Fa specie prendere atto che il tema della sanità è balzato agli onori della cronaca politica e dell’azione programmatica della coalizione di centrosinistra con il governo Meloni, in particolare all’indomani dell’approvazione della legge sull’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario e del decreto liste d’attesa.
La sanità è diventata subitamente un bene da tutelare costituzionalmente da parte della compagine di centrosinistra, come dimostrano manifestazioni e comitati, di contro ad una politica del governo che in materia appare alquanto arrendevole sul piano economico.
Ma siamo ad una prima considerazione: è possibile sottrarre al declino inarrestabile un sistema sanitario caratterizzato da contraddizioni, disfunzioni, ma soprattutto, come sostiene il sociologo Ivan Cavicchi, da “controriforme invarianti”? Non si può semplicemente sostenere che per l’attuale governo la sanità non costituisca una priorità e chiedere di rifinanziarla come pura spesa storica. Ma attenzione a non issare la bandiera del sottofinanziamento a ragione solo di una spregiudicata operazione dell’attuale ministro della salute. Ad onor del vero sono decenni che la sanità è sottofinanziata e meno che mai nessuno ha impugnato bandiere scendendo in piazza per motivi rilevanti e dall’alto significato come la controriforma dell’art.32, del titolo V e della legge 833 che ha istituito il SSN. È incontrovertibile che l’attuale sistema sanitario è il risultato di politiche poco lungimiranti, neoliberiste compiute dal centrosinistra negli anni passati. Ordunque, per rianimarla con un governo di centrodestra, che a dir il vero, dimostra inerzia anche per evidenti ragioni di sprovvedutezza, non bastano risorse, pur necessarie ma sempre difficili a trovarsi, ma di una vera riforma che nessuno, rebus sic stantibus, vuole fare. Ciò che si invoca in maniera poderosa è un rifinanziamento del sistema dato. In particolare tutti chiedono, dalle principali sigle sindacali ai partiti di opposizione, di allineare la nostra attuale spesa sanitaria a quella europea, quindi chiedono di adeguare la spesa al 7,5% del PIL.
Una seconda considerazione: a parte la plausibilità finanziaria di questa richiesta, visti i conti pubblici, quale prospettiva di rilancio del nostro sistema senza un’operazione qualificante e che si ispiri ad un reale riformismo che potremmo definire culturale, sistemico? Oggi come sottolineano numerosi studi la sanità appare fortemente squilibrata ovverosia compromessa nei suoi rapporti con l’economia, diventando solo un costo, ha abdicato alle politiche di prevenzione, ha determinato una sorta di “privatocrazia sanitaria” cedendo alle teorie neoliberiste dell’universalismo selettivo e del secondo pilastro, ha generato una “spesa out of pocket” di 40 miliardi, non ultimo le disfunzioni organizzative dei suoi servizi, ospedali e non solo, e la penuria degli operatori, criticità sensibilmente avvertite nelle regioni del Mezzogiorno. Potremmo senza alcuna smentita asserire che le controriforme neoliberiste, come sostiene l’esperto di politiche sanitarie Ivan Cavicchi, attuate al tempo dell’Ulivo negli anni 90 messe a bilancio presentano un conto pesante. Esse, aggiunge Cavicchi in un recente saggio, “hanno azzoppato il diritto alla salute, articolo 32 della Costituzione, riducendolo con le aziende da diritto fondamentale a diritto potestativo, subordinandolo di fatto alla più cinica speculazione finanziaria”. È bene ricordare che è a causa dell’Emilia Romagna che ha di fatto sostituito le Usl con le aziende creando un effetto domino su tutto il Paese, e di Rosi Bindi che ha permesso l’assistenza sostitutiva e Matteo Renzi, che in nome del welfare on demand, ha voluto il welfare aziendale (tutte “operazioni politiche riformiste”), che per il bilancio dello Stato il costo della sanità a causa della sua privatizzazione è cresciuto in maniera considerevole.
Dunque dobbiamo sempre più fare i conti col perdurare di una complessità del sistema e del suo processo quasi inarrestabile di degrado. A ragion veduta non si può continuare solo a rivendicare una percentuale di spesa in rapporto al Pil senza un’adeguata e ragionevole opzione su scelte politiche di riforma. Assistiamo ad uno sfaldamento strutturale rispetto al quale risultano vacue le intuizioni del centrosinistra e del governo Meloni.
Il tema della sostenibilità in senso lato del sistema non può correre sui binari degli interventi tampone e pannicelli caldi e paghetta. Si rischierebbe, così, l’ennesimo deragliamento e l’irriducibile declino di tutta la sanità, soprattutto quella costituzionalmente sancita a tutela del cittadino.