La mancata contaminazione tra economisti e decisori pubblici
Questo saggio breve si basa su una semplice regola dettata dal buon senso: conoscere i dettagli di un problema aiuta chi deve prendere delle decisioni. Se si fa riferimento alla crescita di una regione, è ragionevole attendersi che i risultati della ricerca siano a supporto delle decisioni di politica economica. Nella parte iniziale di questa nota si individuano alcune ragioni del disallineamento tra analisi economica e scelte pubbliche in Calabria, mentre nella parte finale si presentano i paradossi e le distorsioni che ne derivano.
La scelta pubblica è l’esito di un processo produttivo. L’iter decisionale che si conclude con una scelta pubblica può essere assimilato ad un ciclo produttivo: l’azione del decisore pubblico è l’esito di una selezione di input e scelte alternative dovute, tra le altre cose, allo stato di conoscenza delle dinamiche economiche. In altre parole, i risultati della ricerca economica rappresentano uno più importanti dei fattori che determinano le scelte pubbliche. E’ verosimile pensare che se il decisore pubblico effettua delle scelte (“cosa fare”, “come farlo”, “quando farlo”) senza tener conto dello stato di avanzamento della conoscenza, l’esito sarà rappresentato da interventi di politica economica ad elevato potenziale di fallimento (“l’area A localizzata in Calabria ha un fabbisogno di X e il policy making nazionale o locale offre Y”). Questo processo produttivo in cui l’analisi economica precede e indirizza le scelte pubbliche è tanto più efficace quanta maggiore è la contaminazione tra economisti, istituzioni e decisori pubblici. E’ un meccanismo che funziona molto bene nei contesti internazionali e nazionali in cui gli economisti affiancano, supportano e indirizzando chi deve decidere. Lo scenario cambia radicalmente quando si fa riferimento alla Calabria in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, le decisioni prese a livello locale rappresentano eclatanti casi di disallineamento tra analisi economica e scelta pubblica. Gli esempi che si potrebbero fare sono, purtroppo, numerosi. Eccone tre, in pillole.
Tre esempi di disallineamento, tra i tanti…… Il riassetto istituzionale del governo locale impone un recupero di efficienza nel sistema regionale di offerta di servizi ai cittadini. Un modo per perseguire questo obiettivo è di promuovere le fusioni (quando queste sono “economicamente” convenienti) tra i piccoli comuni, quelli con meno di 4-5mila residenti. In tale ambito, la Regione Calabria ha la competenza per governare e indirizzare questi processi, ma non ha mai svolto questa funzione in modo efficace. Solo di recente questi temi stanno rientrando, a fatica, nell’agenda del Consiglio Regionale. Il secondo esempio riguarda il porto di Gioia Tauro. In 20 anni di storia di questa regione, si è sempre parlato del porto come driver per lo sviluppo. Non potrà mai esserlo se prima non si risolvono alcuni vincoli, quali, per esempio, (i) il nanismo delle imprese calabrese rende insostenibile il costo di trasporto delle “poche pedane” nei “grandi container”; (ii) la specializzazione delle produzioni locali è ancora sbilanciata verso comparti che prediligono il trasporto su strada, almeno quelli che aggrediscono su larga scala i mercati extra-regionali (l‘ortofrutta ne è un esempio); (iii) l’inter-modalità nell’intera area portuale, evitando che continui a essere, per usare la sintesi di Domenico Gattuso, “il luogo degli studi di fattibilità”. Non è certo che la Zona Economica Speciale, ammesso che venga proposta e passi il vaglio della Commissione Europea, sia lo strumento più efficace per risolvere i nodi del mancato utilizzo dell’entroterra calabrese del porto di Gioia Tauro. L’ultimo eclatante caso da citare riguarda le politiche per l’innovazione e la ricerca attivate in Calabria. E’ un tema su cui abbiamo fornito molta documentazione su OpenCalabria (per. es. 1, 2, e 3) e che si potrebbe sintetizzare nel seguente modo: gli interventi di politica economica che si sono attivati con i vari cicli di programmazione comunitaria sono stati pochi, discontinui, concentrati in pochi anni, di nicchia, a basso impatto occupazionale e a basso potenziale d’uso da parte del territorio. Si è sempre immaginato, erroneamente, che innovare significhi generare nuovi prodotti ad elevato contenuto tecnologico, quando la domanda di innovazione del territorio è di ben altra natura.
Le ragioni del mancato dialogo Questo disallineamento tra la fase di analisi e quella dell’intervento dipende dai comportamenti degli economisti e dei decisori pubblici che non facilitano la contaminazione. Da un lato, gli economisti prediligono la ricerca accademica e il mercato delle pubblicazioni scientifiche su temi generali, mentre, dall’altro lato, le strutture in cui si decide cosa fare (per es. la Regione Calabria) disconoscono la figura e le competenze dell’economista.
Gli economisti mostrano un tendenziale comportamento di chiusura verso il territorio, poiché prediligono la ricerca accademica alla ricerca applicata sul campo, esasperando la regola «publish or perish», la cui premialità è legata all’utilizzo dei metodi e allo sviluppo dei temi che dominano la frontiera della ricerca economica (il mainstream). Questa distanza degli economisti dal mondo reale contribuisce a far sì che lo stato di conoscenza delle dinamiche settoriali e territoriali sia, in media, molto basso, così come molto bassa è la consapevolezza della distanza tra quanto si realizza in Calabria e quanto si potrebbe realizzare. Esiste, tuttavia, un’offerta di conoscenza (report, note congiunturali, qualche approfondimento settoriale), ma è (a) frastagliata, (b) risponde agli interessi specifici di chi la domanda e la finanzia; (c) non va oltre, nella stragrande maggioranza dei casi, alla mera presentazione descrittiva di fatti congiunturali e (d) risponde quasi sempre a una domanda formale di conoscenza. È un’attività certamente utile e necessaria, ma non è sufficiente per capire i vincoli strutturali dell’economia calabrese e per implementare politiche idonee a frenarne il declino. C’è da aggiungere che in Calabria persiste un modello culturale in cui l’Università, il territorio e le istituzioni si confrontano in modo sporadico con relazioni basate prevalentemente su rapporti personali. Questo quadro di riferimento generale implica che l’impatto sociale della ricerca economica è molto basso, nonostante la domanda di conoscenza proveniente dalla società civile sia cresciuta esponenzialmente nell’ultimo decennio, anche grazie ai tentativi dai cittadini di interpretare gli effetti della crisi del 2007/2008. Si tratta di una domanda di conoscenza che è ampia e complessa e che solo in minima parte è soddisfatta dalle attività di divulgazione economica di OpenCalabria. Anche i decisori pubblici hanno un atteggiamento di chiusura verso gli economisti. Basti pensare che nella filiera del processo di policy making regionale non esiste e non si fa uso in modo strutturato del mestiere dell’economista, violando un banale principio di abbinamento tra competenze e fabbisogno.
Gli effetti della mancata contaminazione Le conseguenze di queste dinamiche sono almeno tre. La prima implicazione, piuttosto singolare, di questo mismatching tra ricerca economica e scelte pubbliche è che di sviluppo economico in Calabria se ne occupano prevalentemente altre figure professionali (ingegneri, consulenti, commercialisti, tecno-burocrati, micro società di produzione di documentazione comunitaria) generando spesse volte confusione interpretative dei processi economici in atto e definendo, pertanto, politiche inadatte al contesto regionale. La seconda implicazione è che per ovviare al deficit di conoscenza, gli studi di contesto sono, di frequente, oggetto di incarichi a professionisti o società extra-regionali, con il risultato di ottenere analisi positive parziali e fuorvianti (“Locri è sul Tirreno o sullo Jonio?”). E’ certo che se contassero di più le relazioni tra istituzioni e non quelle tra persone, questo deficit potrebbe essere colmato da una sistematica contaminazione tra gli attori locali (economisti e decisori). La terza implicazione riguarda la definizione delle politiche per lo sviluppo regionale. Esse rappresentano un esplicativo esempio di tacito adattamento a schemi pensati altrove, piuttosto che la derivazione di studi e analisi in grado di cogliere la sostanza delle specificità dei luoghi. Tutto questo lascia pensare che gli estensori dei piani di sviluppo regionali credono in modo dogmatico che le politiche pensate altrove vadano bene anche per la crescita della Calabria, dimenticando che «one size doesn’t fit all». Essendo un dogma non è oggetto di valutazione, così come non è valutato l’esito degli interventi che fanno parte di questi esogeni piani di sviluppo.
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