I dati sulla produttività e il costo del lavoro nelle regioni Italiane, diffusi dall’Istat (’Annuario statistico 2017) forniscono utili indicazioni per misurare i differenziali di sviluppo tra le diverse aree del paese e interpretarne la natura. Il tema ha notevoli implicazioni per la politica economica e per lo sviluppo del Mezzogiorno. Una questione, questa, al centro del convegno promosso dalla CGIL a Gioia Tauro (Reggio Calabria), luogo simbolo delle opportunità di crescita del Sud.
I divari di produttività La tabella 1 conferma quanto siano ampi nel paese i divari di produttività del lavoro nel nostro paese: nel Centro-Nord il valore aggiunto per addetto è pari a 51.100 euro, mentre nel Mezzogiorno è di circa 32. 000 euro (32,4 a Sud e 31,4 nelle Isole). La distanza tra il Nord-Ovest e il Sud è di circa 19.000 euro. La regione più ricca del paese – la Lombardia – fa registrare un valore della produttività pari a 54.300 euro per addetto, il doppio di quella della regione più povera, la Calabria (27.700). Tra le otto regioni del Mezzogiorno d’Italia, ben cinque (Calabria, Molise, Sicilia, Puglia e Campania) si collocano in coda della classifica italiana della produttività regionale. La produttività dell’Abruzzo (36. 900 euro) è superiore di quella dell’Umbria (34.000) e delle Marche (36.900). In Basilicata e in Sardegna la produttività è di poco superiore a quella dell’Umbria.
I divari del costo del lavoro Il dualismo Nord-Sud si riscontra anche sul versante dei costi del lavoro che si allineano ai corrispondenti valori regionali di produttività. Se il costo del lavoro in Lombardia è in media pari a 41.100 euro, in Calabria è di 25.400: la differenza nel costo per addetto è pari a 15.700 euro all’anno. In breve, il costo del lavoro aumenta all’aumentare della produttività del lavoro: è elevato nelle regioni ad alta produttività e basso in quelle a minore produttività (il coefficiente di correlazione è pari a 0,97).
Il valore assoluto delle differenze La lettura congiunta di questi dati offre utili informazioni. Consideriamo le differenze tra regioni. Intuitivamente, la differenza tra produttività e costo del lavoro rappresenta una misura del valore della produzione che rimane alle imprese dopo aver remunerato il lavoro. Si osservi come questo gap aumenti passando da Sud a Nord. Il differenziale massimo si ha in Trentino Alto Adige (14.500 euro per dipendente all’anno) e in Lombardia (13000Euro). In Calabria questa differenza si riduce a 2400Euro per addetto all’anno, mentre il punto di minimo si registra in Molise (600 euro all’anno per addetto) (figura 1). Ne consegue che le regioni più produttive del paese dispongono di maggiori risorse da destinare alla remunerazione degli altri fattori produttivi, oppure, a parità di altre condizioni, al finanziamento autonomo di strategie di crescita regionale. Al contrario, le regioni del Sud dispongono di un minore risparmio per addetto. Si tratta di un risultato che segnala la carenza strutturale della disponibilità al Sud di risorse produttive proprie da destinare al finanziamento di uno sviluppo “auto-propulsivo”. Una carenza aggravata dalla forte contrazione tendenziale osservata negli ultimi anni dei flussi finanziari extra-regionali di natura privata e, soprattutto, pubblica.
Il rapporto tra costo e produttività del lavoro Un secondo utile indicatore è il rapporto tra costo e produttività del lavoro, il cosiddetto costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), una misura molto utilizzata – ma anche molto discutibile – di competitività. Ponendo pari a uno il valore più contenuto del CLUP che si osserva in Trentino Alto Adige, la figura 2 mostra la presenza di marcate differenze regionali: i costi del lavoro per unità di prodotto sono più alti in molte regioni del Mezzogiorno d’Italia: il valore massimo si ha in Molise (+36,1% rispetto al Trentino Alto Adige), seguito da Calabria (+27,1%), Sicilia (24,2%) e Puglia (22,3%). Tuttavia, il CLUP è elevato anche in Umbria (23,7% rispetto al Trentino), Marche (18,2%), Liguria (16,8%). In questi ultimi due casi, si tratta di valori vicini a quelli che si hanno in Basilicata (16%), Sardegna (17,3%) e in Abruzzo (17%). Il dato dell’Umbria è confrontabile anche con quello della Sicilia e della Puglia. Se si fa esplicito riferimento alla competitività di prezzo (data dall’inverso del valore del CLUP) è evidente che la mappa della bassa competitività include molte regioni meridionali, sebbene la presenza di Liguria, Marche, Umbria e Liguria consenta di dire che il fenomeno non riguarda solo il Mezzogiorno.
Qualche dato più disaggregato I rilevanti differenziali di competitività che emergono dai dati aggregati tendono a svanire se si guarda al confronto territoriale di raggruppamenti omogenei di imprese localizzate nelle due aree del paese. A questa conclusione si giunge, ad esempio, dalla lettura dei dati riportati dal Rapporto PMI Mezzogiorno 2018 recentemente pubblicato da Cerved, Confindustria e SRM per le società di capitali con 10-250 addetti. Il dato di maggiore interesse ai fini di questa nota è quello del valore aggiunto e del costo del lavoro osservato dal 2007 al 2016, da cui si deriva il CLUP. Considerando solo i dati del Mezzogiorno, dell’Italia e della Calabria si evidenzia come il CLUP segua sempre un andamento a U rovesciata e come la curva dell’Italia si posizioni sempre più in basso rispetto a quella del Mezzogiorno. La curva del CLUP delle società calabresi è posizionata più in alto, a conferma di un tendenziale maggior peso in questa regione del costo del lavoro per unità di prodotto. Tuttavia, l’evidenza più significativa segnalata da questi dati è la tendenziale convergenza del CLUP tra macroregioni, fino all’annullamento delle differenze nel biennio 2015-2016. Ipotizzando che il CLUP sia un appropriato indicatore di performance del sistema produttivo, i dati CERVED mostrano come il divario di competitività tra le società di capitale del Nord e quelle del Sud non trovi conferma nei dati più recenti. Le differenze tra le strutture produttive del Nord e del Sud sono numerose. Basti ricordare, come la dimensione media delle imprese sia, al Sud, inferiore a quella del Centro-Nord. Inoltre, nelle regioni meridionali, la quota delle imprese esportatrici è nettamente inferiore. Queste differenze nella struttura produttiva si riflettono sulla produttività e pongono non pochi dubbi sulle comparazioni tra Nord e Sud misurate da indicatori di competitività come il CLUP.