Qualche recente fatto. Alcuni importanti cambiamenti che si sono osservati negli ultimi anni nell’organizzazione della produzione appaiono essere i seguenti. Corpose verifiche empiriche realizzate dalla Banca d’Italia e dall’ISTAT indicano che le imprese nazionali che hanno meglio reagito alla crisi sono quelle che hanno introdotto innovazioni organizzative a monte e a valle del ciclo produttivo. Il fenomeno è molto diffuso, tant’è che oggi si osserva un’impennata nel processo di terziarizzazione delle produzioni industriali. Accanto a questo, si osserva una tendenziale crescita del contenuto tecnologico dei beni e un conseguente innalzamento della qualità e della loro differenziazione. Continua a mutare la localizzazione geografica delle produzioni, con una concentrazione delle industrie di beni maturi nei paesi a basso costo del lavoro. La crisi ha favorito anche un cambiamento delle abitudini dei consumatori, che, in assenza di fiducia e in presenza di vincoli di liquidità, ottimizzano la spesa, si informano, selezionano, esasperano l’interesse nei confronti dei contenuti dei beni/servizi che acquistano.
Cosa accadrà alla Calabria? E’ certo che in assenza di break strutturali, l’economia calabrese arriverà in netto ritardo all’appuntamento della ripresa. In tal caso, l’equilibrio che è banale immaginare sarà molto simile all’attuale, ma con toni più accentuati: il sottosviluppo sarà più diffuso, ci sarà più marginalizzazione sociale, l’emigrazione esploderà, aumenterà la dipendenza dall’esterno. Saremo di meno e più poveri. Tutto questo anche perché la Calabria è ferma da molti anni, è priva di una chiara strategia di sviluppo, condivisa da tutti, con obiettivi chiari, certi, valutabili. Al contrario, siamo maestri nella navigazione a vista, rincorriamo le emergenze, copriamo le falle, inseguiamo l’eccezionalità degli eventi. Produciamo un sacco di carta, una moltitudine di piani di sviluppo, diversi programmi operativi formalmente ineccepibili, ma mai attuati nella loro interezza. Disponiamo di ingenti somme di denaro che, in generale, non spendiamo e quando le spendiamo lo facciamo malissimo. Anche negli ambienti della Regione Calabria è ampiamente condivisa l’argomentazione che il vero problema dei Piani Operativi Regionali è di trasformarli da libri dei sogni in azioni effettivamente realizzate. Questo è il punto di partenza con cui deve confrontarsi l’attuale governo regionale che ha appena ottenuto l’approvazione del POR 2014-2020 da parte della Commissione Europa. Questa è la prospettiva di cui deve tener conto nelle sue azioni: se condividerà l’inaccettabile prassi di guardare al breve periodo, se non sarà lungimirante intravedendo un punto di arrivo e un percorso, forzandone le tappe, concorrerà al processo di avvicinamento verso ciò che è banale prefigurare essere un equilibrio di sottosviluppo. E questo processo sarà velocissimo, molto di più rispetto a quello che possiamo immaginare perché le altre economie attuano politiche strutturali efficaci, mentre noi non sfruttiamo alcuna opportunità.
La centralità dell’innovazione. Senza una vera rottura con il passato, tra pochi anni la distanza tra la Calabria e il resto del paese e dell’UE sarà abissale, diventerà incolmabile. E’ per queste ragioni che gli anni di questa legislatura saranno anni decisivi. Più degli anni di Chiaravalloti, di Loiero, di Scopelliti, perché rispetto a prima, i segnali di ripresa amplificheranno i disagi e i ritardi del sistema “Calabria”. Saremo impreparati su tutto e, in particolare, sull’elemento su cui poggia la ripresa: l’innovazione. A parte isolati interventi, a parte qualche buon progetto, nel recentissimo passato si è fatto ben poco in tema di innovazione. Pochissimo. Il perché è legato ai tempi dell’innovazione, che travalicano i tempi della politica (perché investire in azioni che, forse, saranno efficaci tra 10 anni?) e alla diffusa tendenza di non assegnare un ruolo centrale all’innovazione. Un esempio su tutto: le carte prodotte negli ultimi 10-12 anni in Calabria in tema di innovazione si poggiano su pochi interventi. Sono frutto della fantasia della burocrazia e di qualche tecnico prestato all’economia dell’innovazione, in un clima di generalizzato lassismo politico-istituzionale. Ci si è limitati a copiare sterile documentazione prodotta altrove. Non è nota la domanda di innovazione delle imprese calabresi. Non esiste una mappatura sulle vocazioni tecnologiche delle diverse aree della regione. Non è mai esistita una seria riflessione sui risultati attesi di uno strumento rispetto ad un altro. Non esiste una sola riga sulla valutazione ex-post degli effetti delle politiche. Parlarne è diventato un tabù e si ignorano i motivi di questo silenzio anche da parte di chi in Regione ha obblighi istituzionali per diffondere la cultura e la pratica della valutazione delle politiche pubbliche. In assenza di una chiara Governance (che fine ha fatto la legge regionale che istituiva l’Agenzia Regionale per l’Innovazione?) si sono generati ritardi, una polverizzazione della spesa in una moltitudine di micro obiettivi strategici, di sovrapposizioni delle azioni, di duplicazioni degli sforzi, di non verificabilità degli effetti. Le poche politiche attuate a sostengo della ricerca e dell’innovazione hanno prodotto poco rispetto alle premesse e alle potenzialità. Peraltro, si tratta di risultati puntiformi, isolati, scollegati gli uni dagli altri, qualcuno forse da valorizzare, ma pur sempre a basso impatto sul sistema delle imprese calabresi. Pezzi di un mosaico che non esiste. Tutto nella migliore tradizione calabrese di programmare senza conoscere. Di intervenire senza selezionare. Di attuare senza valutare.
Cosa fare nell’immediato. Ossia domani. E’ indubbio che il settore ha un deficit nel processo di identificazione delle priorità di intervento nel settore della ricerca e dell’innovazione. Fissare delle priorità non è stato finora un vincolo. Oggi, al contrario, diventa dirimente trovare risposte a moltissimi quesiti, quali, per esempio: Su cosa si deve puntare in prima battuta? Quali sono le vere priorità del settore? Ricerca applicata? Innovazioni di prodotto o di processo? Assorbimento di tecnologia altrui? Rafforzare la polarizzazione delle imprese high-tech in poche aree della Regione? Chi deve essere il soggetto attuatore delle azioni? Un soggetto? Due? Tre? A parere di chi scrive, il punto di partenza di questa nuova fase sarà dipanare la matassa della Governance delle politiche per l’innovazione in Calabria. Per dare legittimità alle azioni intraprese e a quelle in cantiere. Per lavorare con certezza nei tempi, con chiarezza degli interventi e degli obiettivi. Per monitorare con regolarità gli interventi. Urge, pertanto, un intervento regionale per finalizzare l’avvio dell’Agenzia Regionale dell’Innovazione. Da un lato, sarà necessario guardare al sistema innovativo regionale nella sua complessità, comprendendo e valorizzando tutte le specificità che lo rappresentano. E in questo l’Agenzia svolgerebbe un ruolo di incommensurabile valenza. Dall’altro alto sarà poco efficace assegnare delle priorità inseguendo le mode del momento (per esempio, è certo che in Calabria è insufficiente parlare solo di start-up o di imprese high-tech; è altrettanto certo che le infrastrutture digitali sono solo una precondizione per diffondere l’innovazione nelle imprese) o tentando di replicare in Calabria modelli e politiche pensate altrove. Taranto non è Gioia Tauro. Tropea è diversa dal Salento. Sibari non è Pompei. Le imprese calabresi hanno specificità che le contraddistinguono da quelle pugliese, lucane e campane e per queste ragioni la loro domanda di innovazione è diversa dalle altre.
La sintesi. L’attuale governo regionale dovrà collocare l’innovazione al centro della sua azione politica, sfruttando tutte le complementarietà con la strategia nazionale per l’innovazione. Dovrà assegnare a questo settore la stessa priorità che in questi giorni è reclamata da tutti i settori che domandano interventi anti-ciclici. Il messaggio che inviamo ai responsabili della politica economica regionale è che la Calabria sarà in grado di aggrapparsi al carro della ripresa solo se sarà capace di attuare efficaci interventi sistemici a sostegno della ricerca e dell’innovazione. Con un’ovvia, ma importante considerazione da ribadire: la massimizzazione della spesa comunitaria 2014-2020 è una condizione necessaria, ma non sufficiente per promuovere la crescita. Infatti, questa nuova spesa sarà del tutto inutile in assenza di un assetto istituzionale che, nel settore, indirizzi le scelte, coordini le azioni, individui delle priorità e selezioni le politiche a maggiore impatto sistemico.