La ZES a Gioia Tauro non è sufficiente, serve altro

Gioia Tauro vanta una venticinquennale iper-specializzazione nella funzione di  transhipment, che è un’attività marittima a basso impatto occupazionale e a bassa diffusione sul territorio dei vantaggi legati alla presenza di un porto. Così com’è, il porto di Gioia Tauro è un’infrastruttura avulsa dal contesto regionale: è utilizzato molto poco dagli operatori locali, tant’è che i flussi annuali di containers da e per l’entroterra sono sempre stati inferiori al 5% del traffico totale transitato nel porto calabrese. Oggi ci si interroga su cosa fare per trasformare il porto in un’infrastruttura a servizio dello sviluppo della regione. A tal fine, l’intervento normativo certamente più significativo è la proposta di creare a Gioia Tauro una Zona Economica Speciale (ZES), su cui OpenCalabria ha di recente già dedicato un congruo numero di riflessioni a firma di Antonio Aquino, Francesco Bruno e Domenico Marino. Questa nota, invece, esamina alcune condizioni che devono essere soddisfatte all’interno del sistema produttivo locale affinché le vie del mare rientrino tra le opzioni ammissibili per il trasporto delle merci calabresi. In particolare, si focalizza l’attenzione su alcuni elementi legati alla specializzazione produttiva e alla dimensione delle imprese.  

Per alcune produzioni il mare non è competitivo

Uno dei settori più dinamici sui mercati extra-regionali e internazionali è quello agricolo, dove, il comparto che fa registrare elevati flussi di beni è l’ortofrutta. I mercati di sbocco sono, nella quasi totalità dei casi, le altre regioni Italiane e l’Europa. Si può dimostrare che anche in presenza a Gioia Tauro di un porto perfetto, l’ortofrutta calabrese continuerebbe, nella stragrande maggioranza dei casi, a essere trasportata su strada, piuttosto che su mare. La ragione è che il trasporto su strada minimizza i tempi di percorrenza che i beni – soggetti a deperibilità – impiegano per raggiungere i punti di stoccaggio della grande distribuzione italiana ed europea: affidarsi alla logistica “snella” e “veloce” della strada è compatibile con la tipologia dei contratti di fornitura che spesse volte prevedono la clausola cosiddetta A/C. Si tratta del periodo che intercorre tra il giorno (A; lunedì mattina, per esempio) in cui l’impresa calabrese riceve l’ordine e il giorno (C, mercoledi) in cui la merce deve essere consegnata. Questa condizione contrattuale di evadere l’ordine di vendita al massimo in 72 ore non sarebbe soddisfatta se si usassero le vie del mare, mentre lo è tramite strada (e lo sarebbe se ci fosse una via ferrata con binari dedicati al trasporto merce).

Quanto conta la dimensione delle imprese

Un secondo vincolo è rappresentato dalla ridotta dimensione delle imprese calabresi, le cui vendite unitarie non rendono conveniente l’uso dei container. Le vie del mare sono competitive quando la quantità venduta è elevata ed è concentrata in un unico ordine/ mercato di sbocco. La piccola dimensione delle imprese rende chiara, quindi, la distanza tra il sistema produttivo calabrese che evade ordini unitari di poche pedane e il sistema della containerizzazione, il quale, al contrario, impone ai contratti commerciali grandezze ben più elevate. Si può ragionevolmente dire che il costo di trasporto che si avrebbe per commercializzare poche pedane di beni finali tramite un container non è economicamente sostenibile e non lo sarà in assenza di un generalizzato aumento della dimensione delle imprese.     

Prima trasformazione delle materie prime su larga scala

La maturazione del modello di specializzazione produttiva calabrese, che è fortemente legato alla risorse naturali, imporrebbe al sistema delle imprese di effettuare in regione la trasformazione delle materie prime. Nel caso del settore agricolo, ciò consentirebbe di collocarsi in mercati diversi dal mercato del fresco. Questa rivisitazione dell’organizzazione della produzione avrebbe l’indubbio vantaggio di creare e trattenere in regione valore aggiunto e renderebbe più vantaggioso il trasporto via mare, in quanto i beni non sarebbero a rapida deperibilità. Tuttavia, per le cose dette in questa nota, trasformare non è sufficiente per veicolare i beni da Gioia Tauro. Occorre farlo in quantità elevata, altrimenti si alimenta la trappola della piccola dimensione delle imprese che contraddistingue la mancata crescita del sistema economico regionale. Il sistema delle imprese calabresi deve, quindi, puntare a radicali trasformazioni e, in questa direzione, il cambiamento strutturale più importante è l’incremento della dimensione aziendale.

Un’opzione, l’opzione. Complessa, ma fattibile

Questa ipotesi di sviluppo tesse le lodi alla dimensione, ma non è senza alternativa. Se il sistema non è in grado – in modo spontaneo – di aumentare la dimensione media delle imprese, il trasporto via mare sarebbe vantaggioso se a valle dei processi produttivi delle singole micro-imprese esistesse un sistema di aggregazione delle produzioni per tipologia merceologia e per mercato di sbocco. Questo servizio di aggregare le quantità potrebbe essere effettuato nei pressi dell’area portuale di Gioia Tauro: le imprese lo alimenterebbero con i conferimenti delle loro pedane e una seria e fattibile attività di logistica – nella versione più elementare di questa tipologia di servizi alle imprese – assemblerebbe le pedane fino al riempimento dei container da veicolare verso i mercati di sbocco. È un meccanismo basato sulla cooperazione tra imprese che consentirebbe di superare i vincoli di commercializzazione delle produzioni locali dovuti al nanismo aziendale.

Sintesi

Queste brevi considerazioni alimentano il dubbio che il porto di Gioia Tauro non sarà utilizzato da molte imprese calabresi se prima non si avvieranno significativi cambiamenti delle caratteristiche strutturali del sistema delle imprese regionali. La ZES potrebbe accelerare queste trasformazioni, inserendo un meccanismo di gradualità nella fiscalità di vantaggio per i nuovi insediamenti produttivi nell’area portuale. I vantaggi più elevati dovrebbero essere assegnati ai progetti industriali i cui investimenti di lungo periodo (almeno 15 anni) puntino, in via esclusiva e in vari modi, alla trasformazione e alla valorizzazione delle risorse locali.

 

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