettaglio, l’ASP delibera di non firmare il contratto «sino al completo chiarimento della situazione ancora sub judice», cioè sino al completo chiarimento dell’inchiesta “Cuore Matto” che ha colpito il vecchio management del SAH, ma che nulla ha a che fare con l’attuale governance della società. Al SHA temono che non venga firmato il contratto per il 2021.
L’ira del presidente del CdA della Clinica. È evidente che tutto ciò significherebbe il fallimento della società per il mancato introito delle prestazioni per il 2020 – un debito dell’ASP di circa 24 mln di euro – e l’impossibilità di rendere servizi sanitari in regime di convenzione per il 2021. Da qui l’ira di Gianni Parisi, da pochi mesi presidente del consiglio di amministrazione del SHA Spa, “il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione è previsto solo in caso di sentenza di condanna. Qua siamo solo in presenza di indagini concluse e con un potenziale processo ancora non avviato. Ecco perché abbiamo deciso di impugnare al TAR la delibera dell’ASP che si ostina a non riconoscere le prestazioni regolarmente erogate nel 2020”. E ancora “il SAH è l’unica clinica calabrese ad avere l’accreditamento rinnovato e tutte le carte in regola per erogare prestazioni sanitarie a carico del SSN”. “E comunque – conclude Parisi – anche noi abbiamo sempre sostenuto che è giusto che le indagini abbiano il loro corso e che i magistrati accertino la verità dell’inchiesta Cuore Matto, ma questo aspetto non è assolutamente in relazione con la nostra attività, che dobbiamo svolgere perché siamo regolarmente accreditati, siamo un centro di eccellenza e siamo inseriti nel fabbisogno regionale”.
Cosa potrà accadere a breve? Per un osservatore esterno, sembra che si sia in presenza di una sorta di crociata dell’ASP di Catanzaro contro il SAH. Immaginiamo per un attimo che il TAR accoglierà il nuovo ricorso che il SAH presenterà contro l’ultima decisione dell’ASP. È verosimile che ciò si verificherà anche perché “il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione è previsto solo in caso di sentenza di condanna” ha la sua base normativa in una recente legge regionale (LR 24/2018, art.13). A quel punto, l’ASP dovrà firmare il contratto del 2020 e il SHA riavvierà le attività. Rimarrà, comunque, un dubbio che è legato alla specificità del caso: le delibere dell’ASP degli ultimi quattro mesi sembrano essere state prese ignorandone gli impatti sui livelli occupazionali (più di 600 persone tra occupati diretti e indiretti), sull’indotto che ruota attorno alla clinica, sui pazienti e sul rischio di dispersione delle professionalità che operano nella struttura (a proposito, molti hanno già pronta la valigia per trasferirsi altrove).
Le delibere dell’ASP di Catanzaro non sono neutrali. Sembra che l’ASP abbia trattato burocraticamente un caso confidando nella neutralità delle sue decisioni. Ora, è chiaro che per le caratteristiche quantitative e qualitative del SAH, la capacità regionale di far fronte alla domanda di cure cardiovascolari è significativamente influenzata dalle giornaliere attività della struttura di Catanzaro. Se si blocca il SAH, così com’è emerso in seguito alle delibere dell’ASP di Catanzaro, è l’intero sistema va in corto circuito. Non è possibile “traferire” i pazienti dal SAH alle altre strutture regionali (in particolari agli Ospedali di Reggio Calabria e al Policlinico di Germaneto a Catanzaro) perché per organizzazione del lavoro e per vincoli strutturali non possono soddisfare la massa di domanda aggiuntiva proveniente dal SAH, pur potendo contare su eccellenti professionalità mediche. Infatti, attualmente le strutture pubbliche non hanno capacità produttiva sotto utilizzata: se l’avessero potrebbero certamente intercettare la domanda di cure dei pazienti che sistematicamente si rivolgono fuori regione.
L’effetto, quindi, di mantenere chiusa la clinica SHA è devastante.
La domanda chiave. Un’importante domanda che è, quindi, lecito porsi è che cosa è successo ai calabresi che negli ultimi quattro mesi hanno trovato chiuso l’ingresso del SAH. Quanti sono, innanzitutto? Difficile dirlo, ma possiamo fare un esercizio per avere un’idea, seppure grossolana, del danno legato all’inattività del SHA.
Limitiamoci a considerare solo gli interventi di cardiochirurgia e i dati del 2020 (900 interventi). È ragionevole affermare che in quattro mesi il SAH avrebbe potuto curare ben 300 pazienti con operazioni a “cuore aperto”. Questi pazienti hanno ricevuto trattamenti alternativi? Alcuni, pochi, sono stati trattati in regione. Altri sono stati curati in strutture della Campania, con oneri aggiuntivi per il bilancio regionale e per le famiglie. La stragrande maggioranza si è dovuta accollare il rischio dell’attesa sperando di ricevere da qualche parte una cura.
Il rischio dell’attesa e le implicazioni del decisionismo dell’ASP. Si tratta di un rischio elevatissimo, perché il tempo è cuore nel senso che in moltissimi casi bisogna intervenire entro poche ore dall’insorgenza di un sintomo per incrementare il tasso di sopravvivenza di breve e di lungo termine. Qua si parla di quattro mesi di inattività del polo di eccellenza della cardiochirurgia calabrese. Quattro mesi che hanno amplificato i disagi della cattiva sanità in una regione in cui si sta normalizzando la negazione del diritto alla salute. Quattro mesi che hanno prodotto elevati costi impliciti di difficile misurazione, ma che sarebbe opportuno valutare per meglio capire le implicazioni sociali e le responsabilità del decisionismo dell’ASP di Catanzaro. Dopo quattro mesi è opportuno che il governo mandi degli ispettori per risolvere il caso e restituire alla Calabria e al Mezzogiorno un riferimento per le cure delle malattie cardiovascolari.
Una sintesi di questa nota è stata pubblicata su Il Foglio (edizione del 30 aprile 2021) con il titolo “Appello al governo per salvare un’eccellenza del Sud: la clinica SAH.