Chi ha avuto modo di seguire il dibattito sulla teoria della crescita può ben argomentare come l’innovazione sia il fattore più importante in grado di assegnare alla Calabria un minimo di probabilità per uscire dalla trappola della povertà in cui versa. Si può anche dimostrare che in assenza di un recupero del tasso di innovatività dell’intero sistema, gli attuali ritardi economici della Calabria si amplificheranno a dismisura, poiché l’economia calabrese sarà sempre di più distante dai sistemi regionali che affrontano e risolvono i temi legati al progresso tecnologico. Di tutto ciò in Calabria non si ha alcuna percezione, poiché non è diffusa la consapevolezza degli effetti che l’innovazione genera sull’organizzazione delle produzioni locali.
Da un lato, il sistema delle imprese investe pochissimo in ricerca e sviluppo per la ridotta dimensione, le specializzazioni produttive in settori a basso contenuto tecnologico, l’avversione al rischio, i problemi di liquidità finanziaria e l’aspettativa di poter accedere a risorse pubbliche. Gli avanzamenti tecnologici che il sistema industriale calabrese registra sono essenzialmente legati all’acquisizione di nuovi macchinari e alla tecnologia in essa incorporata. Nulla di strano se importiamo conoscenza, se non fosse che per sfruttarla al meglio il sistema di imprese dovrebbe accrescere la capacità di assorbimento di questa tecnologia attraverso, per esempio, un aumento dell’occupazione di tecnici e giovani ricercatori. Con gli attuali profili occupazionali quei macchinari funzionano al di sotto delle loro potenzialità, impedendo al sistema di recuperare in efficienza e produttività. Dall’altro lato, il sistema politico-istituzionale disconosce il ruolo dell’innovazione. Da molti anni la Regione Calabria pone l’innovazione ai margini della propria agenda politica: senza andare troppo lontano nel tempo, è ragionevole affermare che nelle Giunte Loiero e Scopelliti gli assessori di riferimento abbiano fatto ben poco per il settore. La Giunta Oliverio “istituzionalizza” l’assenza di un assessorato per la ricerca e l’innovazione: ci stanno convincendo che è quasi normale che in una regione a forte ritardo di sviluppo manchi una guida di governo che dedichi al settore tutte le attenzioni che, al contrario, la scienza economica gli assegna. E’ anche paradossale che ciò avvenga quando i temi della ricerca e dell’innovazione rappresentano il perno attorno a cui ruota tutta la programmazione comunitaria dei fondi 2014-2010. Questa mancanza di sintesi e di indirizzo del potere esecutivo e questo vuoto istituzionale favoriscono il disordine sia nella fase di analisi e di studio assegnando, per esempio, priorità a tematiche risibili che, in quanto tali, dovrebbero stare in note a piè di pagina, sia nella fase della predisposizione delle politiche, in cui prevalgono le tesi della PorTecnoBurocrazia che trasversalmente da almeno quindici anni è portatrice di un’impostazione di lavoro tutta sbilanciata nella gestione, più formale che sostanziale, delle risorse comunitarie. Un generalizzato caos, senza avere, peraltro, un briciolo di informazione sull’impatto delle risorse spese: qual è stato l’apporto addizionale delle politiche per la ricerca e l’innovazione? Chi può documentare cosa sarebbe successo in assenza delle politiche? A quanto ammontano i nuovi occupati che rimangono tali in assenza degli aiuti? A quanto ammonta la quota di fatturato delle imprese generato dalle politiche per l’innovazione? Queste imprese convergono verso nuove traiettorie tecnologiche? Chi può documentare quali sono i reali fabbisogni tecnologici dell’intero sistema industriale regionale? Che caratteristiche deve avere il sistema di offerta di innovazione al fine di generare impatti sistemici?
A guadarla dall’esterno, l’azione pubblica nel settore sembra essere schizofrenica: l’UE forza sull’innovazione e consente alle regioni di programmare ingenti quantità di danaro, che puntualmente la Calabria spende poco, male e senza alcuna verifica di impatto. Sembra un perfetto sistema pensato per autoriprodursi, in cui gli unici a trarne con regolarità qualche beneficio individuale sono coloro che hanno ben appreso come produrre carta per fare brillanti progettazioni sempre disattese, esercizi di auto-valutazione immaginando paradisiaci scenari e rendicontazioni formalmente ineccepibili. Questa tecno-burocrazia è interna ed esterna all’apparato regionale e ha un vantaggio consolidato di conoscenza delle regolamentazione comunitaria che le consente di godere di rendite di posizione difficilmente dissipabili. Queste rendite sono aumentate nel tempo grazie al disinteresse istituzionale ai temi dell’innovazione e rappresentano un ostacolo all’utilizzo efficace delle risorse comunitarie. E’ opportuno limitarne l’azione e, in questo, l’assenza di un assessorato alla ricerca e all’innovazione non aiuta affatto. Un freno potrebbe provenire da un’Agenzia per l’Innovazione – già disciplinata in una legge regionale di pochi anni fa – che svolga funzioni di coordinamento, sintesi, indirizzo e di controllo delle politiche per l’innovazione e la ricerca in Calabria. Oggi si discute di creare un’Agenzia per lo Sviluppo e l’Innovazione. Questa proposta è in linea con la teoria e la politica economica, poiché non esiste sviluppo senza innovazione. Tuttavia, per mettere ordine al caos che caratterizza il settore è necessario che questa Agenzia abbia ampia autonomia decisionale e sia dotata di una struttura snella. Per amplificarne l’impatto è cruciale anche che essa coordini e indirizzi le attività dei vari assessorati in tema di ricerca e innovazione in modo da ovviare all’assenza di un assessorato di riferimento. Solo in tal modo sarà possibile sfruttare le sinergie dei vari obiettivi tematici e trasformare, quindi, la strategia delle 3S da contenitore da libro dei sogni a reale opzione di sviluppo.