Cos’è l’invecchiamento demografico e i dati italiani Uno dei più rilevanti cambiamenti che le società occidentali si trovano oggi a fronteggiare è certamente quello dell’invecchiamento demografico, termine con cui si indica l’aumento della proporzione di persone anziane rispetto agli altri gruppi della popolazione. Le cause di questo processo sono sostanzialmente due: l’allungamento della vita (longevità) e la riduzione delle nascite (denatalità). Se la longevità è di per sé una conquista, l’invecchiamento demografico è una sua conseguenza ineluttabile che pone, però, diversi problemi di ordine sociale, culturale ed economico. Il numero sempre crescente di anziani si tradurrà inevitabilmente in richieste sempre maggiori di servizi socio-sanitari e di cura. Se all’invecchiamento dall’alto determinato dall’accresciuta aspettativa di vita si unisce l’azione di invecchiamento dal basso causato dalla perdurante denatalità, è facile comprendere che lo squilibrio che determina tra le classi economicamente produttive e le classi anziane (che non solo sono economicamente passive, ma rappresentano anche un costo in termini pensionistici e assistenziali) mette a dura prova la sostenibilità dei sistemi di welfare contemporanei. Il processo di invecchiamento demografico ha, infatti, ricadute notevoli in termini di politiche sociali, economiche, sanitarie ed assistenziali, ma pone anche delle enormi sfide dal punto di vista sociale, influendo sugli equilibri generazionali all’interno delle popolazioni e, di riflesso, sul sistema dei ruoli e delle funzioni all’interno della società e della famiglia stessa (Stranges, 2007).
Per avere un’idea del livello di invecchiamento demografico in Italia, può essere utile fornire qualche dato estratto dai censimenti della popolazione. Dal secondo dopoguerra ad oggi la vita media maschile e femminile è notevolmente aumentata: l’aspettativa di vita a 60 anni è, infatti, cresciuta di 6,4 anni per gli uomini e di 8,8 anni per le donne dal 1951 al 2011. A tale invecchiamento dall’alto si è aggiunto anche l’invecchiamento dal basso, determinato dalla forte denatalità, che ha contribuito a squilibrare i rapporti tra i diversi gruppi di popolazione. Il tasso di fecondità totale è passato da 2,34 figli per donna del 1951, ampiamente al di sopra del valore di ricambio (2,1), a 1,42 del 2011, in recupero rispetto al minimo storico del 1995, ma comunque molto al di sotto della soglia di rimpiazzo. L’effetto in termini di struttura è evidente dall’analisi della composizione percentuale della popolazione: la quota di anziani è passata dall’8,2% al 20,8%, mentre è parallelamente diminuito il peso della componente adulta della popolazione e, ancor più marcatamente, quello della componente giovanile, passata dal 26,1% al 14%.
Il livello del fenomeno in Calabria Anche la Calabria, al pari delle altre regioni italiane, è oramai fortemente interessata dall’invecchiamento demografico. Ovviamente, tale processo si è avviato con più ritardo rispetto alle regioni settentrionali in ragione della persistenza di livelli più elevati di fecondità che hanno, per qualche tempo, mitigato gli effetti dell’accresciuta longevità. L’invecchiamento in Calabria è, però, destinato ad aumentare, dati gli attuali bassi livelli di fecondità. La situazione calabrese presenta un’elevata variabilità tra le province (Tabella 1). Tra queste, quella che mostra il maggior grado di invecchiamento è Cosenza, dove gli anziani costituiscono oramai il 19,52% della popolazione complessiva. Tranne Crotone, che è la provincia calabrese più giovane con solo il 17,47% di anziani, tutte le altre province hanno di fatto superato la soglia del 19% di over 65. Quello che caratterizza Cosenza è, in particolare, lo squilibrio generazionale: infatti, è la provincia con la percentuale più alta di anziani e, al contempo, anche quella con la percentuale più bassa di giovanissimi (solo il 13,33%). Seguono Catanzaro con 13,75% di giovani, Vibo Valentia (14,65%), Reggio Calabria (14,74%) e, infine, Crotone (16,02%). La situazione cosentina è determinata da un maggiore invecchiamento dal basso (infatti, è la provincia che ha il tasso di fecondità più contenuto, pari a 1,19 figli per donna) e da un consistente invecchiamento dall’alto, espresso dall’accresciuta longevità (presenta il valore massimo di aspettativa di vita maschile, mentre il valore femminile è molto simile a quello di Catanzaro e Crotone). Di contro, è Crotone la provincia con il valore più alto di fecondità (1,34), motivo per il quale si riscontra una percentuale così elevata di giovanissimi.
Lo squilibrio generazionale che caratterizza la provincia di Cosenza più delle altre aree della Calabria è confermato anche dal valore assunto dagli indici di struttura: in particolare, quello di vecchiaia (numero di anziani per 100 giovanissimi) raggiunge in provincia di Cosenza il 146,49% (molto vicino al valore nazionale), a fronte di un livello medio regionale di oltre dieci punti percentuali più basso. La situazione cosentina è peculiare rispetto alle altre anche perché è la provincia che ha il più alto valore percentuale di popolazione adulta rispetto al totale. Questo fa sì che l’indice di dipendenza strutturale provinciale sia più contenuto, in quanto un numero maggiore di persone potenzialmente attive (gli adulti, appunto) deve supportare un numero inferiore di popolazione inattiva (molti anziani ma, contemporaneamente, pochi giovanissimi). Quindi, paradossalmente, pur essendo la provincia più vecchia è anche quella che presenta la situazione di maggiore equilibrio tra le componenti produttive e quelle improduttive della popolazione. Tale dato apparentemente positivo ha, in realtà, importanti implicazioni negative: la gran parte del carico sociale sulla popolazione produttiva, infatti, proviene da componenti anziane definitivamente improduttive (dal punto di vista meramente economico). Al contrario, in altre province il pur maggiore carico sociale deriva da componenti attualmente improduttive (i giovani) che entreranno – auspicabilmente – nel mercato del lavoro in futuro.
Non è solo un problema di invecchiamento L’aumento della popolazione anziana non rappresenta un problema in sé. Dal punto di vista demografico, le maggiori criticità connesse al processo di invecchiamento emergono quando questo si combina ad altri fenomeni. Particolare attenzione viene posta, in ragione delle ricadute sociali ed economiche di questi fenomeni, allo spopolamento dei territori e al cosiddetto malessere demografico. Lo spopolamento rappresenta spesso l’inizio di una fase involutiva, che può comportare una progressiva e veloce alterazione della struttura demografica e addirittura sfociare in un’eventuale scomparsa dei comuni interessati al fenomeno (De Bartolo et al., 2011). Questo fenomeno può essere misurato guardando al valore assunto dal tasso di incremento migratorio medio annuo (TIM), che è ovviamente negativo se il saldo migratorio dell’area è anch’esso negativo. Lo spopolamento si accompagna spesso al “malessere demografico”, fenomeno di cui l’invecchiamento demografico è solo un aspetto. Il malessere demografico può essere definito come sintesi delle conseguenze demografiche, economiche, sociali, culturali e psicologiche che si osservano in una popolazione a seguito dell’alterazione della sua struttura. Il malessere demografico viene tipicamente misurato guardando al valore assunto dal tasso di incremento naturale medio annuo (TIN), che è chiaramente negativo quando i decessi superano le nascite. Mettendo assieme le due misure si ottiene il tasso di incremento totale (TIT) che fornisce un’indicazione del grado di sviluppo complessivo della popolazione in ragione di entrambe le dinamiche, naturale e migratoria. La classificazione empirica del malessere demografico viene fatta considerando la crescita della popolazione intorno allo zero, stabilendo delle soglie relative al tasso d’incremento naturale intorno al ±2‰ (Golini et al., 2000, p. 21): si parla di malessere demografico forte (se il tasso di incremento naturale è inferiore al -10‰), intenso (TIN compreso tra -10 e -5‰), moderato (TIN tra -5 e -2‰), aree a crescita zero (TIN tra -2 e +2‰), aree con vitalità moderata (TIN tra +2 e +5‰) o con vitalità intensa (TIN superiore a +5‰). Osservando i dati calabresi su un arco temporale di breve-medio periodo (2002-2011), si può notare (Figura 1) che tutte le province calabresi hanno manifestato una comune tendenza alla riduzione dell’incremento naturale, mentre l’incremento migratorio ha avuto un andamento altalenante, dovuto in parte anche all’apporto dell’immigrazione dall’estero (con un picco in tutte le province nel 2007,che è l’anno in cui Romania e Bulgaria entrarono a far parte dell’Unione Europea e si ebbe un consistente aumento dei flussi migratori dalla Romania verso l’Italia, Calabria inclusa).
Riflessioni conclusive L’invecchiamento demografico ha conseguenze potenzialmente molto negative, in particolare in una regione come la Calabria, caratterizzata da forti flussi migratori in uscita e da scarsi flussi migratori in entrata. Inoltre, il processo è alimentato dalla denatalità che ormai da diversi anni caratterizza la nostra regione. L’effetto congiunto di queste dinamiche è che, non solo la popolazione calabrese continua a diminuire progressivamente, ma diventa sempre più vecchia, con tutte le implicazioni sociali, economiche e di welfare che questo comporta. La Calabria sta sempre più divenendo un chiaro esempio di come la recente evoluzione dei comportamenti demografici e familiari (e le modificazioni quantitative che ne sono derivate) rappresenti una forte interferenza ad un armonico sviluppo del sistema sociale ed economico della regione.
Bibliografia
De Bartolo G., Coscarelli A., Stranges M. (2011). Demografia e spopolamento in Calabria e in provincia di Cosenza, in Stringhe, Quadrimestrale di Divulgazione Scientifico Culturale dell’Università della Calabria, n. 3, pp. 171-187.
Golini A., Mussino A., Savioli M. (2000). Il malessere demografico in Italia. Una ricerca sui comuni italiani. Il Mulino, Bologna.
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Istat (2002-2011). Bilancio demografico. http://demo.istat.it
Istat (anni vari). Dati ai censimenti della popolazione, 1951-2011. http://demo.istat.it
Stranges M. (2007). Le sfide sociali della longevità umana: anziani, rapporti intergenerazionali e reti sociali, Sociologia e Politiche Sociali, vol. 10, n°1/2007, pp. 161-173.