Le donne in Calabria: una risorsa sottoutilizzata

di Maria De Paola e Marco De Benedetto

La differenza di genere è una delle forme più diffuse di disuguaglianza; in molti paesi del mondo le donne non hanno ancora acquisito uguali diritti rispetto agli uomini per quanto riguarda l’accesso alle scuole, ai servizi sanitari, o di welfare in generale, e alla partecipazione alla vita politica. Non si tratta solo di paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, ma anche di paesi avanzati, come Stati Uniti, Germania, Austria (solo per menzionarne alcuni), dove le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, a parità di posizione professionale, e a non raggiungere le posizioni lavorative più prestigiose (Boll and Lagemann (2018), Ginther and Kahn, 2014).  

In Calabria, come spesso accade, il problema assume caratteri più marcati: il tasso di occupazione maschile nel secondo trimestre del 2018, secondo i dati ISTAT, era pari al 53.7%, mentre quello femminile si fermava al 30.7% , al Nord questi valori erano rispettivamente pari al 75% e al 60%, al Centro invece circa 71% e 56%. Il gap quindi aumenta percorrendo la penisola da Nord a Sud; man mano che si scende, le opportunità di lavoro si riducono e questo avviene in maggior misura per le donne.

Tra le province Calabresi vi sono poi alcune in cui la posizione lavorativa delle donne è più marginale che altrove. Le tre province con i tassi di occupazione maschile più alti (Catanzaro, Crotone e Cosenza con rispettivamente il 55.4%, 54.1% e il 53.2%) sono invece piuttosto variegate in termini di tasso di occupazione femminile con tassi rispettivamente del 32.1%, 24.3% e 30%. Migliore è il dato registrato per Vibo Valentia, con un tasso di occupazione femminile del 34.7% (quello maschile e di 52.7%), e che presenta anche un tasso di attività femminile (rapporto tra forze lavoro e popolazione residente) relativamente alto (42.2%) e inferiore solo a quello di Catanzaro (42.6%). Reggio Calabria invece fa peggio solo rispetto a Crotone con un tasso di occupazione femminile del 29.8% (45.4% quello maschile) e con il tasso di attività femminile più basso delle province Calabresi (38%).

In una regione con una struttura produttiva debole come quella che caratterizza la nostra regione, con il Pil pro-capite più basso d’Italia e un tasso di disoccupazione giovanile esorbitante, disquisire di differenze di genere potrà sembrare ad alcuni superfluo. Eppure il fatto che così tante donne non partecipano all’attività produttiva rende la nostra regione ancora più povera riducendo in maniera sostanziale il reddito complessivo che riusciamo a generare. Certamente a tenere fuori le donne dal mercato del lavoro calabrese c’è la mancanza di buone opportunità lavorative (il tasso di disoccupazione femminile tra i giovani di età compresa tra i 20-24 anni è del 67%), ma ci deve essere anche altro dato che le donne in Calabria non sono sottorappresentate solo nel mercato del lavoro ma anche a livello politico e istituzionale – in questi ambiti le condizioni di domanda non dovrebbero essere troppo diverse –.

Ad esempio, se si analizza la presenza delle donne nelle amministrazioni comunali si nota l’esistenza di un divario molto forte e significativo tra la Calabria e le restanti regioni italiane. Come mostrato nell’indagine presentata dalla Consigliera di parità della Regione, Tonia Stumpo, le donne sindaco nella nostra regione sono solo l’8%, mentre questa percentuale sale rispettivamente a circa il 33% e 37% se si considerano gli assessori e i consiglieri. Utilizzando i dati forniti dal Ministero dell’Interno è facile effettuare un confronto con le altre regioni italiane. Inoltre, essendo i dati forniti dal ministero disponibili a partire dal 1985 è anche possibile analizzare l’evoluzione temporale del fenomeno. Come si può vedere dalla Figura 1, la percentuale di donne presente nei consigli comunali calabresi segue lo stesso trend che si osserva nelle altre regioni ma è storicamente più bassa. Sembrerebbe quindi che anche guardando ai dati più incoraggianti (cioè quelli relativi ai consiglieri comunali) la Calabria presenti una situazione di svantaggio che peggiora man mano che si va più in alto lungo la scala del potere politico locale.

Figura 1: Percentuale di donne nei consigli comunali – Calabria vs Resto d’Italia. Fonte. Nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

La percentuale di sindaci di sesso femminile in Calabria è ferma intorno all’8% a partire dal 2010 (contro il 14 percento del resto d’Italia e il 17% del Nord), anche se nel 2017 è sceso a 6.4% (Tabella 1). Come di può vedere dalla Figura 2, dove sono rappresentati i comuni che nel 2017 risultavano amministrati da un sindaco donna, la presenza maggiore di donne tra i sindaci si riscontra nella provincia di Cosenza con un numero pari a 14, segue quella di Reggio Calabria con 5, Vibo Valentia con 3, Catanzaro con 2 e ultima quella di Crotone. Il comune più grande amministrato da una donna è Cariati con 8.156 abitanti. Non ci sono donne tra i sindaci che amministrano comuni calabresi con più di 15,000 abitanti.

Se si vanno ad esaminare le caratteristiche di queste donne di scopre che sono mediamente più istruite e giovani rispetto ai colleghi maschi. Ad esempio, l’età media delle donne tra gli amministratori locali è di 38 anni, mentre quella dei politici locali di sesso maschile è di circa 45 anni. Esistono inoltre, delle differenze tra politici maschi e femmine all’interno delle amministrazioni comunali in termini di anni medi di istruzione: gli amministratori locali di sesso femminile in Calabria hanno circa 16 anni di istruzione (contro la media nazionale di 15), mentre quelli di sesso maschile mostrano 14 anni di istruzione medi (contro 13 anni di media nazionale). Anche i sindaci donna in Calabria sono più istruiti dei maschi (17.5 anni di istruzione media circa contro 15.4 per gli uomini). Queste informazioni ci dicono che il gap effettivo è maggiore di quello che si riscontra guardando solo ai dati sulla presenza maschile e femminile, poiché le donne per poter essere presenti devono essere in media (in termini di anni di istruzione) più qualificate degli uomini.

Figura 2: Comuni italiani amministrati da un sindaco donna

Se lasciamo le amministrazioni comunali per esaminare l’amministrazione regionale, si presenta un quadro ancora più scoraggiante. Nell’ultima legislatura, con elezioni tenutesi nel novembre del 2014, solo un consigliere regionale è di sesso femminile. Un quadro non molto diverso appare se si considerano le legislature passate, con un picco nel numero di consiglieri di sesso femminile, pari a 4, soltanto nel lontano 1995 (Fonte: Amministratori locali e regionali- Ministero dell’Interno).

Eppure, la presenza di donne tra i policy makers locali potrebbe aiutare a dare priorità a politiche che mirino ad aumentare l’occupazione femminile (ad esempio, accrescendo la spesa per asili nido che nella nostra regione), e a cambiare norme sociali ancora troppo tradizionali che, ad esempio, fanno si che gran parte del lavoro domestico e di cura sia svolto dalle donne. Alcuni studi mostrano infatti che una maggiore rappresentanza politica delle donne si traduce in scelte politiche più favorevoli per le donne (Chattopadhyay e Duflo, 2004; Iyer et al., 2012). Inoltre, la partecipazione politica delle donne si è mostrata utile per accrescere gli investimenti di supporto all’infanzia (Bhalotra e Clots-Figueras, 2014, Brollo e Troiano, 2016) e per ridurre la corruzione (Dollar et al., 2001; Swamy et al., 2001).

Un impulso potrebbe certamente arrivare dall’introduzione anche nella nostra regione della doppia preferenza di genere. La proposta di legge presentata da Flora Sculco sarà mai approvata? La Calabria e le sue donne aspettano.

Bibliografia 
Bhalotra, S. and Clots‐Figueras, I. (2014). ‘Health and the political agency of women’, American Economic Journal: Economic Policy, vol. 6(2), pp. 164–97. Boll C. and Lagemann A. (2018), Gender pay gap in EU countries based on SES (2014), European Commission.

Brollo, F. and Troiano, U. (2016). ‘What happens when a woman wins a close election? Evidence from Brazil’, Journal of Development Economics, vol. 122, pp. 28–45.

Chattopadhyay, R. and Duflo, E. (2004). ‘Women as policy makers: evidence from a randomized policy experiment in India’, Econometrica, vol. 72(5), pp. 1409–43.

Iyer, L., Mani, A., Mishra, P. and Topalova, P. (2012). ‘The power of political voice: women’s political representation and crime in India’, American Economic Journal: Applied Economics, vol. 4(4), pp. 165–93.

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