Il cantiere del terzo settore nella fase post-Covid 

Il cantiere del terzo settore nella fase post-Covid  di Gianfranco Piombaroli* e Angelo Palmieri**

Siamo ad un passo dalla più profonda recessione economica del dopoguerra e dinanzi a dinamiche sociali imprevedibili. L’Istat stima per il secondo trimestre del 2020 una contrazione del PIL del 12,8% (il dato peggiore dal 1995), un milione di posti di lavoro in meno entro l’anno, la cancellazione di una azienda su tre. Sono in atto effetti macro-economici dagli inevitabili riverberi in termini di coesione sociale sulle nostre comunità.

In questo scenario alquanto chiaro, il Terzo Settore, da sempre un avamposto di prossimità, è in forte affanno: i livelli minimi di assistenza e cura sono stati garantiti dai numerosi soci, nel mentre ci si è dotati di codici etici di comportamento e linee guida fai-da-te, sì da poter gestire in modo ancor più efficace ogni processo organizzativo teso a prevenire qualsiasi evento ostativo in assenza di un qualsiasi protocollo scientifico stilato dal governo centrale o da quello regionale. Ciononostante, nei quattro mesi di emergenza sanitaria, sono stati garantiti gli interventi essenziali (basti pensare al lavoro di cura nelle RSA).

Elemento che ha generato non poche criticità è rappresentato dall’art. 48 del Decreto Legge 18/2020 (Il “Cura Italia” e successive modifiche con l’art. 109 del Decreto Rilancio). A tal proposito è da sottolineare lo sforzo progettuale nella ridefinizione delle prestazioni da erogare dei tanti operatori dei servizi educativi e scolastici e delle attività sociosanitarie e socio-assistenziali.

La priorità, espressamente indicata dal testo di legge, si finalizzava alla erogazione dei servizi in maniera diversa, magari operando anche in deroga a eventuali clausole contrattuali, convenzionali, concessorie.

Di contro ad un guizzo di responsabilità etica e sociale degli enti non profit, abbiamo dovuto registrare una chiusura, a volte pregiudizialmente ideologica, da parte di alcuni Enti Locali in termini di riconoscimento dei servizi erogati in piena emergenza, col conseguente aggravio dei costi per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale, tamponi e test sierologici in uno ai lavori di adeguamento strutturale ed organizzativo dei servizi in previsione dell’avvio di molte attività per il mese di Settembre.

Riteniamo, tuttavia, che la vera sfida sia quella di un confronto costruttivo e non dottrinale con tutti gli attori che concorrono a definire le politiche sociali e sociosanitarie delle nostre comunità, per condividere un’Agenda che abbia come tema principale la sostenibilità dei servizi garantiti.

Si è ad auspicare che – nel percorso comune da intraprendere con tutti gli stakeholder – ci si adoperi per un approccio programmatico e valutativo orientato allo sviluppo di modelli/metriche di analisi costi-benefici, che, condivisi da Enti Pubblici e privati, contribuiscano ad efficientare e misurare con criteri razionali le performances tecnico-organizzative, sì da assicurare capacità di spesa e qualità delle prestazioni erogate.

Altro aspetto da ponderare è quello della costruzione di nuovi e innovativi modelli di servizio, frutto di una co-progettazione pubblico-privata.

L’utilizzo della co-progettazione, come previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore (d.lgs. n .117/17), anche per la costruzione di progetti innovativi e sperimentali, potrebbe meglio rispondere alle esigenze di integrare approcci, risorse e azioni dei soggetti senza alcuna contrapposizione. Ma occorre ribadire questo: l’applicazione dell’articolo dovrà “seguire una logica non asimmetrica, scongiurando che il processo (genesi, gestione ed esito) divenga prerogativa della burocrazia pubblica” (Zandonai e Bandera, 2020).

Inoltre, è indispensabile che le organizzazioni non profit individuino il proprio strumento di valutazione di impatto sociale in grado di analizzare influenze e ripercussioni che le proprie attività determinano sulle comunità di riferimento, ovverosia prevedano una restituzione degli effetti generati dai propri progetti finanziati, comunicandoli ai vari portatori di interesse (Pubbliche Amministrazioni, Committenti privati e soggetti beneficiari degli interventi).

Le strategie del “prendersi cura” sono tuttora concepite come erogazione di servizi assistenziali gestiti esclusivamente a costo senza alcuna logica di investimento. Siamo dentro una visione di welfare fortemente paternalistico e dispersivo in cui le risorse esistenti difettano dall’essere allocate con criteri razionali e di efficienza (Covolo, 2016).

È forte il rischio di insabbiarci in operazioni meramente ragionieristiche, di vincolo finanziario, che di certo non possono essere ignorate, con il rischio di consegnare il welfare nelle mani del “non profit speculativo”.

Come ha sottolineato in un recente editoriale Carlo Verdelli, se “l’esercito del bene comune” (quai 7 milioni tra volontari e personale assunto) verrà messo nelle condizioni di non poter continuare a svolgere il lavoro di ricucitura sociale, di costruzione di legami sociali, il saldo che la crisi ci presenterà non sarà più sostenibile. Ed è bene ricordare che il variegato mondo del Terzo Settore, prima della crisi sanitaria, rappresentava il 5 per cento del PIL (80 miliardi di euro), generando un significativo impatto economico, di risultato occupazionale e di presidio sul territorio.

Numeri che indicano un patrimonio umano e sociale da non disperdere. È inconfutabile che in questa fase di ricostruzione il Terzo Settore giochi un ruolo centrale, è innegabile che esso resti “il principale promotore di concrete forme di cittadinanza e di comunità” (Borgomeo, 2020).

Sarà, dunque, indispensabile un’azione propulsiva in chiave territoriale, nel pieno riconoscimento di co-protagonista delle politiche al servizio del bene comune delle comunità, rimarcando il proprio ruolo che dovrà essere in chiave sussidiaria e non affatto subalterna alle politiche pubbliche. Solo un’operazione di innovazione istituzionale e culturale (di paradigma) del nostro welfare sarà in grado di scongiurare i rigurgiti statalisti e le derive mercatiste.


*Presidente della Cooperativa Sociale Polis e del Consorzio Auriga (Perugia)
**Sociologo


 

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