Premessa L’analisi delle spese e delle entrate comunali è un tema di rilevante interesse per la collettività perché fornisce informazioni sugli equilibri finanziari degli enti locali e, di conseguenza, sulla loro capacità di offrire servizi ai cittadini. Le crisi dei comuni sono numerosissime, tant’è che sembra realistico pensare all’Italia come ”Al paese dei comuni falliti”. Esse dipendono da vari fattori, tra cui: (a) incontrollati eccessi di spesa (b) presenza di stringenti vincoli finanziari dal lato delle entrate;[1] (c) presenza di una bassa capacità organizzativa del sistema territoriale di offerta di servizi locali e (d) possibilità, fino al 2015, di attuare discrezionali politiche di bilancio. È possibile osservare le conseguenze di questi processi da molti punti di vista (alta tassazione, riduzione delle spese, dissesti finanziari), ma l’elemento più significativo è che i comuni hanno reagito alle “crisi” abbassando significativamente il livello dei servizi offerti ai residenti: ben 352 su 409 comuni calabresi offrono meno servizi rispetto alla soglia minima essenziale. Si tratta, indiscutibilmente, di un’eclatante trasformazione di problemi economico-gestionali delle pubbliche amministrazioni in problemi per la collettività.
Il tema Come aggredire il problema? Che cosa si può per ridurre i gravami degli effetti delle “crisi” sui cittadini? Le risposte sono molteplici, alcune delle quali sono state già imposte al sistema delle municipalità. Per esempio, l’introduzione di rigore nella gestione dei bilanci comunali (puoi spendere solo i soldi in cassa) dovrebbe annullare la possibilità di contabilizzare spese senza copertura finanziaria certa. Si tratta di una regola esogena, imposta al sistema del governo locale, che deve trovare complementarietà con l’adozione di altre soluzioni, “interne” ed “endogene” alla distribuzione territoriale dei comuni. Un paese o una regione con una gestione non virtuosa delle spese comunali, può e deve recuperare efficienza sistemica sfruttando i vantaggi legati all’eventuale presenza di economie di scala.
Gli obiettivi Studiare le economie di scala è utile perché aggiunge – alla mera lettura ragioneristica dei dati – un importante elemento di valutazione sulla sostenibilità economico-gestionale delle attività comunali. Infatti, sapere se e dove esistono economie di scala (in quale fascia demografica e per quale componente di spesa o di entrata) consente di capire dove e come intervenire per assicurare maggiore efficienza. Si tratta, evidentemente, di un aspetto che merita la dovuta attenzione nei processi di riordino del governo locale. Partendo da queste considerazioni, questa nota tenta di perseguire due obiettivi. Il primo è di verificare la presenza di economie di scala all’interno dei comuni calabresi, focalizzando l’attenzione su diverse voci di bilancio. Il secondo obiettivo è di natura normativa, legato alle implicazioni di politica economica su cosa si dovrebbe fare per migliorare l’efficienza complessiva delle attività comunali.
I dati L’analisi si riferisce al 2014 e si basa sui dati di bilancio dei 409 comuni calabresi, estratti il 3 Maggio 2017 dal sito di OpenBDAP del Ministero del Tesoro. Le spese comunali sono disaggregate in spese correnti, spese in conto capitale, spese legate al rimborso di prestiti e, infine, spese sostenute per i servizi in conto terzi. Analogamente, le entrate sono disaggregate in entrate tributarie, entrate extra-tributarie, prestiti, contributi, introiti per alienazione di beni e, infine, entrate derivanti dai servizi in conto terzi.[2] Un modo utile per trattare questi dati è di esprimere ciascuna voce di bilancio in termini pro-capite: l’andamento delle spese/entrate pro-capite per fascia demografica consente, infatti, di capire se l’offerta di servizi pubblici è un’attività che gode di economie di scala. I comuni calabresi sono suddivisi in nove fasce demografiche,[3]
Quanto si spende e in che cosa si spende La figura 1 rappresenta un’ulteriore evidenza empirica a sostegno della presenza di economie di scala nell’offerta di servizi comunali. In base ai dati di bilancio del 2014, la spesa media pro-capite nei 15 comuni calabresi con meno di 500 abitanti è pari a 3086 Euro. Nei 64 comuni ricadenti nella fascia demografica 500-999 residenti la spesa pro-capite è pari a 2254 Euro. La spesa diminuisce, quindi, di ben 834 Euro per residente, passando dai 15 nano comuni (meno di 500 abitati) ai comuni poco poco più grandi. I guadagni legati alla dimensione sono regolari fino ai comuni ricadenti nella sesta fascia, in cui si registra il punto di minimo delle spese per residente (1315 Euro). L’andamento delle spese pro-capite tende ad aumentare oltre la sesta fascia, ma l’andamento è molto più graduale rispetto ai “salti” che si osservano nella parte iniziale del grafico. È anche interessante verificare il livello delle 4 voci di spesa e il loro andamento per fascia demografica. Nei nano comuni le spese correnti sono pari a 1465 Euro per abitante (poco meno del 48% delle spese totali), mentre le spese in conto capitale ammontano a 1081 per abitante (il 35% del totale). Le altre due voci di spesa (rimborso prestiti e conto terzi) sono pari a 306 (10%) e 233 (7,5%) Euro rispettivamente. Il confronto di questi valori con quelli della sesta fascia demografica, ossia quella dei comuni a più bassa spesa pro-capite, evidenzia alcune significative differenze tra i due gruppi di comuni. Nella sesta fascia, le spese correnti dei comuni sono pari a 709 Euro per abitante (il 54% delle spese totali), quelle in conto capitale ammontano a 197 Euro (15%), seguite dalle spese per rimborso dei prestiti (335 euro per abitante, equivalenti al 25% del totale) e dalle spese in conto terzi (72 euro per abitante, equivalenti a poco meno del 6% del totale). E’ utile, infine, dire che l’andamento ad U è confermato in 3 tipologie di spesa: le economie di scala caratterizzano l’andamento delle spese correnti, in conto capitale e di quelle in conto terzi, mentre nel caso dei rimborsi dei prestiti si osserva che la spesa pro-capite aumenta sempre all’aumentare della dimensione dei comuni.
La finanza dei comuni per tipologia di entrata La figura 3 riguarda le entrate pro-capite dei 409 comuni calabresi classificati per fascia demografica. Un primo risultato è atteso e riguarda l’andamento a U delle entrate-pro-capite: a fronte di spese alte/basse i comuni devono registrare entrate elevate/alte per assicurarsi, in media, il bilancio in pareggio. Questo spiega perché le variabili riportate nelle figure 1 e 3 hanno la stessa forma. L’utilità della figura 3, tuttavia, è che consente di capire come i comuni finanzino le spese. Infatti, la decomposizione delle attività di bilancio per tipologia di entrate indica che i tributi pesano, in termini pro-capite, di più nei comuni piccoli e di meno all’aumentare della dimensione dell’ente locale.
[1] Nel Mezzogiorno d’Italia il problema delle entrate è accentuato dalla progressiva riduzione dei trasferimenti statali che solitamente si abbina ad una limitata capacità fiscale degli enti locali, a causa della presenza a Sud di una più diffusa evasione fiscale e per i livelli del reddito medio pro-capite, notoriamente più bassi della media nazionale.
[2] Entrate tributarie (imposta municipale unica; addizionale comunale irpef; tassa smaltimento rifiuti solidi urbani; trasferimenti correnti dello stato, della regione e di altri enti pubblici anche in rapporto all’esercizio di funzioni delegate dalla regione) Entrate extra-tributarie (proventi dall’acquedotto comunale; diritti per il rilascio delle carte d’identità. Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscossione di crediti (alienazione di fabbricati; proventi dalle concessioni cimiteriali. Entrate derivanti da accensione di prestiti (mutuo per costruzione scuola media, mutuo per sistemazione strade. Entrate da servizi per conto di terzi (ritenute previdenziali e assistenziali al personale, depositi cauzionali). Spese correnti (indennita’ di carica amministratori comunali, retribuzione al personale dipendente, spese generali di funzionamento uffici comunali. Spese in conto capitale (realizzazione scuola dell’infanzia, protezione e ricostruzione del litorale). Spese per rimborso di prestiti (estinzione di mutui per finanziamento di opere pubbliche. quota capitale. Spese per servizi per conto di terzi (versamento ritenute erariali al personale dipendente, versamento ritenute iva)
[3] Le fasce demografiche che sono state considerate sono le seguenti: fascia 1 (0-499 residenti); fascia 2 (500-999); fascia 3 (1000-1999); fascia 4 (2000-2999); fascia 5 (3000-4999); fascia 6 (5000-9999); fascia 7 (10000-19999); fascia 8 (20000-59999) e fascia 9 (60000-249999).