Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia

Pubblichiamo alcuni brani del volume di Vittorio Daniele “Il paese diviso. Nord e Sud nella Storia d’Italia”, (Rubbettino, 2019). Pur partendo, nel 1861, da condizioni economiche molto simili, Nord e Sud hanno seguito percorsi di sviluppo divergenti. Il divario tra le due aree è spiegato da diversi fattori: quelli geografici – secondo l’autore – hanno un ruolo fondamentale.

In tutte le nazioni esistono divari regionali di sviluppo. Ma quello tra il Nord e il Sud d’Italia rappresenta, se non un unicum, certo un caso «speciale» di divario economico. Le ragioni sono diverse. In Italia, a differenza di altre nazioni, il reddito medio decresce secondo l’asse principale della penisola, quello nord-sud. Le regioni meno sviluppate – le otto del Mezzogiorno – costituiscono una parte molto grande del paese: il 40 per cento della sua superficie territoriale e quasi il 35 per cento della popolazione. Con i suoi 20 milioni di abitanti, il Mezzogiorno ha oggi una popolazione doppia di quella della Grecia, comparabile a quelle di Danimarca, Norvegia e Svezia messe assieme.

Oltre a essere ampio, il divario di sviluppo tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia è, poi, persistente: rappresenta una «costante» del percorso di sviluppo economico italiano da centocinquant’anni, pur avendo assunto nel tempo ampiezza diversa. Ma il ritardo meridionale è «speciale» anche sotto un altro profilo. Prima del 1861, le regioni del Mezzogiorno hanno avuto una storia istituzionale diversa da quella del Centro-Nord. Per questo motivo, si è spesso ritenuto che le origini del ritardo meridionale vadano ricercate nella storia precedente l’unificazione nazionale.

Nel 1861, si unificarono Italie diverse, perché differenti erano le storie degli Stati preunitari. Per livelli d’istruzione e per strutture sociali e istituzionali, una diversità grande esisteva tra le regioni di quello che era stato il Regno delle Due Sicilie e il resto del paese. Anche l’Italia centrosettentrionale non, però, era omogenea. Negli ampi territori dell’ex Stato Pontificio, i tassi di analfabetismo e le condizioni sociali ed economiche erano molto simili a quelli delle regioni meridionali. E in Veneto, come in diverse province settentrionali, il tenore medio di vita non era molto diverso da quello delle regioni più arretrate del meridione. Sia al Nord, sia al Sud c’erano regioni più prospere e altre più povere. La differenza tra le due parti del paese era tutt’altro che netta.

La disparità nei redditi tra il meridione e il Centro-Nord, molta modesta, se non del tutto inesistente, alla data dell’Unità, cominciò ad aumentare alla fine dell’Ottocento, quando nel Nord-Ovest si avviò l’industrializzazione. Da allora, per oltre mezzo secolo, Nord e Sud seguirono due sentieri divergenti di sviluppo. La lunga divergenza della prima metà del Novecento si arrestò negli anni Cinquanta del secolo scorso. Poi, per un periodo tutto sommato breve, un quindicennio, il divario si ridusse […].

Perché il Mezzogiorno non è sviluppato come il Nord? Se si guarda agli indicatori economici, la risposta appare, tutto sommato, semplice. Il ritardo economico del Mezzogiorno dipende essenzialmente dal fatto che si è industrializzato in ritardo, e con minore intensità, rispetto al resto d’Italia. Questo ritardo ha avuto effetti economici, ma anche conseguenze sociali e politiche.

Dalla fine dell’Ottocento, quando per la prima volta venne posta all’attenzione dell’opinione pubblica, la «questione meridionale» ha alimentato un incessante dibattito. Di volta in volta, il divario tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord è stato attribuito a più o meno consapevoli scelte politiche, alle caratteristiche della società meridionale e a tratti culturali, antropologici se non genetici dei meridionali stessi. L’origine del ritardo meridionale è stata ricercata nella storia, ricondotta al lascito sociale e istituzionale dei Borbone, degli Angioni o dei Normanni, secondo l’idea che sui divari attuali gravi il fardello del passato.

In questo dibattito, le spiegazioni politiche e sociali hanno prevalso – e prevalgono ancora – su quelle che, invece, insistono sul ruolo dei fattori economici. Non c’è dubbio che anche cause politiche e sociali concorrano a determinare lo sviluppo delle regioni o delle nazioni; queste, come vedremo, hanno avuto la loro importanza anche nel caso italiano. Ma le traiettorie dello sviluppo regionale dipendono, innanzitutto, dall’azione di forze economiche che, rendendo più conveniente la localizzazione delle imprese in alcune aree rispetto ad altre, danno origine a una geografia economica disuguale. La distanza dai mercati, le tecnologie produttive e i costi del trasporto sono tra le principali forze che, interagendo in modo diverso nelle varie epoche, influenzano la distribuzione delle attività economiche e della popolazione nello spazio geografico. Queste forze hanno agito e agiscono in tutte le nazioni. Perché mai l’Italia dovrebbe costituire un’eccezione?

[…]. Lo sviluppo disuguale del paese è, in parte, dipeso dall’operare di forze di mercato che, per la peculiare geografia dell’Italia, favorirono l’integrazione del settentrione con le aree più industrializzate d’Europa. Il Mezzogiorno, periferico geograficamente lo divenne anche dal punto di vista economico.

[…] La «conquista pacifica» dell’industrializzazione – per usare l’efficace espressione di Sidney Pollard – ha portato alla formazione di centri e periferie e, nel tempo, alla «mezzogiornificazione» di alcune regioni.

La geografia economica conosce, oggi, rapide trasformazioni, indotte dalla riallocazione internazionale delle imprese, dalla crescita delle regioni dell’Est Europa, e dalle pressioni e opportunità legate alla globalizzazione, con cui anche il Sud Italia si confronta.


 

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