Sono in molti, per lo più con spirito negativo e meravigliato, a considerare fondamentale, per l’ottenimento dello straordinario risultato elettorale nel Mezzogiorno del M5S il 4 Marzo scorso, l’aver proposto un “reddito di cittadinanza”. In realtà nella proposta deI M5S, “il reddito di cittadinanza” è uno strumento di sostegno economico rivolto alle famiglie con un reddito inferiore alla soglia di povertà, non universalistico, dissimile, ma non di tanto, dal ReI (Reddito di Inserimento) entrato in vigore all’inizio dell’anno, con criteri assolutamente restrittivi, scarsa copertura finanziaria ed avulso da una visione generale. I commenti che ne sono derivati hanno avuto, quindi, una “distorsione prospettica” tutta giocata in termini strumentali e di polemica che confermano come su questioni di grande importanza, nel nostro Paese, le cosiddette Elitè usino più la propaganda che il ragionamento e lo spirito critico.
Tale approccio non è altro che la dimostrazione che il paese reale e i suoi problemi sono poco osservati, ascoltati, analizzati, compresi. Le forze politiche che si dichiarano di centro/sinistra, hanno perso la percezione della realtà, e si sono acconciate a un pensiero unico, alla visione mercatista della vita, ridotto la politica a un ruolo subalterno alla finanza e alle tecnocrazie. Hanno accettato il dominio del neoliberismo imperante ormai da più trent’anni. Un lasso di tempo in cui si è assistito a un cambiamento strutturale del cosiddetto “paradigma di produzione e organizzazione del lavoro”. Oggi, come scrive un economista, tra i più lucidi, del nostro paese Andrea Fumagalli nel suo “ Lavoro male comune”: “ questo nuovo paradigma, ha la precarietà come condizione strutturale del lavoro, produce scoraggiamento, lavoro irregolare, ha reso più vulnerabili i giovani e fatto aumentare i cosiddetti NEET”.
Se questo è il quadro generale, sono anni, tuttavia, che forze sociali, movimenti politici, circoli culturali, intellettuali e studiosi, sia pure in minoranza e inascoltati considerano un segno del degrado economico e sociale del Paese, l’assenza di un sistema universalistico di protezione sociale, teso a salvaguardare la dignità delle persone sia nel lavoro che nella condizione di disoccupazione o di inoccupazione. La crisi perdurante e l’inadeguatezza delle politiche pubbliche hanno messo intere aree della Calabria e del Mezzogiorno in una condizione grave, nella quale l’assenza di lavoro, l’assenza di reddito ha messo in discussione la dignità delle persone, svalorizzata la loro cittadinanza, svuotato la democrazia. Oggi il tema centrale è come restituire dignità al lavoro, come creare condizioni per aumentare le opportunità del lavoro. Ma è anche avere la consapevolezza che è un’ illusione immaginare la possibile realizzazione del “pieno impiego” nell’era della “Disoccupazione di massa” per mutuare il titolo di un libro uscito in Italia nel 1986 di Edmond Malinvaud. Ecco perché è una priorità pensare ad un “ nuovo sistema di sicurezza sociale” e di una nuova carta dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che ribalti la logica che ha condotto all’affermazione della privatizzazione ed allo smantellamento dello stato sociale. In quest’ottica il “Reddito di cittadinanza” è una necessità per consentire a migliaia di persone di uscire dal ricatto della condizione di inoccupazione, di precarietà, di povertà. Come sostiene Maurizio Landini nel suo “ Forza Lavoro “ (ed Feltrinelli 2013) : ”Si può garantire il diritto al reddito a chi si forma, a chi perde il lavoro, a chi vuole cambiarlo. Le risorse ci sono, basterebbe usare quelle che ora vanno alla cassa in deroga, alla disoccupazione e alla mobilità, integrate dai risultati di una vera lotta all’evasione fiscale e dalla tassazione progressiva di rendite e patrimoni. Perché il reddito di cittadinanza deve essere finanziato dai più ricchi, serve, infatti, una nuova distribuzione della ricchezza”. Per questa ragione se davvero “il reddito di cittadinanza” è stato una delle proposte che ha orientato il consenso elettorale verso il M5S c’è da prendere il buono di questo e lavorare perché si possa realizzare.
In un’intervista sul L’espresso “Dialoghi sul Futuro” l’economista e filosofo Prof. Adam Schaff descrivere cosa sarebbe accaduto alle società industriali: ”Alla base dei nuovi modi di produrre c’è la sostituzione della forza-lavoro con le macchine… Tutto quello che segue, è già un problema sociale e politico…. Sarà necessario ricorrere a un reddito minimo garantito per ogni individuo disoccupato. Chi non ha lavoro è emarginato, oltre a non avere un reddito. E la disoccupazione continuerà a produrre violenza, droga, terrorismo”. Era il 16 Novembre del 1986. Non si trattava di una profezia, ma è la realtà di oggi e dobbiamo farci i conti, perché sono troppe le generazioni sacrificate ed il futuro è nebuloso.