La sanità in Calabria: fino a quando sarà sostenibile?

La sanità in Calabria: fino a quando sarà sostenibile? di Giuseppe Paglianiti (*)

La questione sanitaria calabrese batte banco in parlamento spesso. Molti rappresentanti istituzionali hanno preso a cuore la causa, molti altri invece hanno cavalcato l’onda per racimolare consensi.

Nonostante sembri un argomento attuale, in realtà già nel 2007 si discuteva sull’entrata della Regione Calabria in un Piano di Riqualificazione e Razionalizzazione del Servizio Sanitario Regionale (SSR). Tale misura è stata siglata solo il 17 dicembre 2009, in quanto i dati comunicati dal Sistema informativo sanitario riportavano delle incongruenze con quelli rilevati dal Ministero della Salute, soprattutto da un punto di vista economico-finanziario e contabile. Nel corso degli anni si è provveduto molto spesso, in un’ottica di spending review, a tagliare le spese più corpose che pesavano sul bilancio nazionale e la spesa sanitaria è stata una di queste, dal momento che rappresenta per il bilancio dello stato la voce di costo più elevata, dopo la spesa previdenziale. Questi tagli, però, non hanno considerato alcune peculiarità territoriali e il risultato è stato quello di inasprire le differenze fra le varie Regioni in tema sanità.

Una lettura delle classifiche a punti sulla valutazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), stilate annualmente da prestigiose testate giornalistiche e dallo stesso Ministero della Salute, certificano differenze importanti tra regioni e ad attestarsi alle ultime posizioni vi è puntualmente la Regione Calabria.

La classificazione si basa su tre macro-aree che sono ospedale, distretto e prevenzione, suddivisi a loro volta in decine di indicatori. La Regione la Calabria ottiene 146 punti, una soglia molto bassa se si considera che la soglia minima per poter parlare dei livelli accettabili è 160. Il dato appare ancora più chiaro quando lo si confronta con quello ottenuto dalla Regione Veneto che con i suoi 222 punti, risultata la migliore regione italiana.

Le cause delle scarse performances sanitarie calabresi sono molteplici, alcune attribuibili alla gestione economica sanitaria degli anni passati, ma altre sono da accollare proprio ai Piani di Rientro e alla gestione commissariale, che si è preoccupata esclusivamente di tagliare spese e ridurre i costi con l’obiettivo di far rientrare i saldi di bilancio entro valori sostenibili, senza preoccuparsi delle conseguenze sull’erogazione dei servizi derivanti da questi risparmi.

Il Piano di Rientro a cui è stata assoggettata la Regione Calabria ha permesso di conseguire risultati positivi in termini di risparmio di spesa, tagliando nei primi due trienni di Piano oltre il 4 per cento del totale dei costi. Tuttavia, ha avuto anche conseguenze disastrose in termini di erogazione di servizi, dovuti al blocco automatico del turnover, al taglio dei posti letto, all’aumento dei ticket per le prestazioni sanitarie e alla chiusura di alcune strutture sanitarie pubbliche.  Tutte misure previste dal Piano di rientro.

Alcuni dati riportati nel lavoro di alcuni ricercatori della Banca di’Italia (Aimone Gigio et al,, 2018) *  danno un’idea della situazione: in Calabria sono impiegate in strutture sanitarie in media 9,6 persone ogni mille abitanti, mentre in Valle d’Aosta ne sono impiegate 17,5; il blocco del turnover ha determinato l’aumento dell’età media degli operatori sanitari in tutte le ASP calabresi: oltre il 60 per cento degli impiegati supera i 50 anni di età. Negli ultimi anni nel sud e nelle isole sono stati chiusi 42 piccoli centri ospedalieri, di cui 4 solo in Calabria. Ciò, ovviamente ha generato un maggior carico di lavoro sulle strutture sanitarie rimaste aperte, senza però che venisse rimodulato l’assetto organizzativo di queste strutture. Anzi a questi ospedali è stata imposta una riduzione dei posti letto (in Calabria si è passati da 4,47 posti letto ogni mille abitanti a 2,98).

Il problema non è confinato alla mancanza di attenzione ai servizi, ma è anche un problema di distribuzione delle risorse attribuite ai singoli sistemi regionali. Come accertato dal Rapporto Osservasalute  dell’Università Cattolica (2018), la Regione Calabria ha una spesa pro-capite per la sanità pari a circa 1748 euro, di poco lontana dalla media nazionale che è di 1866 euro. Tuttavia, è lontanissima dalla spesa pro-capite di alcune regioni che risultano eccellenti in tutte le classifiche stilate sulle performance sanitarie, come, per esempio, la provincia autonoma di Bolzano, la cui spesa pro-capite è di circa 2327 euro.

Altro aspetto che incide molto sul bilancio sanitario calabrese è il saldo negativo di mobilità, che vale oggi a livello nazionale oltre 4 miliardi di euro. Si tratta della spesa di pazienti che si rivolgono per le cure a strutture assistenziali fuori regione che risultano attrattive per servizi e efficienza. In questi casi è previsto un sistema di compensazione. Cioè il SSR in cui paziente possiede la residenza deve coprire i costi del SSR in cui il paziente ha deciso di curarsi. Nel 2018, il SSR calabrese ha dovuto rimborsare ad altri SSR circa 319 milioni di euro.

Un’altra spesa che incide in maniera importante sui conti sanitari riguarda i contenziosi legali. Nel 2018 tali spese hanno avuto in Italia un aumento del 8,9 per cento e la spesa complessiva è stata di circa 190 milioni di euro. Un aspetto che richiede riflessione è il fatto che buona parte di questa spesa è sostenuta nel Mezzogiorno e che e in Calabria è stata pari a 19,5 milioni di euro.

In estrema sintesi, il quadro che emerge da questi dati è molto preoccupante. L’impressione è che si ha di fronte una bomba pronta ad esplodere, la cui miccia è stata accesa già da tempo e nessuno si sta preoccupando di capire come disinnescarla.


(*) Paglianiti Giuseppe è dottore in Economia. Attualmente studia Economia Aziendale presso l’Università della Calabria (gpaglianiti@hotmail.com)


 

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