L’analisi alla quale recentemente perviene l’Autorità Nazionale per l’Anticorruzione (ANAC) sulle criticità dello stato di attuazione delle norme in materia di anticorruzione non si discosta dagli esiti di alcuni studi scientifici che già da tempo avevano lanciato l’allert sulla necessità di implementare metodiche per garantirne effettività ed efficacia. Anzi, essa ne conferma la valenza. L’adempimento meramente formale e ripetitivo della “norma”, non adeguatamente interiorizzata nelle organizzazioni amministrative, rischia, infatti, di aggravare inutilmente lo scadenzario di un‘agenda amministrativa già farraginosa ed appesantita, condizionata da inefficienze ataviche e da una “cronica” carenza di risorse finanziarie ed umane, quasi sempre “spostate” lì dove non servono effettivamente. Nell’amministrazione per risultati, la prescrizione di adempimenti che non consentano di ottimizzare le gestioni amministrative degli Enti già sofferenti, attraverso strumenti pragmatici di ausilio, risulterebbe inutile e dannoso, bruciando anche l’unica risorsa veramente infungibile che è il fattore “tempo”, “un bene della vita”, dunque, assai prezioso [1].
Il vasto panorama del “diritto dell’anticorruzione”
Il panorama del “diritto dell’anticorruzione” è assai composito e la legge Severino n. 190/2012 [2] ne costituisce solo una parte. E’ imprescindibile alla piena attuazione, oltre all’etica della responsabilità dell’ufficio pubblico, anche la padronanza di un sistema di norme ben più eterogeneo, a cui concorrono numerose fonti normative, linee guida a valenza “precettiva”, prassi e regole di gestione proprie dei processi orientati al risultato in base al ciclo della perfomance. La platea dei soggetti destinatari o che ne beneficiano è amplissima in quanto interessa tutte le pubbliche amministrazioni (PPAA), gli enti pubblici e più genericamente, tutti i soggetti tenuti all’esercizio delle funzioni pubbliche di regolazione o erogazione di servizi pubblici; esso si rivolge in senso lato anche ai cittadini, alle imprese e più genericamente agli stakeholders del Sistema Stato. Sul piano sostanziale delle materie trattate ne risultano interessati tutti i settori nei quali si articola la pubblica amministrazione (ciascuno con le sue peculiarità, dalla Pubblica Istruzione alla Sanità, ad esempio), nei diversi livelli di governo (centrali, periferici e territoriali). Riguarda, in pratica, la totale interezza dell’agere amministrativo: dalla trasparenza, alle norme sul procedimento e l’accesso, all’organizzazione e disciplina del personale, a quelle sul conflitto di interessi, al sistema dei controlli, alla contrattualistica pubblica, ai contributi pubblici, al codice dell’antimafia, alle norme sui bilanci e sulla finanziaria e sull’antiriciclaggio etc. In breve, esso si completa di tutte quelle “aree normative” particolarmente stressate dal riformismo legislativo del post tangentopoli anni ‘90.
Il ruolo dell’ANAC nel primo triennio di applicazione della Legge Severino
La ratio che sottende al sistema dell‘anticorruzione è di creare una potente lente di ingrandimento attraverso la quale si possano individuare, prevenire e contrastare e reprimere reati, abusi, irregolarità ed inefficienze nella gestione della cosa pubblica. Vista così l’Anticorruzione è un ottimo strumento di gestione ed una fortissima complicazione per chi vuole “fregare” il sistema. Dato lo strumento, occorre educarsi, però, ad utilizzarlo in modo appropriato per non vanificarne il buon proposito: è questo il nodo che il recentissimo aggiornamento al PNA (Piano Nazionale Anticorruzione) adottato dall’ANAC [3] si propone di sciogliere.
Il triennio di applicazione della legge Severino è stato caratterizzato dalla tendenza a superare l’empasse della primogenitura. L’ANAC [4] ha svolto un notevole ruolo di impulso, in quanto incalzata dagli obblighi di adeguamento imposti dall’UE all’Italia e sollecitata da un contesto caratterizzato da gravissimi fatti di cronaca che hanno messo a nudo un sistema corruttivo pernicioso e diffuso ed un pericoloso degrado valoriale. L’Autorità ha sviluppato gli aspetti pratici e risolto i dubbi di applicazione esercitando la funzione di vigilanza, adottando il PNA e le linee guida, assumendo provvedimenti, diramando orientamenti e, non da ultimo, mettendo in rete le PPAA. “La chiave dell’attività della nuova ANAC, nella visione attualmente espressa è quella di vigilare per prevenire la corruzione creando una rete di collaborazione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche e al contempo aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, riducendo i controlli formali, che comportano tra l’altro appesantimenti procedurali e di fatto aumentano i costi della pubblica amministrazione senza creare valore per i cittadini e per le imprese” (così testualmente dal sito www.anticorruzione.it).
Spetta ad ogni Amministrazione pubblica o soggetto comunque tenuto al Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC), censire e mappare le attività di propria competenza, individuare quelle a rischio, (ovvero interessate dai fenomeni di corruzione), attivare azioni di monitoraggio sulle condizioni che favoriscono i casi di cattiva amministrazione, predisponendo interventi (target operativi, buone pratiche) mirati a contrastare i fenomeni di corruzione. L’attuazione è a carico del Responsabile dell’anticorruzione ed di tutti dirigenti dei servizi (art. 1, L. n. 190/2012).
L’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione: verso la “buona amministrazione”
In sede di aggiornamento del PNA, l’ANAC assegna ai soggetti destinatari l’obiettivo di effettuare una concreta svolta nella direzione del miglioramento della qualità dei Piani anticorruzione delle PPAA. Le due sezioni nelle quali si articola il documento sono dedicate alla valutazione delle criticità delle misure di prevenzione delle PPAA e all’approfondimento di due aree di rischio, ovvero i “contratti pubblici” e il “settore della sanità”.
Nel 2015 l’ANAC ha monitorato ed analizzato i Piani Triennali Prevenzione Corruzione (PTPC) di ben 1911 amministrazioni italiane, riassumendo lo stato dell’arte della strategia di prevenzione. Gli esiti di tale indagine ne hanno evidenziato criticità e scarsa qualità. In particolare, la valutazione si è incentrata sulla qualità del processo di gestione del rischio, sulla programmazione delle misure di prevenzione e sul livello di coordinamento o integrazione con altri strumenti di programmazione. E’ emerso un buon livello di applicazione della norma generale [5] che tende gradualmente a migliorarsi grazie al cd. fattore “di apprendimento”. Ciò nonostante la qualità dei PTPC è generalmente insoddisfacente tanto da svilirne il medesimo impianto. Si è rilevata, cioè, una generale inadeguatezza del trattamento del rischio mediante l’individuazione di misure di prevenzione della corruzione idonee e graduate sulle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi. L’aggiornamento del PNA punta, dunque, al “miglioramento del processo di gestione del rischio di corruzione”, in quanto “Dall’analisi dei PTPC è emerso un generalizzato livello di inadeguatezza del processo di gestione del rischio”.
Le cause di un’attuazione insoddisfacente
L’insoddisfacente attuazione della legge n. 190/2012 è riconducibile a diverse cause: alcune variabili di contesto che ne condizionano l’efficacia (ad es: tipologia di amministrazioni, collocazione geografica e dimensione organizzativa); l’inidoneità degli strumenti di prevenzione ad innovare sui processi organizzativi e gestionali interni; la generale debolezza delle risposte di prevenzione rispetto ai rischi censiti. Le PP.AA. hanno dovuto confrontarsi con categorie ed istituti giuridici di compliance gestionale ai quali non erano avvezzi, mutuandoli dalle metodiche di gestione e controllo e mappatura dei rischi da reato tipici dei soggetti privati, tenuti alla responsabilità sociale in base all’impianto del Dlgs n. 231/2001[6]. La scarsità di risorse finanziarie da dedicare all’innovazione organizzativa ha rallentato, inoltre, il processo di consapevolezza nell’applicazione del sistema normativo, così accompagnato da un diffuso atteggiamento di “mero adempimento” a discapito degli strumenti di autoanalisi organizzativa e di individuazione preventiva del rischio da reato che avrebbero dovuto interagire con il ciclo della perfomance e garantire l’utilità tangibile dell’anticorruzione. Si è rilevata inoltre una certa resistenza culturale ad accogliere il principio fondamentale le norme sull’anticorruzione non riguardano solamente il compimento di reati contro la pubblica amministrazione, ma più in generale l’adozione di comportamenti e atti contrari al principio di imparzialità e buon andamento cui sono tenute tutte le PPAA.
La cultura e la metodica della prevenzione: il PTPC strumento di innovazione e di compliance per il potenziamento dei servizi pubblici
E’ acclarato che il rispetto dei principi generali sulla gestione del rischio sia funzionale al rafforzamento dell’efficacia dei PTPC e delle misure di prevenzione, in coerenza con i principali orientamenti internazionali.
Il PTPC «fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio» (art. 5, comma 1, L. n. 190/2012). Non è, pertanto, «un documento di studio o di indagine ma uno strumento per l’individuazione di misure concrete da realizzare con certezza e da vigilare quanto ad effettiva applicazione e quanto ad efficacia preventiva della corruzione».
Un’efficace strategia di prevenzione della corruzione (sino ad oggi plausibilmente deficitaria) determina nelle PP.AA. innovazione gestionale ed è misurabile nel ciclo della performance con l’ottimizzazione dei risultati ed il potenziamento dei livelli di qualità dei servizi. Le politiche di contrasto alla corruzione che prediligono un approccio culturale orientato sui sistemi e metodi di prevenzione potenziano i sistemi di controllo interno e di rilevazione di sprechi di risorse pubbliche e di inefficienze, riuscendo così a generare qualità sostanziale dei processi, maggiore ricchezza percepita dai cittadini ed una più appropriata politica fiscale e redistributiva delle risorse finanziarie. “Per supportare le amministrazioni e gli altri soggetti tenuti all’adozione dei PTPC o delle misure anticorruzione a superare le carenze riscontrate”, secondo le indicazioni dell’ANAC, è necessario che alla prima fase di individuazione dei i principi generali di governo dei sistemi di anticorruzione, segua una attenta pratica delle indicazioni metodologiche nelle fasi di mappatura dei processi organizzativi (chi fa cosa) e di analisi e valutazione dei rischi. La mappatura dei rischi da reato (a cui sono tenute, oltre alle PPAA anche le società partecipate dallo Stato, soggetti destinatari del c.d. “decalogo” stilato dal Ministero dell’economia e dall’Autorità nazionale “anticorruzione” [7] [8]) consiste nel censimento delle attività e dei processi organizzativi e gestionali distinti per settore e materia per ciascuna delle quali va descritto e classificato il rischio potenziale. La valutazione del rischio – che presuppone una preventiva accurata analisi di contesto interno ed esterno – è in sé un metodo di salute e sicurezza delle organizzazioni e degli ambienti di lavoro e dunque un elemento di miglioramento organizzativo. Così delineato il sistema di misure di prevenzione della corruzione si integra nell’ambito della politica di riorganizzazione aziendale e contribuisce all’innovazione ad al miglioramento organizzativo, di processo e di risultato, concorrendo alla cd. “Buona amministrazione”.
Il buon andamento delle pp.aa. attraverso l’etica dell’integrità e la trasparenza amministrativa
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art. 97, Cost.). Rispettare le regole e comportarsi correttamente è innanzitutto un principio di buon senso e di civiltà giuridica poiché “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”(comma 1, art. 54 Cost.)” ed in particolare “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Si tratta di principi costituzionali sui quali si fonda la struttura stessa della prevenzione dell’anticorruzione, già valorizzati con il pacchetto delle riforme Brunetta (L. n. 15/2009 e D.lgs. n. 150/2009) che hanno introdotto il concetto di “integrità” nella disciplina generale dell’organizzazione amministrativa e del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione a cui spetta promuovere la legalità e lo sviluppo della cultura dell’integrità, attraverso un programma triennale per la trasparenza e l’integrità. L’integrità dei pubblici funzionari, dunque, è un principio giuridico al quale si riconducono ormai vari istituti e adempimenti amministrativi. La legge n. 190/2012 ha consolidato la relazione tra la trasparenza e l’integrità individuando “specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge” in quanto “la trasparenza dell’attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili” (art. 1). La materia che, come è noto, oggi occupa una specifica sezione di attività dell’ANAC, è stata oggetto di riordino con il d.lgs. n. 33/2013, che ha prescritto l’inserimento nel PTPC di un’apposita sezione, il Programma per la trasparenza, intesa come accessibilità completa alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle PPAA.
Dal cielo stellato di Kant [9] al deficit di tutela del wisteblowing e alla sfida dei codici etici
Non può esserci prevenzione senza trasparenza, partecipazione amministrativa e codificazione dei doveri di comportamento, dei valori e delle prassi organizzative. L’ANAC, anche a tale proposito, sollecita una riflessione adeguata sull’individuazione di doveri di comportamento dei pubblici dipendenti attraverso l’adozione di un Codice di comportamento nelle PPAA che concorra a ripristinare un “più generale rispetto di regole di condotta che favoriscono la lotta alla corruzione riducendo i rischi di comportamenti troppo aperti al condizionamento di interessi particolari in conflitto con l’interesse generale”. C’è molto ancora da lavorare anche sulla figura del wistleblowing, ovvero in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (whistleblower), soprattutto in quei territori e contesti in cui prevalgono omertà ed isolamento del denunziante, un po’ per quel senso latente di mollezza ed ignavia e un po’ di più per carenze istituzionali nella predisposizione dei percorsi di affiancamento e tutela dei soggetti più responsabili, eticamente liberi e coraggiosi (wistleblowers o segnalatori di fatti illeciti, per l’appunto.
La situazione si complica in quei contesti in cui la violazione della legalità ha assunto la forma preoccupante della corruzione attraverso la quale le organizzazioni mafiose condizionano il mercato e la spesa pubblica prevaricando e distorcendo l’esercizio delle funzioni pubbliche. La cronaca giudiziaria della Calabria descrive un fenomeno corruttivo estesa in moltissimi settori di attività dove pubblico e privato incrociano e condividono interessi ormai di natura criminale. L’attività corruttiva configurata a ‘sistema’ frena lo sviluppo. Nell’Italia primatista delle frodi comunitarie, Calabria e Sicilia sono in testa alla regola “dell’acchiappa acchiappa”, caratterizzate dalla corrispondente incapacità di spendere le notevoli risorse comunitarie in progetti di impresa e sviluppo legali e sostenibili nel lungo periodo e perciò stesso idonei a produrre investimenti stabili e ricchezza strutturale.
In questo panorama desolante serve una maggiore interazione tra enti e PPAA e l’opera onesta e corretta di coloro che ancora nutrono principi sani e responsabili, spesso sottoposti allo schiaffo di un sistema li denigra e li depaupera per isolarli.
Essere onesti non conviene o almeno così sembra! Questo nodo gordiano alimenta la sfiducia ed il deficit reputazionale della Calabria, che assiste alla fuga di talenti ed investimenti localizzati altrove. La cruda analisi dei dati Svimez sull’economia del Mezzogiorno ci consegnano l’immagine plastica dello stivale Italia che ha perso la punta, a causa di un processo di inesorabile impoverimento. La bellezza naturale che ancora costituisce una risorsa eccezionale non è da sola capace di attrarre risorse turistiche e di investimento sufficienti a rilanciare l’economia. Rimanere, ritornare ed investire in Calabria è spesso una scelta coraggiosa dalla quale dissuadono le analisi di contesto e la mancanza di una visione di benessere di lungo periodo. E lì dove la società civile arretra aumenta il degrado ed il sistema mafioso-corruttivo conquista terreno, condiziona la vita stessa della democrazia, l’elezione dei policy makers, la programmazione e l’azione delle pp.aa. alimentandosi di accordi illeciti, di lassismo, compromessi, miopie, clientele, potere e paura, sin dall’urna elettorale che esprime il policy makers. Scardinare il sistema mafioso-corruttivo vuol dire recuperare, per tempo, il senso profondo e la bellezza della cultura della legalità praticata come la più alta espressione dell’esercizio delle libertà fondamentali, beni irrinunciabili di ogni essere socialmente responsabile. La sfida dei Codici Etici nelle pp.aa e nell’impresa privata merita di essere raccolta poiché questi strumenti di policy aziendale restituiscono la fiducia dei cittadini e degli operatori nel mercato e nelle istituzioni, alla luce della loro capacità di attestare e comunicare l’impegno degli enti di ripartire in qualità. Spesso dimentichiamo che la Calabria è terra di bellezza e legalità in cui fiorirono tutte le scienze umane dell’antichità, diffondendosi per la restante parte dell’Italia a cui diede il nome. In questo senso il recupero della “memoria” ha un ruolo importante in quanto supporta il processo educativo e culturale che si rende necessario, fin dalle scuole che formano i cittadini di domani. Narrano le fonti che una parte di La Repubblica di Platone fu scritta proprio in Calabria, poiché Platone e il suo discepolo Aristotele furono allievi dei Calabresi [10]. La storia in certi luoghi si ripete sempre. Da un lato, dunque, si constata che nella Calabria contemporanea “imbarbarita”, i supplementari si sono aperti con l’oblio della memoria ed uno svantaggio significativo del merito, dell’onestà e della legalità praticata. Dall’altro lato, la partita non può essere considerata persa e va giocata sino in fondo. Valorizzare la cultura dell’Etica e della Legalità come strumenti di innovazione e di miglioramento della compliance dell’impresa pubblica e privata, è ragionevole ed utile, poiché non si producono ricchezze durature e non c’è futuro fuori dal mercato legale e senza una governance etica.
Riferimenti bibliografici
[1] sul punto vedi anche Siciliano Concettina, “Come promuovere la cultura dell’etica e della legalità per uno sviluppo sostenibile delle comunità”, in Labour & Law Iusses –Issn 2421–2695 Rivista ospitata e mantenuta da ASD–ALMA DL (privacy), vol. 2, no.2, 2015, pagg 33- 57 , issn 2421-2695 – http://labourlaw.unibo.it/;
Siciliano Concettina “La corruzione nuoce gravemente alla salute”, in www.opencalabria.com.
[2] La legge 6 novembre 2012 n. 190 avente ad oggetto “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, prescrive una serie di incombenze per ogni pubblica amministrazione, tra le quali la nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione, l’elaborazione del piano triennale di prevenzione della corruzione con il quale viene disegnata la strategia attuativa di prevenzione della corruzione per ciascuna amministrazione pubblica(art. 54, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), la sezione dedicata al Programma per la Trasparenza.
[3] ANAC, Determinazione 28/10/2015, n. 12 pubblicata sul sito il 2 novembre 2015- Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione 2013-2016
[4] Dal 31 ottobre 2013, con l’entrata in vigore della legge n. 125 del 2013, di conversione del decreto legge del 31 agosto 2013, n. 101, la CiVIT Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche ha assunto la denominazione di “Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche” (A.N.AC.). La legge n. 190 del 2012 cit. aveva infatti individuato la Commissione quale Autorità nazionale anticorruzione. Inoltre, sempre dal 31 ottobre 2013 le funzioni relative alla performance e alla valutazione di cui all’art. 13 del d.lgs.n. 150/2009, inizialmente trasferite all’ARAN, sono rientrate nell’ambito di competenza di questa Autorità che mantiene le sue competenze in materia di valutazione e trasparenza delle amministrazioni pubbliche
[5] Alla data del 28 febbraio 2015 il 96,3% delle amministrazioni aveva adottato e pubblicato almeno un PTPC sul proprio sito istituzionale e il 62,9% di esse aveva adottato e pubblicato l’aggiornamento per il triennio 2015-2017
[6] D. Lgs. 231 del 8 giugno 2001, in esecuzione della delega di cui all’art. 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300, ha inteso adeguare la normativa interna in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune convenzioni internazionali cui l’Italia aveva già da tempo aderito.
[7] Si tratta delle “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici.” In base alle quali “E’ anche compito delle amministrazioni che a vario titolo vi partecipano, promuovere, da parte di questi soggetti, l’adozione di modelli come quello previsto nel d.lgs. n. 231 del 2001, laddove ciò sia compatibile con la dimensione organizzativa degli stessi.”
[8] Siro del Flammineis, “La mappatura del rischio da reato nel commissariamento e nell’amministrazione giudiziaria tra attualità e prospettive”, in Diritto penale contemporaneo.
[9] “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”, I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1974, pagg. 197-198
[10] Mario Alcaro, “Storia del pensiero filosofico in Calabria da Pitagora ai giorni nostri”, Ed. Rubettino