La Calabria e la Campania sono fra le regioni che presentano un valore della mobilità sanitaria più elevato. Con un valore che si aggira rispettivamente sui 260 e sui 280 milioni di euro l’anno. Se invece consideriamo i valori procapite il dato della Calabria diventa eclatante e vale 130 euro per abitante. Come dire che ogni calabrese ha indirettamente una tassa aggiuntiva di 130 euro per la sanità, una tassa figurativa, potrebbe dire qualcuno, una tassa occulta preferisco dire io, perché poi questo ammontare viene pagato in termini di maggiori imposte, maggiori ticket e minor qualità dei servizi e grava maggiormente sulle fasce deboli e sugli anziani, cioè su coloro che maggiormente hanno bisogno di servizi sanitari. Il piano di rientro vale per la Calabria circa 80 milioni di euro, cioè meno di un terzo di quanto costa la mobilità sanitaria. Ed è ben chiaro che basterebbe abbattere di appena un terzo la mobilità sanitaria per non aver più bisogno di piani di rientro.
Se poi andiamo a guardare quali sono le regioni che beneficiano della mobilità sanitaria troviamo curiosamente Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni che in una certa misura si possono considerare come azioniste di maggioranza dei due raggruppamenti elettorali che a fasi alterne hanno governato l’Italia negli ultimi 25 anni. Diceva qualcuno che a pensare male si fa peccato, ma non si sbaglia mai e in questo caso la considerazione che nasce spontanea sull’impostazione delle politiche sanitarie nazionali, piani di rientro inclusi, è quella che queste politiche siano state costruite su misura e a vantaggio della sanità dell’Emilia Romagna e della Lombardia.
I successi della sanità dell’Emilia e della Lombardia sono finanziati dalla mobilità sanitaria di Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e Lazio. E malgrado questo obolo versato, queste regioni vengono costantemente additate al pubblico ludibrio come regioni inefficienti. Se andassimo ad indagare sulla tipologia di prestazioni erogate in regime di mobilità sanitaria, troveremmo probabilmente che un buon 50% riguarda DRG che avrebbero potuto efficientemente essere erogati nelle strutture sanitarie della provincia di residenza. E allora una prima proposta di buon senso sarebbe quella di eliminare il perverso piano di rientro che di fatto relega la sanità delle regioni interessate in un limbo in cui mancano le risorse per i servizi essenziali. Inoltre sarebbe opportuno limitare la mobilità sanitaria solo a particolari DRG (DRG, Raggruppamenti omogenei di diagnosi, ndr). Per gli interventi e gli esami di routine il servizio sanitario nazionale non dovrebbe rimborsare le spese fatte fuori regione.
Senza questo correttivo avremo una sanità a due velocità, dove la prima quella di Emilia e Lombardia prospera (le due regioni lucrano in termini di mobilità quasi un miliardo di euro) a danno delle sanità regionali deboli che subiscono solo tagli indiscriminati. Per eliminare il cattivo pensiero che dietro questo ci sia un disegno ben preciso e per assicurare parità di trattamento e di opportunità di cura a tutti i cittadini è necessario correggere queste distorsioni. Come fare? Una prima azione è di abolire lo strumento del piano di rientro e successivamente assegnare risorse ai sistemi sanitari regionali caratterizzati da debolezza. Senza questo correttivo il principio costituzionale di uguaglianza diventa una pura utopia!