Il passo veloce del futuro: innovazione e inerzie sociali
di Domenico Talia
La storia degli ultimi due secoli è piena di invenzioni che hanno cambiato il mondo. L’elenco è lungo ma è sufficiente citarne alcune di larghissimo uso per comprendere di cosa parliamo: il treno, il telefono, l’automobile, il cinema, la televisione, il computer, Internet. Della gran parte di questi nuovi ‘miracoli’ della scienza e della tecnica, quando furono annunciate e presentate al mondo, non fu compresa la reale potenzialità e l’impatto sociale. A volte neanche i loro inventori, per quanto fossero persone di grande talento, furono capaci di capire fino in fondo l’importanza delle loro scoperte. I fratelli Lumière chiamarono i loro primi filmati le “fotografie viventi” e, anche se in Francia fecero scalpore, non furono capaci di sfruttarle commercialmente. L’invenzione del computer non fu inizialmente compresa neanche da Thomas Watson, presidente della IBM (ebbe a dire “Penso che nel mercato mondiale ci sia richiesta per circa cinque computer”), azienda che proprio grazie al computer divenne successivamente uno dei più grandi colossi informatici al mondo. Una cosa simile accadde quando si annunciò la diffusione di Internet. Tra i tanti scettici, nelle prime file si trovò il fondatore di Microsoft Bill Gates.
Queste cose accadevano nel secolo scorso ma oggi il mondo è ancora più veloce e dinamico del Novecento e di qualsiasi altro periodo della storia dell’uomo. Gli oggetti e gli strumenti della nostra vita compaiono o si trasformano rapidamente e sono allo stesso tempo sempre più veloci, economici, intelligenti, complessi e spesso anche minuscoli. Stiamo assistendo a una accelerazione delle innovazioni, frutto di una forza impressionante della scienza che sta trasformando ogni aspetto della società, dall’economia alla cultura, dalla sfera pubblica a quella privata. Ognuno di noi vive questi cambiamenti in modo diverso e ovviamente personale. Ci sono gli entusiasti e gli scettici, i prudenti e gli innovatori, tuttavia nessuno può provare a ignorare le trasformazioni senza pagarne un prezzo. L’inerzia tende a farci trascurare l’impatto delle nuove invenzioni e delle trasformazioni che portano con sé. Ma se diventa eccessiva provoca danni e limita il nostro ruolo nella società. Tante persone sono concentrate sul presente (che quest’anno è particolarmente triste). Altre cercano di guardare in avanti scrutando un orizzonte in continuo mutamento. Ogni periodo di cambiamento epocale, come questo che stiamo vivendo, ha prodotto vincitori e vinti. Trovarsi nell’una o nell’altra fazione non dipende soltanto da noi, ma non è indipendente dalle nostre scelte. I fattori sociali, economici e culturali sono quelli che determinano la capacità di muoversi nelle trasformazioni. Vivere in una società pronta al cambiamento o in una che non lo sa o lo vuole cogliere – perché si attarda in pratiche superate – condiziona la nostra vita, la realizzazione personale ma anche il benessere di intere collettività.
La logica di questo futuro sempre più veloce rovescerà completamente le credenze e le prassi del passato e solo chi saprà pensare in un modo differente avrà successo. Le società meno ricche dovrebbero essere quelle più interessate alle trasformazioni, quelle che più dovrebbero porre attenzione e investimenti sul loro futuro. Se il loro disagio nasce anche da debolezze economiche e culturali, tenere il passo con il domani è più difficile, ma è l’unico destino che hanno per evitare di aggravare la loro condizione. Oggi il futuro è un rischio maggiore che in passato, ma accogliere il rischio è l’unica possibilità che abbiamo. Siamo ‘condannati’ ad affrontare le innovazioni, ma dobbiamo farlo senza timori. Ignorarle non è un’opzione reale, serve soltanto a esserne travolti. Per evitare che ciò accada dobbiamo acquisire ed esercitare capacità di attenzione per le idee innovative, per le trasformazioni che ci possono aiutare a vivere il presente guardando nella direzione del futuro. Camminare con lo sguardo rivolto all’indietro per cercare il conforto delle cose consuete non ci è di aiuto. Il passato ci può essere di grande utilità ma pensare che possa conservarsi intatto è una pia illusione. Il mondo sta diventando sempre più imprevedibile e ci mette sempre più davanti a cambiamenti inattesi. Essere cittadini del III millennio è un compito complesso, ma per giocarlo serve attenzione al cambiamento e uso saggio dell’esperienza.
Tanti che occupano grandi o piccole posizioni di potere non amano le trasformazioni, anzi le avversano per conservare le loro posizioni privilegiate. Ma mentre fanno questo danneggino gli altri le cui vite dipendono dal loro potere. Il Sud d’Italia, ad esempio, sconta grandi ritardi di progresso e dovrebbe abbracciare velocemente le innovazioni per tentare di superare le sue difficoltà storiche. Eppure, sono diversi i casi di classi dirigenti in alcune sue regioni che per perpetuarsi non sanno e non vogliono investire sul futuro, sulle innovazioni. Questo è un atteggiamento colpevole che danneggia milioni di persone e spinge tanti cittadini a separare il loro destino da quello di questa bellissima terra. I ritardi del Mezzogiorno invocano necessità di trasformazioni in molti settori. La sanità, i trasporti, le infrastrutture telematiche, il lavoro, sono tutti ambiti in cui c’è moltissimo da fare e tantissimo da innovare. Gli esponenti politici che, per incompetenza o per malafede, non comprendono ciò o volutamente rallentano l’introduzione di innovazioni infrastrutturali, culturali e di processo, sono i principali nemici del Sud e del futuro della sua gente. L’uscita dalla pandemia da COVID-19, nella quale siamo ancora immersi, richiede un “salto culturale” che sappia accettare le innovazioni e usarle per entrare nel futuro. I finanziamenti che arriveranno dall’Europa devono diventare programmi concreti per superare i ritardi e puntare decisamente sull’innovazione. Perché questo avvenga è necessario che le regioni avviino una seria e condivisa progettazione, senza attendere gli ultimi giorni. È una sfida per tutti, ma soprattutto per chi governa le regioni del Mezzogiorno che avrebbe bisogno di comprendere bene come praticare l’innovazione e come diffonderla nei territori, invece di perseverare in vecchie pratiche logore e sconfitte dal tempo. Se ne sono capaci, si dedichino a programmare il futuro delle loro regioni, invece di perdere tempo in polemiche da bar o addirittura in affermazioni degne di becere sottoculture, come purtroppo sembra sappiano e amino fare alcuni esponenti di partiti che hanno ruoli di governo in alcune regioni meridionali.
Questa nota è stata pubblicata sul Quotidiano del Sud (Edizione del 16 ottobre 2020)