L’economia ai tempi del Coronavirus, provando ad immaginare il domani

a cura di Matteo Ruggeri *, Angelo Palmieri** e Carlo Drago***

Per applicare l’approccio economico allo studio di fenomeni complessi, come l’attuale emergenza pandemica, non si può prescindere dal considerarne anche gli aspetti epidemiologici, tecnico-sanitari e comportamentali. Per questo, un’analisi del fenomeno non può che essere declinato rispetto a tre livelli differenti ma connessi fra loro: quello macro (inerente fenomeni di carattere generale), meso (inerente aspetti di carattere organizzativo) e micro (inerente lo studio dei comportamenti individuali).

Una prima considerazione da fare inerente la dimensione macro del problema coronavirus è dunque sulla possibilità e la necessità di rivedere i modelli di sviluppo, portandoli verso traiettorie più sostenibili ed eco-compatibili. La lotta alle emissioni, che si pensa stiano amplificando gli effetti nefasti del virus, deve essere resa più intensa e sistematica. L’estensione dei diritti all’acqua, al cibo, alla casa, all’istruzione, devono essere accompagnati nei Paesi in via di Sviluppo da interventi volti in primis ad assicurare la sanità pubblica e l’igiene oltre che la salvaguardia dell’ambiente. Del resto, è un dato di fatto che, nei paesi sviluppati, l’implementazione di efficienti reti idrico-fognarie abbia curvato l’incidenza di malattie come la tubercolosi, la poliomielite fra gli anni 40 e 50 del secolo scorso ancor prima dell’introduzione di terapie antibiotiche e di altri trattamenti. Ciò ha reso possibile l’abbattimento della mortalità neonatale ed infantile e ha innescato la crescita demografica, motore di sviluppo economico, da cui il sorgere della generazione dei baby boomers di cui si parlava poc’anzi. Imparare dal passato è fare, in grande, ciò che è stato fatto allora. Una seconda considerazione concerne la capacità dei sistemi economici sviluppati di affrontare periodi ciclici di eventi pandemici. È possibile ipotizzare che tali eventi si susseguano nel tempo e che si trovino volta per volta risposte terapeutiche e vaccinali per il caso specifico. Sicché per ogni nuovo virus bisognerà ricominciare da zero. È possibile quindi ipotizzare che le economie dovranno abituarsi a periodi più o meno lunghi di lockdown e studiare quindi soluzioni per mantenere un certo livello di capacità produttiva. Lo smart working ed altre soluzioni digitali possono essere utili in certi casi e per certe professionalità ma non la panacea di tutti i mali, in quanto portano con sé il rischio di una ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro, consentendo alle imprese di scaricare la gran parte dei costi fissi di produzione sui lavoratori. Bisognerà pensare quindi a politiche di redistribuzione dei carichi di lavoro, accelerare la produzione nei periodi liberi dalla pandemia per poi rallentare o arrestarla nei periodi di lockdown. Bisognerà dunque pensare a forme strutturali di sostegno al reddito delle famiglie ed alle imprese, permettendo quindi di fermare le economie per un periodo più o meno limitato per poi rimettere in moto il sistema senza aver sperimentato (o almeno minimizzando) fallimenti e licenziamenti. Per le imprese si tratterebbe di congelare i costi fissi (lavoro e affitti o mutui) nei periodi di lockdown. La struttura dei costi fissi dovrebbe quindi mutare soprattutto con riferimento ai tassi di interesse, che essendo ad oggi sotto lo zero, potrebbero aumentare leggermente per tenere conto della probabilità di avere un lockdown ogni tre o cinque anni.

Il prodotto sanitario è per sua natura incerto. La tendenza dei nostri sistemi sanitari è stata invece quella di operare costantemente sulla frontiera di efficienza, senza lasciare spazio ad eventuali situazioni di emergenza, da affrontare con piani di contingenza organizzati e pensati prima che situazioni fuori dall’ordinario si verificassero. Il virus ci ha trovato col fianco scoperto. Se la lezione che abbiamo imparato a livello macro è che tali situazioni pandemiche potranno ripetersi, i nostri sistemi sanitari non potranno più operare come hanno fatto fino ad oggi. Serviranno investimenti massicci e fondi da utilizzare all’occorrenza. Più personale sanitario, strutture sanitarie modulari, il ricorso alle risorse del volontariato, le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale per simulare gli spread delle pandemie per organizzare la risposta precocemente e per tracciare gli spostamenti dei contagiati, sono solo alcune delle possibili azioni.  Sarà, altresì, necessario adoperarsi per attuare policy che siano in grado di affrontare il tema della complessità dei processi di integrazione ospedale-medicina territoriale.

Un elemento di complessità è riconducibile alla necessità di coordinare comportamenti e azioni che fanno riferimento a organizzazioni, figure assistenziali (es. azienda ospedaliera, equipe di medici di famiglia, distretto), e addirittura sistemi assistenziali differenti. L’area dell’integrazione richiede un cambiamento di prospettiva rilevante nell’azione organizzativa, con un focus organizzativo che si sposta da strutture gerarchiche e funzioni organizzative, a processi (a valenza sociale, clinica e riabilitativa) incentrati sul paziente-persona. L’emergenza di questi giorni, suggerisce ai policymaker, la necessità di ripensare strategicamente a nuovi piani di gestione delle cronicità e delle fragilità da potenziare a scopi preventivi a livello distrettuale, con il concorso della medicina generale, organizzata nelle sue diverse forme anche associative, gli enti del terzo settore, in una logica sussidiaria, e le aziende ospedaliere.

In un quadro complessivo, in cui il rischio di frammentazione appare particolarmente elevato, risulterà di grande rilievo comprendere come le diverse Regioni hanno risposto e dovranno rispondere in un futuro prossimo alle crescenti necessità di integrazione.

La sfera individuale è forse quella che le persone comuni vedono con più coinvolgimento. Occorrerà ripensare i nostri comportamenti. In primis accettando di vivere per alcuni periodi della nostra vita in modo diverso. Rimarremo connessi con gli altri grazie alla tecnologia, ma forse un po’ meno in contatto fisico. Potrà essere l’occasione per vivere nuove esperienze e riflettere. Prendere decisioni e fare cose che non si avevano il tempo di fare prima. È possibile immaginare che, come in questo caso, i virus saranno più pericolosi per gli anziani. Allora i giovani potranno tornare alle loro occupazioni relativamente presto, una volta passato il peggio, ma gli anziani dovranno essere più cauti. Nell’uscire e riprendere le attività abituali tutti dovranno essere più consapevoli dei rischi che si corrono. È possibile immaginare, per esempio, che le cronicità causate dal fumo, dall’obesità, dagli stili di vita errati saranno sempre fattori che renderanno i casi più complicati, per cui l’adozione di comportamenti corretti, anche non direttamente riguardanti le infezioni pandemiche, saranno cruciali per permettere il ritorno alla normalità in tempi relativamente rapidi.

VERSO UN NUOVO PATTO SOCIALE  Siamo ad un punto di svolta. Le dinamiche della globalizzazione, di consumo e, più in generale, di sviluppo, pongono problemi che è divenuto troppo difficile, se non impossibile, aggirare o rimandare. Serve una presa di coscienza collettiva, che coinvolga i vari livelli di azione del sistema economico. Da quello macro, che coinvolge le istituzioni (ONU, WHO, Banca mondiale) a quello meso (sistemi sanitari) e micro (comportamenti individuali).

In una logica coerente ed equilibrata di sviluppo economico e sociale, dobbiamo tutti affrontare una sfida che, in una sua accezione semplicistica, potrebbe sembrare paradossale, dato che la prima istintiva pulsione sarebbe quella della chiusura in sé stessi o nelle proprie comfort zone: puntare sulla cooperazione a tutti i livelli. Ed allora, in un’ottica macro, le recenti prese di posizione dell’Unione Europea nei confronti della proposta di istituire i cosiddetti “coronabond” sembra del tutto fuori logica ed autolesionistica, dal momento in cui, solo per fare un esempio, il surplus produttivo della Germania avrà bisogno di una continua spinta dei consumi anche negli altri paesi partner. In un’ottica meso, è sempre più chiaro come emergenze di tale genere possono essere risolte solo da sistemi sanitari pubblici ed universalistici, dato il carattere tipico di esternalità negativa delle pandemie. La spinta alla regionalizzazione ed in alcuni casi addirittura alla localizzazione dell’offerta sanitaria dovrà essere almeno ripensata in un’ottica che tenda ad un maggiore coordinamento a livello centrale. A livello micro, il senso di responsabilità individuale, con comportamenti animati dal senso civico non dovranno fermarsi solo alla tutela legittima della propria salute e di quella dei propri cari ma tradursi in un rinnovato e più positivo rapporto con le regole e con la fiscalità, nel contesto di un rinnovato patto sociale, che veda aumentati i livelli di fiducia verso le proprie classi dirigenti ed in generale, le istituzioni.


*Ricercatore, Istituto Superiore di Sanità e Docente di Politica Economica, St.Camillus International University of Health Sciences
**Sociologo e Dottore di Ricerca in Economia e Gestione dei Servizi Sanitari
*** Ricercatore in Statistica Economica Università degli Studi Niccolò Cusano, Roma e Reader in Research Methods and Statistics, NCI University, London

Exit mobile version