OpenCalabria ospita un documento elaborato da Mimmo Macrì a valle del congresso di “Il Sud che Sogna” tenutosi il 6 Aprile a Gioia Tauro. E’ una lucida ricostruzione di alcune importanti tappe che hanno contraddistinto la storia del Porto di Gioia Tauro e, in quanto tale, aiuta a capire le potenzialità finora inespresse dell’intera area portuale. Chiare sono anche le proposte per trasformare il porto della piana in un volano per lo sviluppo della Calabria e dell’Italia. Esistono tutte le condizioni per farlo e, nell’interesse generale dei calabresi, e’ cruciale che si lavori collettivamente per raggiungere questo obiettivo in temi rapidi. Per molte questioni, la soluzione è legata alla volontà politica di invertire il lassismo degli ultimi anni, piuttosto che ad impedimenti di natura tecnica. Urge, pertanto, mantenere alta l’attenzione sul porto di Gioia Tauro per far sì che rimanga una priorità nell’agenda della politica nazionale e regionale.
Prof. Francesco Aiello
Gioia Tauro – 7 Aprile 2019 E’ l’1 aprile del 2019 il giorno in cui il ministro delle infrastrutture e dei trasporti annuncia il rilancio del porto di Gioia Tauro. Questo giorno è arrivato in seguito allo scontro che durava da diversi anni tra i soci di Medcenter Container Terminal (d’ora in poi chiamata MCT) ,società che ha in concessione la banchina di levante del porto di Gioia Tauro adibita a terminal per la movimentazione dei container dal 1995 fino al 2045. Le quote di MCT, costituita dalla società terminalista Contship Italia s.p.a., sono state cedute nel corso degli anni a due diversi gruppi armatoriali: inizialmente a società che facevano capo alla Maersk e dopo a un’altra che faceva parte della Holding di MSC (TIL). Un complesso periodo di coabitazione tra tre diversi gruppi, successivamente due con l’uscita della Maersk e la cessione delle quote agli altri soci, fino alla scalata del gruppo MSC per acquisire l’intero terminal di Gioia Tauro attraverso la liquidazione del socio fondatore di MCT. Un accordo preliminare annunciato e fortemente voluto dal Governo nazionale, dal Prefetto, dal Commissario dell’A.p., dai lavoratori e dai sindacati. Un accordo che quasi certamente, superati i controlli sulla libera concorrenza porterà il 100% di MCT sotto il controllo del gruppo MSC. E’ chiaro che gli scenari internazionali sono cambiati e in questo caso l’armatore è diventato terminalista. Come lo stesso Aponte ha affermato in una recente intervista al quotidiano online del secolo XIX The Meditelegraph – che si occupa esclusivamente del settore marittimo: “ comanda chi ha più volumi”. Quindi i terminalisti devono sottostare al loro volere. Una posizione sicuramente dominante, talmente dominante da poter decidere le sorti dei terminalisti che di fatto stanno per essere svuotati in tutti i porti presenti in cinque continenti e acquistati dai gruppi armatoriali. Un mercato in fortissima crescita a livello globale governato da un regime di oligopolio che sta avendo risvolti sempre più monopolistici come si sta assistendo a Gioia Tauro. Questo porto giovane, di natura artificiale, nato e cresciuto come porto di transhipment, è attrezzato da 3,6 km di banchina adibita a terminal per la movimentazione delle merci. Il processo è semplice: dalle navi madri che arrivano per la maggior parte dall’Asia, soprattutto grazie agli alti fondali presenti nel canale sud del porto, sbarcano i container nel terminal per essere velocemente reimbarcati su navi di medie e/o piccole dimensioni (c.d. feeder) e inviate per gli altri porti italiani ed europei. Grazie alla sua posizione di centralità nel Mediterraneo, Gioia Tauro è stato scelto dagli operatori economici del settore come punto nevralgico nella rotta mondiale che seguono le merci tra Suez e Gibilterra, tanto da arrivare a movimentare quasi quattro milioni di container nel 2008. A Causa della crisi che ha colpito il settore, degli investimenti economici da parte dei gruppi terminalisti e armatoriali in altri porti del Mediterraneo (Tangeri, Cipro, Pireo, Vado ligure, Genova e La Spezia) e la mancanza di un serio piano di investimenti infrastrutturali da parte dello Stato, hanno determinato via via una riduzione della capacità di movimentazione dei container arrivando al corrente anno a 2,29 milioni di movimentazioni secondo il rapporto Eurogate (Eurogate group’s container handling volumes remain stable in 2018), il gruppo che controlla anche la società Contship Italia, oltre a decine di altri terminal in tutta Europa. Questo calo di volumi ha innescato una ripercussione sugli operatori portuali dipendenti della società MCT passando da un regime di cassa integrazione ordinaria ad una straordinaria a rotazione e conclusasi, dopo svariate lotte sindacali e scioperi, con una procedura di licenziamento collettivo di 377 dipendenti. In seguito all’intervento del governo venne istituita l’agenzia del lavoro portuale (Gioia Tauro Port Agency) nata per ricollocare i portuali licenziati all’interno del porto, ma di fatto usata come un ammortizzatore sociale poiché non ha mai ricollocato a lavoro neppure un dipendente. L’impugnazione del licenziamento collettivo da parte dei lavoratori ha prodotto la soccombenza della società MCT e il diritto dei lavoratori ad essere reintegrati nel posto di lavoro, grazie all’emanazione delle sentenze dei giudici della sezione lavoro del tribunale civile di Palmi. Le cause sono tutt’ora pendenti presso la corte d’appello di Reggio Calabria, in seguito al ricorso della soccombente MCT, ma la maggior parte dei lavoratori sta gradualmente riprendendo a lavorare visto che le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive.
L’autorità portuale di Gioia Tauro istituita con un decreto ad hoc nel 1996 ad integrazione della legge 84/94 (riordino della legislazione in materia portuale), modificata dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, il quale ha istituito le autorità di sistema portuali, riorganizzato le governance, adattato alla semplificazione burocratica e alla politica di razionalizzazione degli enti pubblici. Al numero 6) dell’allegato A, è stata istituita l’autorità di sistema portuale dei Mari Tirreno Meridionale, Jonio e dello Stretto che comprende i porti di Gioia Tauro, Crotone (porto vecchio e nuovo), Corigliano Calabro, Taureana di Palmi, Villa San Giovanni, Messina, Milazzo, Tremestieri, Vibo Valentia e Reggio Calabria. Gli scontri politici tra la Regione Calabria, la Regione Sicilia e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno paralizzato di fatto l’applicazione della nuova riforma portuale portando a dicembre 2018, con l’avvento del nuovo governo, all’istituzione di una nuova autorità di sistema, quella dello stretto (la sedicesima), che comprende i porti di Messina, Milazzo, Tremestieri, Villa San Giovanni e Reggio Calabria. Attualmente, dopo quasi tre anni dalla pubblicazione della legge, l’autorità di sistema portuale che fa capo a Gioia Tauro è l’unica a rimanere ancora inattivata considerato che di fatto mancano i decreti attuativi da parte del MIT. E’ più una questione politica che tecnica. Gioia Tauro è commissariata dal 2015. Sotto la guida commissariale sono stati compiuti il gateway ferroviario, costruzioni in atto di nuovi capannoni per la logistica interportuale e, soprattutto, si sta cercando di ripristinare la legalità all’interno di un contesto dove la criminalità organizzata è bene infiltrata. La ‘ndrangheta che usa lo scalo portuale come punto di approdo e/o di passaggio della cocaina attraverso accordi consolidati con i narcos sudamericani, sembra che negli ultimi anni abbia cambiato strategia e rotte per lo scalo spostandosi in altri porti italiani ed europei, questo anche grazie al brillante lavoro delle forze dell’ordine e della DDA reggina. La ‘ndrangheta però non si limita solamente al traffico di droga ma anche ad infiltrarsi nelle imprese che operano nel porto. Tutto ciò ha contribuito ad allontanare per anni imprenditori onesti e puliti scoraggiati anche dalle notizie giornalistiche che ormai al porto di Gioia Tauro hanno attaccato addosso l’etichetta di “porto della ‘ndrangheta” o “porto della cocaina”. La presenza costante nei controlli, i pesanti arresti delle cosche egemoni del territorio di Gioia Tauro e Rosarno e anche un miglioramento della condizione socio-culturale della società civile ha innescato un meccanismo virtuoso (seppure lento), e lo testimonia il fatto che un imprenditore come Pippo Callipo nel 2018 ha investito nella zona portuale con la Callipo Group portandone la prima lavorazione. All’interno del porto di Gioia Tauro, un altro mercato in forte crescita negli ultimi due anni è stato quello delle autovetture che attraverso la società Autoterminal, società partecipata dalla BLG e da automar, usa la banchina lato nord per il trasbordo delle autovetture FCA auto destinate al mercato statunitense e canadese per la maggior parte.
Il ruolo della ZES Le enormi potenzialità del porto di Gioia Tauro oggi passano anche attraverso l’operatività zona economica speciale, istituita con legge dello Stato, guidata da un comitato di indirizzo composto dal presidente dell’autorità portuale e da un team di esperti per attuarne la normativa nonché di creare strumenti di regolazione dettagliata insieme ad altri enti, tra cui l’agenzia delle entrate, per renderla pienamente operativa. La ZES prevede la semplificazione dei procedimenti amministrativi per le aziende investitrici e soprattutto un’ottima defiscalizzazione per le stesse, motivo di attrazione per tanti imprenditori e anche per le imprese partecipate dallo Stato e da enti pubblici. La nostra particolare attenzione si focalizza sul punto che una volta entrata a regime, questa non si traduca con contratti di sfruttamento per dipendenti e operai, bensì crei una stabile occupazione.
Cosa fare. Il porto di Gioia Tauro negli ultimi anni ha perso la propria competitività rispetto agli altri porti di rilevanza economica internazionale anche per il mancato sviluppo delle zone industriali che si ritrovano attaccate alle spalle dello stesso e ai mancati investimenti sulla ferrovia calabrese. Questo ritardo è causato soprattutto dalle lungaggini burocratiche e dai contenziosi che gli enti pubblici operanti in quest’area (CORAP, Autorità Portuale, ANAS, RFI) hanno prodotto. La scarsità di sinergia, la mancanza di cooperazione, l’indifferenza della politica e l’aumento della litigiosità ci ha portati distanti dalla politica nazionale ed internazionale. Di fatto ci ritroviamo con un APQ 2011 integrato nel 2016 prevede investimenti importanti sulla ferrovia che collega il porto alla stazione di Rosarno (raccordo stazione San Ferdinando- elettrificazione del secondo binario), bacino di carenaggio sulla banchina di ponente, fino ad oggi rimasto su carta ma totalmente finanziati con coperture giacenti al MIT. Un altro punto importante è l’ammodernamento della bretella che collega il porto all’autostrada A2, recentemente passata di proprietà dal Corap all’ANAS; la Regione Calabria ne ha, altresì, trasferito i fondi per l’ammodernamento, oltre alla proprietà. Il completamento di queste opere infrastrutturali renderebbero più fruibili e maggiormente agevoli le attività imprenditoriali anche per la logistica connessa alle attività portuali. Tutto ciò innescherebbe un percorso virtuoso di crescita occupazionale e di stabilità lavorativa che finalmente potrebbe liberare questo territorio dalla ‘ndrangheta.
Un altro aspetto importante è la riattivazione di un presidio medico sanitario all’interno dell’area portuale. Fondamentale è l’innovazione tecnologica per lo sviluppo del porto e del retro porto. Investire in rete cablata con fibra super veloce; investire in energie rinnovabili. Ad oggi non si conoscono neppure i dati delle emissioni atmosferiche che il porto produce, in particolare, quelle dei camini delle navi portacontainer che entrano in porto.
Concludiamo dicendo che di solo transhipment si muore perché il concreto sviluppo di quest’area sta nell’integrazione delle attività portuali che vanno dalla logistica al potenziamento dell’intermodalità. Le opere infrastrutturali è fondamentale realizzarle in breve tempo per essere competitivi a livello globale. Tutto ciò porterebbe ad un percorso virtuoso di crescita occupazionale e di stabilità economica.
Mimmo Macrì, lavoratore portuale e sindacalista
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