Di Domenico Marino e Pietro Stilo*
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Sistema dei trasporti marittimi in pillole I porti italiani si collocano al 3° posto nel range europeo per quanto riguarda i volumi di merci trasportati, preceduti dai porti di Olanda e Gran Bretagna. Il sistema portuale italiano, nonostante mantenga sempre un ruolo importante nel panorama europeo, ha perso competitività e quote di mercato, in particolare, nel settore del transhipment, ciò per diversi motivi, in particolare di carattere burocratico, ma anche di natura economica, politica e di carenza infrastrutturale interna. In Italia, infatti, è carente il sistema porto come “nodo” che a sua volta si collega ad altri “nodi” sul territorio, porto- hinterland -ferrovia-aeroporto-autostrada. Importante in questa direzione è l’articolo 46 del Decreto salva Italia che lega sempre più il porto al territorio, non più, quindi, un “balcone” affacciato sul mare, ma un sistema industriale del mare che può creare PIL, particolarmente rilevante in un momento di grande difficoltà economiche conseguenti alla crisi. Un grosso limite è costituito dall’elevata frammentazione delle procedure burocratiche del ciclo portuale. In Italia, infatti, sono necessari circa 19 giorni per l’adempimento delle procedure di sdoganamento delle merci, rispetto ai 6 giorni impiegati dai porti Olandesi, ciò consegue che gli operatori scelgano altri scali per i loro investimenti. Si ha, quindi, che in Italia il traffico è diminuito, in particolare, a Gioia Tauro (-9,4%) e Cagliari (-1,7%), mentre in controtendenza è aumentato a La Spezia (+19,7%), Salerno (+14,0%) e Ravenna (+13,1%). Da un’analisi del Liner Shipping Connectivity Index, un indicatore dell’UNCTAD che misura la competitività del sistema marittimo di un Paese, si evince che l’Italia è al 17° posto nel 2015, posizione che mantiene da circa 10 anni. Se diamo uno sguardo all’importanza che il settore marittimo rappresenta per il nostro paese in termini economici viene fuori che esso vale oltre 43 miliardi di euro di valore aggiunto e quasi 800mila posti di lavoro. Sicuramente la globalizzazione ha modificato e continua a modificare anche gli assetti del mare. Nuove rotte si affermano, vecchie vie si riscoprono, giovani attori si affacciano. Le nuove rotte sono costituite dagli spostamenti Nord-Sud (dal Mediterraneo verso l’area del Golfo ed il Medio ed Estremo Oriente) i cui volumi sono aumentati nel periodo 2001 – 2014 del 160%, mentre il percorso inverso è aumentato del 92%. I dati sul traffico merci forniscono una fotografia molto eloquente della crescita di importanza dei porti sul Mediterraneo: il Pireo nel periodo 1995-2013 è cresciuto del 400%, movimentando 3,1 milioni di TEU, Algesiras del 300% arrivando a 4,3 milioni e Port Said del 1500% arrivando a 4 milioni di TEU movimentati. I dati dei terminal che fanno capo al gruppo Eurokai, mostrano che Eurogate Tanger del porto marocchino di Tanger Med, nel primo trimestre di quest’anno ha movimentato 343mila TEU (+9,2%), il terminal Liscont del porto portoghese di Lisbona ha movimentato 51mila TEU (+41,6%). Fuori dal Mediterraneo il terminal ULCT del porto russo di Ust-Luga, ha registrato un traffico pari a 20mila TEU (-19,3%), nel porto tedesco di Bremerhaven, dove Eurogate gestisce 3 terminal, il traffico è ammontato a 1,37 milioni di TEU (-1,8%). Nel porto di Amburgo il terminal Eurogate Container Terminal Hamburg ha movimentato 589mila TEU (+9,7%). Nel porto di Wilhelmshaven il terminal Eurogate Container Terminal Wilhelmshaven ha movimentato 56mila TEU (+241,5%).
Fuori dal Mediterraneo grande importanza strategica avrà l’allargamento del Canale di Panama che consentirà il passaggio delle omonime navi “super post-Panamax” e che potenzialmente potrebbe cambiare lo scenario dei trasporti marittimi tra Est ed Ovest del Mondo. La tendenza al gigantismo navale continuerà e questo lo si evince dal fatto che tutti i principali vettori hanno in cantiere costruzioni di grandi navi; i dati di una ricerca dell’Osservatorio Permanente sull’Economia dei Trasporti Marittimi e della Logistica di SRM evidenzino che nel 2018 avremo in mare 221 MegaShips con una dimensione variabile tra le 13,3 e 21 migliaia di TEU e la possibilità per queste navi di attraversare il Canale di Panama rappresenta la possibilità di utilizzare la rotta dell’Oceano Pacifico per arrivare in Atlantico al posto di quella che attraversa l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. E questo potenziale ribaltamento strategico è una prima forte minaccia per Porto di Gioia Tauro.
Gioia Tauro nello scacchiere della logistica del Mediterraneo e dell’Europa Alcune nubi fosche si addensano all’orizzonte del porto di Gioia Tauro. Si tratta di segnali preoccupanti, ancora deboli, ma che indicano con chiarezza un cambiamento nello scenario competitivo del settore del trasporto marittimo. Il primo di questi segnali è costituito dalla notizia che nel quadro dell’accordo di Vessel Sharing Agreement (VSA) Maersk Line e Mediterranean Shipping Company (MSC), che sono il primo e il secondo leader mondiale del settore del trasporto marittimo dei container, hanno riconfigurato i servizi di linea che i due vettori operano sulle rotte est-ovest riducendo da 15 a 14 gli approdi a porti italiani ed eliminando Gioia Tauro dal servizio AE6/Lion che collega l’Asia con il Nord Europa. Gioia Tauro, quindi, perderà la leadership numerica in Italia per gli approdi venendo appaiata dal Porto di La Spezia. Il secondo segnale preoccupante è la performance del porto di La Spezia che nel primo trimestre 2015 ha visto crescere del 20% la sua movimentazione di TEU, rispetto al primo trimestre del 2014, mentre Gioia Tauro ha visto, come già detto, diminuire nello stesso periodo del 9,4 % le sue movimentazioni e questo prima che venisse tagliato il servizio AE6/Lion. Va sottolineato, inoltre, che Contship Italia che attraverso MSC gestisce il terminal di Gioia Tauro, ha nello stesso periodo registrato una decisa crescita del traffico containerizzato movimentato dal porto di Salerno, con un aumento del 14,0% sul primo trimestre 2014 e del porto di Ravenna con un aumento del 13,1%. Il terzo elemento di preoccupazione è costituito dall’entrata in esercizio del porto di Vado Ligure prevista per l’inizio del 2018. Questo porto, in grado di ospitare le Super Post Panamax, rafforzerà la piattaforma competitiva ligure che si candiderà a prendere il posto di Gioia Tauro come principale gate italiano di transhipment. In questo senso va segnalata l’azzeramento partecipazione in Medcenter Container Terminal da parte della società terminalista olandese APM Terminals (Gruppo Maersk) che ha dichiarato di volersi concentrare sulle attività core che in Italia sono costituite dagli investimenti nell’ambito della realizzazione del porto di Vado Ligure.
Tutti questi segnali indicano in maniera chiara una perdita prospettica di competitività di Gioia Tauro e una propensione di questo porto al declino. Va segnalato che il settore del trasporto marittimo ha bassissime barriere all’uscita e che, quindi, un porto può desertificarsi in pochi mesi. Il caso di Taranto può essere indicativo in questo senso. Mentre tutto il sistema portuale italiano, mediterraneo ed europeo si rafforzava con investimenti, Gioia Tauro rimaneva a guardare. Solo nel 2015 è stato pubblicato il bando di gara per il terminal ferroviario. C’è stato un ritardo di più di 15 anni. In una regione attenta allo sviluppo questo investimento si sarebbe dovuto realizzare nel 2000 ed oggi avrebbe dovuto già essere operativo da 10 anni. Probabilmente è ormai tardi perché, anche sperando in tempi di costruzione con standard giapponesi, difficilmente questo terminal entrerà in funzione prima del Porto di Vado Ligure che si candida ormai ad essere principale il gate italiano per l’Europa, se non altro per la sua vicinanza geografica al trasporto ferroviario francese e spagnolo. E poi anche dopo aver costruito il Terminal Ferroviario, i treni che partono da Gioia Tauro impiegheranno sei-sette ore per raggiungere una rete ferroviaria degna di questo nome. L’alta velocità in Calabria è un obiettivo di lungo periodo (20 anni), sempre sperando che, parafrasando Keynes, nel lungo periodo non saremo già tutti morti. Probabilmente pochi forse sanno, ad esempio, che Gioia Tauro ha da tempo una zona franca. Si tratta della Zona Franca Doganale non Interclusa, istituita addirittura 12 anni fa. Per molti anni è stata l’unica zona franca di questo tipo in Italia, prima che negli anni recenti si aggiungessero Taranto e Nola. Si tratta si strumento – la Zona Doganale non Interclusa – mai sfruttato per lo sviluppo di Gioia Tauro, fatto che crea sicuramente perplessità, in quanto nessuno né tra i politici, né tra i burocrati abbia pensato di utilizzare concretamente questo vantaggio, bloccando così l’ennesima opportunità per la Calabria, in considerazione anche del fatto che su questo schema di vantaggio fiscale si gioca una parte della competitività di molti porti europei. E’ utile dire che è strumento sarà abolito dal nuovo codice doganale dell’UE che dal 1 maggio 2016 le eliminerà. C’è da aggiungere che il porto di Gioia Tauro non è riuscito in dieci anni – il percorso è iniziato nel 2005 – a dotarsi del Piano Regolatore Portuale che costituisce un elemento imprescindibile per la competitività di un qualunque porto.
Il futuro Non aver difeso il vantaggio competitivo di Gioia Tauro quando questo era forte ha permesso la crescita di nuovi competitors che si candidano a soppiantare Gioia Tauro o quanto meno a ridimensionarne l’importanza. Oggi, l’unica speranza è quella di agire in fretta, cercando di recuperare il tempo perso, colmando per quando possibile il gap infrastrutturale, ma soprattutto agendo sull’unica leva di politica economica possibile nel breve periodo che è la leva fiscale. Sicuramente positivo è stato l’intervento della Regione Calabria per abbassare le tasse di ancoraggio, ma bisogna fare molto di più usando gli strumenti a disposizione che non sono pochi. La ZES è sicuramente uno strumento importante. Tuttavia. istituire la ZES non sarà facile. Il percorso della ZES ha trovato e troverà ancora forti resistenze, anche se sempre non palesate, perché va a sconvolgere lo scenario competitivo portuale italiano e in prospettiva di tutto il Mediterraneo. È, quindi, necessario attivare immediatamente un “piano B”, cioè un piano che sfruttando la legislazione esistente permetta di (A) costruire un’area di vantaggio doganale e fiscale, anche attraverso la defiscalizzazione di tutte le imposte regionali e comunali, (B) utilizzare lo strumento delle Zone Franche Urbane e (C) attraverso l’istituzione di un’Agenzia Regionale per l’Attrazione degli Investimenti Esteri con sede a Gioia Tauro, che sia un interlocutore burocratico unico e che raggruppi tutti gli attori che si occupano di attrazione di investimenti esteri. Senza interventi rapidi ed incisivi la prospettiva realistica è quella di una progressiva desertificazione del Porto di Gioia Tauro.
*Pietro Stilo, dottore di ricerca in scienze economiche e metodi quantitativi, attualmente svolge attività di ricerca presso il Centro Studi delle Politiche Economiche e Territoriali del Dip Pau dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.